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UN AMORE ESTIVO

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

1
SET
2016
Ero seduta con mio marito al tavolo di un ristorante quando all'improvviso un pezzo del mio passato tornò a ricordarmi una vacanza di tanti anni prima.
Ricordo bene quanto ero contenta quando i miei genitori acconsentirono a farmi trascorrere da sola le vacanze estive in Puglia, dove risiedevano i nostri parenti.
Avevo quasi diciotto anni, un'intera estate davanti a me, durante la quale volevo solo divertirmi.
Quando arrivai a casa degli zii, però, gran parte della mia euforia svanì. Le mie due cugine, con le quali avevo immaginato di trascorrere lunghe giornate al mare e serate in discoteca, erano fidanzate e, ovviamente, la maggior parte del loro tempo preferivano trascorrerlo con i loro ragazzi.
Mi sentii subito fuori posto, a disagio, decisamente spaesata e delusa. La mia prima vacanza da sola, lontana da casa, senza il controllo costante dei miei genitori, si stava rivelando tutt'altro che divertente. Anche se le mie cugine facevano di tutto per mettermi a mio agio.
«Dai Cecilia, usciamo. Andiamo a farci una pizza», insistette una sera Vincenza, una delle mie cugine.
«Non lo so, penso che mi sentirei di troppo, voi siete in coppia».
«Ma dai. Cosa dici? vedrai quanti amici incontriamo. Non sarai venuta qui per fare la reclusa. Forza vai a prepararti», replicò con fermezza Vincenza. A qual punto, anche se ero ancora poco convinta e senza entusiasmo, cedetti alle sue insistenze e mi andai a preparare.
Poco dopo ci raggiunsero anche i loro fidanzati e tutti assieme andammo in pizzeria. Erano due ragazzi simpatici e fecero di tutto per mettermi a mio agio e così non mi sentii più in imbarazzo, anzi, quella sera mi divertii e risi moltissimo.
Continuai a uscire con loro anche nei giorni seguenti. Si mangiava qualcosa, si prendeva un gelato e poi passeggiavamo sino a tardi sul lungomare o tra le viuzze di quel piccolo borgo circondato dal mare. E ricordo che mi incantavo nel sentire lo sciabordio delle onde o la piacevole brezza marina che mi rinfrescava il volto e per me, abituata a vivere in una grande città del nord, caotica, fredda e nebbiosa, quelle che stavo provando erano delle sensazioni bellissime.
Quella vacanza si stava rivelando diversa da come l'avevo immaginata, ma mi piaceva lo stesso. Mi piaceva il mare, il caldo, il luogo, i colori, i profumi, la gente, e apprezzavo anche quei momenti di beata solitudine che riuscivo a ritagliarmi. Dopo qualche giorno non mi sentivo più spaesata e a volte, per non sembrare troppo appiccicosa, mi staccavo dalle mie cugine e continuavo la passeggiata da sola.
Quando alla chetichella mi allontanavo dalle mie cugine, andavo spesso a sedermi sul muretto che delimitava il molo, perché mi piaceva osservare le barche ormeggiate e la luna che si rifletteva nel golfo. E mi incuriosiva anche vedere tutta quella gente che passeggiava a piedi nudi sulla spiaggia. Una spiaggia lunghissima, che partiva dal molo e si allungava sino ad una insenatura naturale che finiva appena fuori dal paese.
Durante le mie serali passeggiate solitarie, mi capitava di vedere spesso un ragazzo che se ne stava seduto su una barca ormeggiata. Portava sempre i pantaloni bianchi arrotolati fino a metà polpaccio e una maglietta sgargiante. Io gli passavo a pochi metri e lui immancabilmente girava la testa verso di me e mi guardava, e quando tornavo indietro si ripeteva la stessa cosa, e vederlo lì seduto, quasi mi stesse aspettando, mi faceva sentire importante e provavo un piacere inaspettato.
Un giorno, mentre le mie cugine si erano rintanate in camera loro per la solita siesta pomeridiana io, non avendo nessuna voglia di restarmene chiusa in casa, uscii per andarmi a prendere un gelato e poi a fare due passi sulla spiaggia e andarmi a sedere sul solito muretto.
Stavo ammirando il mare, quando una piccola barca che stava rientrando catturò la mia attenzione, e quando fu abbastanza vicina potei riconoscere che al timone c'era proprio quel ragazzo che vedevo durante le mie solitarie passeggiate serali. Arrivato in porto, con gesti esperti quel ragazzo attraccò e poi cominciò a scaricare sul molo delle cassette di pesce. Io continuai a guardarlo perché di giorno mi sembrava ancora più bello. La luce del sole stava mettendo in risalto il suo fisico scolpito e abbronzato e la folta capigliatura bionda e riccia completava il quadro: era proprio un bel ragazzo.
Quando stava per scendere dalla barca, un'onda più grossa delle altre si infranse sugli scogli e lo investì. Io, vedendolo tutto inzuppato mi misi a ridere e allora lui alzò la testa e socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la mia immagine. Poi le sue labbra si schiusero in un gioviale sorriso e venne verso di me.
