Mi è sempre piaciuto passeggiare con il mio cane lungo il fiume, sia d’inverno sia d’estate.
Trovo rilassante il lento scorrere del fiume e vedere il sole che risalta i colori riflessi sulla superficie dell’acqua.
Ho dei bei ricordi che mi legano al fiume, come quello di quand’ero bambina e ci venivo con mio padre. Camminavamo lungo l’argine e lui raccoglieva delle pietre levigate e le lanciava nel fiume per farle rimbalzare sul pelo dell’acqua.
Io cercavo d’imitarlo ma non ci sono mai riuscita, e ora rammento quest’episodio del fiume perché un giorno gli affidai un messaggio.
Era una sera di fine estate, e stavo passeggiando da sola lungo il fiume, quando il mio sguardo fu catturato da una strana bottiglia che giaceva in mezzo all’erba. Era vuota ma chiusa da un tappo di sughero. Incuriosita, mi fermai a raccoglierla e, non so perché, mi venne in mente di prendere la penna e un foglietto che tenevo nella borsa e di scrivere un messaggio da chiudere in quella bottiglia per poi affidarlo alla corrente del fiume.
“Continuo ad amarti, Lorenzo, ma il tuo corpo non mi bastava più, volevo anche il tuo amore. Mi manchi. Torna da me ti prego, io ti aspetto”.
Lessi quel messaggio un’altra volta, arrotolai il foglietto e lo infilai nella bottiglia che richiusi con il tappo di sughero e poi la lasciai scivolare in acqua.
“Speriamo che Generosa abbia ragione”. Sospirai, mentre guardavo la bottiglia che si allontanava lentamente dalla riva.
La signora Generosa era una donna anziana, d’altri tempi, un po’ strana, ma proprio per questo mi piaceva e, quando avevo un po’ di tempo, mi faceva piacere fermarmi a parlare con lei.
Mi raccontava storie strane, storie vere e storie inventate, ma tutte interessanti. Parlava della forza del pensiero, della telepatia, del destino, e mi diceva:
«Daniela, il pensiero è forza. Il pensiero sprigiona energia e una volta espresso un desiderio, se ti sei concentrata e se arriva a destinazione, ha il potere di attirare come una calamita la persona che ti sta ha a cuore, la persona che ami. L’energia telepatica trasporta i pensieri, basta esprimerli nel modo giusto e arriveranno a destinazione». Affermava convinta.
Mi raccontava che quando era ragazza spesso aveva pensato intensamente a qualcuno e poi aveva trascritto quel pensiero su un foglietto, lo aveva richiuso in una bottiglia e poi affidato al fiume. E in un modo o in un altro, mi assicurava, era sempre riuscita a ottenere quello che aveva chiesto. Era sempre riuscita ad attirare l’attenzione della persona cui pensava.
Non avevo mai chiesto a Generosa a chi erano state inviate le sue richieste, ma immaginavo fossero state semplici richieste di ragazzina, che magari si sarebbero realizzate comunque. In ogni modo in quel tardo pomeriggio avevo deciso di dare seguito alle parole di Generosa e avevo consegnato anch’io il mio messaggio al fiume.
Veramente lo avevo affidato sì al fiume ma perché lo portasse a Lorenzo. Ma tanto che importanza poteva avere a chi era indirizzato, nessuno lo avrebbe mai letto: scendendo verso il mare sicuramente la bottiglia sarebbe andata a sbattere contro il pilone di qualche ponte e i suoi cocci finiti sul greto, tra le pietre, assieme al mio messaggio. E a quel punto, inevitabilmente, tornai a ripensare alla mia storia con Lorenzo.
Era stata una storia poco impegnativa fin dall’inizio, vissuta da entrambi con leggerezza, senza chiederci cosa sarebbe accaduto l’indomani. Tra noi non c’erano mai stati interessi comuni.
La nostra era stata solo una sana e pura attrazione fisica, molto coinvolgente ed eccitante, questo si. E ci incontravamo di sera, quando i nostri impegni di lavoro ce lo permettevano.
Sapevamo poco o nulla uno dell’altra e non sapevamo nemmeno cosa volesse dire essere felici fuori da quella stanza. Insieme non avevamo mai provato le piccole gioie quotidiane e nemmeno le sofferenze per gli inevitabili rovesci che la vita ci riservava. Se io ero preoccupata per dei problemi miei, non era un affare che riguardasse lui. Se non stavo bene o avevo dei grattacapi sul lavoro, lui non era mai vicino a me per consolarmi, per dirmi una parola buona.
Negli ultimi tempi mi ero chiesta come si potesse definire la nostra strampalata storia e, soprattutto, se la nostra era una vera storia e se era quello che io desideravo veramente.
Ma la risposta la conoscevo già. No, non mi bastava più. Io volevo vivere l’amore come una favola. Avere il mio ragazzo vicino, vederlo spesso, tutti i giorni, augurarci la buona notte la sera e il buon giorno appena svegli.
Lorenzo ed io ci eravamo conosciuti ad una festa. Sbuffava e si lamentava per quanta gente c’era intorno a noi. Troppi invitati, diceva. Non si poteva mettere un passo e non si riusciva nemmeno ad avvicinarsi al buffet. Ma era un tipo affascinante, occhi e capelli neri, sorriso intrigante e tra noi nacque subito una forte attrazione fisica.
Iniziammo a parlare tra noi e scoprimmo di essere nati nello stesso giorno e nello stesso anno. Lo ricordo bene perché ci scambiammo più informazioni personali quella sera che per tutto il tempo che siamo stati assieme.
Lorenzo viveva in un’altra città, in riva al mare, e mi aveva raccontato di una sua convivenza ormai logora e finita male, ma non volle che gli raccontassi niente di me, della mia situazione affettiva. Non che avessi avuto molto da dire, visto che ero single, ma lui aveva preferito non sapere niente di me e tenere le distanze da qualsiasi coinvolgimento personale.
«Viviamo quello che è nato tra noi, quest’attrazione fisica, quando stiamo insieme e lasciamo fuori i coinvolgimenti sentimentali». Mi aveva detto, ed io avevo accettato.
All’inizio quella situazione stava bene anche a me. Quegli incontri passionali, anche se non molto frequenti, come avrei desiderato io, erano una sferzata di vita, mi ricaricavano e mi davano nuova energia. E, soprattutto, non intaccavano la mia libertà, perché non dovevo preoccuparmi di avvisarlo se per qualche ragione non potevamo vederci o se un giorno mi dovevo assentare da casa. Potevo prendere tranquillamente e autonomamente, senza doverlo consultare, tutti gli impegni che volevo: uscire con le amiche, andare al cinema con un collega, e tutto questo senza intaccare minimamente la sua gelosia, perché lui faceva altrettanto.
Insomma, la nostra era stata una storia basata sulla reciproca libertà, anche se con il tempo avevo incominciato a chiedermi cosa stavo facendo, se mi bastava quello o desiderassi di più. Non solo avrei desiderato di più, avrei voluto stare più tempo con lui, ma anche che mi telefonasse più spesso. Avrei voluto sentirlo tutti i giorni e non solo quando ci dovevamo mettere d’accordo per vederci. Ma ogni volta che cercavo di parlargliene, mi trovavo un muro insormontabile davanti. Per lui era un discorso tabu.
Mano a mano che il passato si ritirava, restava solo il presente, e contro ogni mia aspettativa e quel tacito accordo tra noi, ero diventata gelosa e mi domandavo se la sua storia con quella ragazza di cui mi aveva parlato quel giorno alla festa, fosse veramente finita o se continuasse a vivere ancora con lei, o magari avesse iniziato un’altra relazione con una nuova ragazza e intanto continuasse a vedere anche me per il solo piacere della passione, senza nessun altro coinvolgimento. Tanto che mi aspettavo che alla fine mi dovesse dire: È stato bello Daniela, ma adesso basta, non vediamoci più.
Insomma, senza accorgermene mi ero innamorata di Lorenzo, di un uomo che a tutti i miei tentativi per saperne qualcosa di più, rispondeva:
«Ssssh, non indagare. Niente domande tra noi. Stiamo tanto bene così…»
Già, forse a lui andava bene così, ma a me no. Io lo amavo, e in fondo all’anima avevo tanto sperato e desiderato che si innamorasse anche lui di me. Pensai di minacciare di lasciarlo, e così, vedendomi determinata a finirla con quella nostra storia senza senso, fargli cambiare atteggiamento, ma non successe niente e le cose continuavano ad andare avanti sempre nello stesso modo. Finché un giorno, per evitare di essere lasciata, lo avevo lasciato io e Lorenzo mi aveva semplicemente risposto:
«Be’ se è questo che vuoi, se hai deciso così, va bene anche per me».
Erano passati sei mesi dall’ultima volta che ci eravamo visti, dal nostro ultimo incontro, e la speranza che mi cercasse ancora era ormai svanita. Ma più passava il tempo, più mi sentivo sola, sconfortata e mi mancava da morire. Mi mancava da morire la sua presenza, il profumo della sua pelle, le sue coccole e la sua voce calda e sensuale. E intanto mi chiedevo se magari fosse proprio lui il destinato a essere l’uomo della mia vita.
Quel riferimento al destino mi fece ripensare anche alle parole di Generosa:
“Basta pensare intensamente a una persona. Basta chiedere e volerlo con forza, perché il pensiero raggiunga l’obiettivo e che il destino si compia”.
Forse sarà stato per quella forma particolare, così allungata della bottiglia, per quel tappo che la chiudeva seppure fosse vuota, che mi era venuto in mente di scarabocchiare quel messaggio e d’infilarcelo dentro. Lo so, era stato un gesto istintivo, quasi da ragazzina alle prese con la prima cotta, più che un gesto ragionato da persona adulta, ma dopo aver lasciato scivolare in acqua la bottiglia mi ero sentita meglio.