«Ciao, tu sei la ragazza che viene a trovarmi la sera quando sono qui da solo sulla mia barca, vero?»
Io avrei voluto dirgli che non andavo a trovarlo, ma che mi limitavo a fare una passeggiata, invece, imbambolata, sussurrai semplicemente:
«Sì. Sono io».
Lui si sedette sul muretto accanto a me e cominciò a farmi mille domande.
«Sei qui in vacanza?».
«Sì, per tutta l'estate», gli risposi.
«Sei ospite di qualche parente?»
«Sì, dei miei zii».
Non volevo sembrare troppo disponibile a fare amicizia con gli estranei ed ero sulle spine. Però bastarono cinque minuti da che iniziai a parlare con lui, che il mio imbarazzo svanì e mi ritrovai perfettamente a mio agio.
«Ce l'hai il ragazzo?», indagò subito dopo, continuando a guardarmi negli occhi.
Io in quel momento pensai a Giulio, un compagno di scuola con il quale negli ultimi tempi ero uscita e avevo scambiato anche qualche bacio, ma non lo ritenevo certo il mio ragazzo, perciò risposi di no. Poi, per cercare di interrompere la sua raffica di domande, gli raccontai che stavo frequentando l'ultimo anno di liceo e che in seguito mi sarei iscritta all'università, perché volevo diventare avvocato come mio padre.
Anche lui mi parlò un po' di sé e così mi disse che si chiamava Salvatore, che aveva ventidue anni e che aveva dovuto interrompere gli studi dopo la morte del padre. Adesso viveva con la madre e quella piccola barca era l’unica l'eredità che gli aveva lasciato il padre. Alle prime luci dell'alba andava a gettare le reti e la sera faceva il cameriere in un ristorante del posto.
«Ma a settembre partirò. Vado a cercare lavoro. Sicuramente troverò un ristorante che abbia bisogno di personale. Vorrei tanto fermarmi qui, ma qui per un ragazzo la vita è dura».
Concluse, con un po’ di tristezza nella voce.
Più lo sentivo parlare e più mi piaceva: Salvatore dava l'impressione di essere molto più maturo della sua età; insomma mi sembrava una persona coscienziosa e della quale mi potevo fidare.
Quando gli dissi che dovevo rientrare mi chiese se poteva accompagnarmi fino a casa, così, scoperto dove abitavo, mi disse che il fidanzato di una delle mie cugine era un suo carissimo amico.
Da quel giorno cominciammo ad incontrarci sempre più spesso e poi a frequentarci, e la nostra amicizia si consolidò sino a diventare una tenera storia d'amore.
Ero felice di avere anch'io il ragazzo con cui uscire la sera. Passeggiavamo assieme alle mie cugine e ai loro ragazzi, ma spesso ce ne stavamo da soli sulla spiaggia, tenendoci per mano a guardare il mare e le lampare che stavano pescando al largo.
Salvatore, scherzando, mi diceva spesso che lui nelle vene non aveva sangue, ma acqua salata e che il doversi separare dalla sua terra e dal mare, per andare a cercare lavoro altrove, lo intristiva molto.
Un pomeriggio mi invitò a fare un giro sulla sua barca. Doveva andare a salpare le reti che aveva gettato la mattina presto ed io gli risposi euforica di sì. Torino, i miei genitori, la mia casa, la scuola, Giulio, tutto mi sembravano talmente lontano...
Ricordo che quando arrivai al porto lui mi stava già aspettando per farmi salire a bordo. Era tutto così romantico che mi sentii la protagonista di una fiaba. Ero molto attratta da quel ragazzo, mi piacevano i suoi modi gentili, ammiravo la sua forza fisica e persino quelle due piccole rughe intono agli occhi che lo facevano sembrare più grande.
Quando arrivammo in mare aperto Salvatore spense il motore e invece di iniziare a tirare le reti venne a sedersi accanto a me. Mi strinse forte e poi mi dette un bacio. Io chiusi gli occhi e risposi al suo bacio e non ricordo più se quel giorno Salvatore avesse finito col salpare le reti o meno.
Tra tenerezze e sospiri, eravamo diventati inseparabili, ma io avevo in mente di raggiungere la mia indipendenza economica e lui voleva sposarsi presto e avere un mucchio di bambini. Eravamo diversi e desideravamo cose diverse, ma non ce ne rendevamo conto. Fantasticavamo su situazioni impossibili da realizzarsi. Mi parlava di matrimonio, dei risparmi che aveva messo da parte e che io mi sarei dovuta trasferire definitivamente in Puglia.
Le sue parole mi suonavano come musica, ma intanto non riuscivo a considerare una situazione diversa, lontana dalla mia città. Ma soprattutto non capivo che ciò che provavo per lui era solo un'infatuazione e niente di più.
Tornata a casa, quella notte sentii il bisogno di confidarmi con le mie cugine e loro si dimostrarono entusiaste e mi dissero che sarebbe stato bellissimo se avessi preso la decisione di trasferirmi per sempre in Puglia. Tutta diversa e contraria fu invece la reazione dei miei genitori, quando accennai loro quell'eventualità.
«Tu devi essere diventata matta o ti sei presa un'insolazione. Non ti riconosco più», esplose mie madre, non appena le accennai di Salvatore. Mio padre non stette neanche a perdere tempo con i discorsi, prese il primo aereo e venne a prendermi.
Mi ribellai, quando mi disse che mi avrebbe riportata a casa con il primo volo disponibile.
«La mia vacanza non è ancora terminata, mancano ancora quindici giorni all'inizio della scuola, perché dovrei tornarmene ora con te?».
«Cecilia, sei solo una ragazzina che si è lasciata trasportare dai sogni, dalla vacanza, ora hai solo bisogno di ritornare con i piedi per terra, ecco perché sono venuto a prenderti», mi rispose. E fu così determinato cheil giorno dopo tornai a Torino senza fare tante storie. Musi lunghi in aereo, sfuriata con mia madre appena arrivata a casa, ma poi le cose piano piano volsero alla ragionevolezza e alla rassegnazione, e mia madre con calma riuscì anche a farmi ragionare:
«Come la metti con la scuola, l’università? Poi qui hai le tue amicizie, la tua casa, le tue abitudini. Lo sci, il tuo sport preferito. Cerca di ragionare Cecilia. Se è veramente una cosa seria, Salvatore saprà aspettarti e anche tu intanto avrai modo di capire cosa provi veramente per lui».
Prima di partire, con Salvatore ero riuscita a malapena a parlarci, a dirgli che mio padre era venuto a prendermi per riportarmi subito a Torino. Non ebbi il coraggio di dirgli la verità, trovai una scusa, problemi familiari: mia madre stava poco bene, eccetera.
In seguito le nostre telefonate, insieme alla promessa di rivederci presto, andarono avanti per parecchi giornipoi, iniziata la scuola, ricominciato a frequentare le amiche e a rivedere Giulio, tutto diventò nebuloso. Non ero più sicura di niente e i nostri contatti a poco a poco, si diradarono e anche la passione che mi aveva coinvolta così tantoper tutta l’estate, si stava esaurendo completamente.
Trascorsero gli anni e dalle mie cugine seppi che Salvatore si era sposato, aveva già tre figli e che faceva diversi lavori per riuscire a mantenere la famiglia. La mattina presto continuava ad andare a gettare le reti e il pomeriggio a salparle. La sera invece faceva il cameriere in un ristorante della zona.
Quando me lo dissero non provai gelosia, anzi, mi sentii felice per lui: mi aveva sempre detto che avrebbe voluto tanti bambini. E proprio una sera, dopo una vita, ci rivedemmo per caso.
Mi trovavo a trascorrere un periodo di ferie in Puglia con Giulio, che intanto era diventato mio marito, e nel ristorante dove eravamo andati a cenare venne a servirci un cameriere dall’aria familiare. Ho stentato un po’ a riconoscerlo, perché ora era stempiato ed anche un po’ ingrassato, ma poi mi resi conto che era proprio lui, Salvatore.
Per evitare noiose e inutili spiegazioni che avrei dovuto darea Giulio, con la scusa di andare a lavarmi le mani, mi alzai e quando gli passai davanti mi disse:
«Che sorpresa! Ciao Cecilia, ti trovo bene».
«Anch’io. Ciao Salvatore».
Mentii, prendendo frettolosamente dalle sue mani i menu che ci stava portando al tavolo. Poi lo salutai senza provare nessuna emozione o rimpianto.
Eravamo troppo diversi e volevamo cose diverse. E ora ne ero sicura: tra noi non avrebbe mai potuto funzionare. E’ questo ce lo dicemmo con gli occhi, prima che ognuno tornasse alla propria vita.
«Come mai conosci quel cameriere?»
Mi chiese incuriosito Giulio, quando tornai al tavolo.
«Conoscerlo? Non proprio. Frequentava le mie cugine quando, tanti anni fa, venni qui a trascorrere le mie prime vacanze da sola.
«Continua a guardarti in un modo…»
Insistette Giulio.
«Ma cosa dici. Avevo diciassette anni e lui, non so,forse qualcuno di più. Veniva qualche volta a casa degli zii a lasciare il pesce che aveva pescato».
«Sarà? Ma di sicuro devi aver fatto colpo su di lui, continua a guardarti».
Mi girai e vidi Salvatore che sebbene stesse girando tra i tavoli e stesse parlando con altri clienti, non smetteva di guardare verso di me.
Presi la mano di mio marito e gliela strinsi forte.
«Giulio, eravamo ragazzi. Forse ero la prima ragazza che veniva da fuori e gli sarò rimasta impressa. Tutto qui. Buon appetito».


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