Finita la mia passeggiata lungo il fiume, mi ero avviata lentamente verso casa ma, prima di rientrare, incontrai Generosa carica di buste della spesa e pensai di aiutarla. Vestiva in modo bizzarro, ma comunque quell’abbigliamento denotava una certa armonia e stava bene a quella donna senza tempo, alla quale io non ero mai riuscita a dare un’età precisa.
Generosa viveva in una vecchia casa a poca distanza dalla mia, verso la fine del paese, quasi in aperta campagna e la sua abitazione era originale quasi quanto lei: La porta d’entrata era piccola e stretta e l’interno sembrava un museo.
«Ciao Daniela, come stai?» Mi salutò cordialmente.
«Insomma… così, così». Sospirai.
«Sempre per colpa di quei problemi di cuore che non riesci a risolvere?» Chiese.
«Sì, sempre per quello. Ma oggi ho ascoltato il tuo consiglio e ho fatto come mi hai detto tu: ho affidato al fiume il mio pensiero e l’ho mandato alla persona che amo».
Aggiunsi, con un tono tra il melanconico e il vergognoso.
«Brava, hai fatto bene! Qualsiasi cosa tu abbia chiesto, vedrai, sarai accontentata».
Esclamò rassicurante e sorridendo con malizia.
«Vorrei esserne così convinta anch’io, ma il mio è stato un gesto istintivo, senza pretese».
Le risposi.
«Entra, ti offro un tè». Mi rispose, dopo aver aperto una scatoletta e dato da mangiare a dei gatti randagi che la stavano aspettando davanti alla sua porta.
L’interno della casa era pieno di oggetti d’ogni tipo. Sapevo che amava l’antiquariato e che faceva collezione di cose antiche, ma la casa sembrava proprio un museo: vasi, specchi, soprammobili, statuette d’avorio, lampade, vetrinette zeppe di oggetti e ninnoli, ma tutto vecchio e decrepito.
Generosa m’indicò una poltroncina e poi sparì in cucina con le sue buste e mi disse di aspettarla un momento, il tempo di preparare il tè. Ritornò poco dopo con un vassoio su cui c’erano dei biscotti e due tazze fumanti. Appoggiò tutto su un tavolinetto e si sedette accanto a me.
«Allora, ti va di parlare del tuo desiderio? Cos’hai combinato oggi?». Mi chiese.
«Il mio non è un desiderio facile da realizzare, non si tratta di una cosa semplice».
Le risposi.
«Ho capito, si tratta del tuo innamorato». Rispose, mentre faceva scivolare due zollette di zucchero nelle tazzine.
«Già». Mormorai io, non sapendo da dove cominciare a raccontare.
«Devi, innanzitutto liberare la tua mente da tutti i pensieri negativi, se no il desiderio non si realizzerà mai».
«Spero che tu abbia ragione…» Sussurrai un po’ titubante, ma anche speranzosa.
Mi raccontò che anche lei, da giovane, aveva avuto delle disavventure amorose, che anche lei aveva pianto quando era stata lasciata dall’uomo che amava, ma poi si era ripresa. Ed era ancora una ragazzina quando aveva conosciuto il suo futuro marito, e precisò che con lui fu amore a prima vista per entrambi, ma purtroppo il loro amore fu osteggiato dalle famiglie e il ragazzo allontanato e mandato a studiare in un’altra città.
Non sapeva dove fosse, e allora mise in atto il suo progetto. Pensando fermamente che il destino lo avrebbe fatto arrivare sino a lui, gli inviò un messaggio.
«E poi?» La incalzai io.
«Un bel giorno lui è tornato e ci siamo sposati». Tagliò corto Generosa, e aggiunse:
«Tranquilla, se davvero è lui l’uomo che tu desideri, quello del tuo destino, vedrai che qualcuno farà in modo che il tuo messaggio arrivi sino a lui». Concluse.
Ma io ero certa che quella bottiglia, appena lasciata scivolare in acqua, sarebbe sprofondata e che non sarebbe mai arrivata sino al mare, anche se io lo desideravo e lo speravo con tutto il cuore.
Passarono mesi. Passò l’inverno e anche la primavera, ma di Lorenzo nessuna notizia, anche se io continuavo a pensarlo. Ma ormai le mie speranze si erano esaurite da un pezzo. Poi, inaspettatamente e incredibilmente, un bel giorno ricevetti una sua telefonata e la sorpresa fu tale che io riuscii a malapena a rispondergli: Ciao, come stai?
Finalmente accadde quello che avevo sempre desiderato e sperato con tutto il cuore.
Ci siamo dati appuntamento in un bar, vicino alla stazione e lì, una volta superato l’imbarazzo, mi confidò che in quei mesi mi aveva pensato molto e che si era rammaricato per la decisione che avevo preso.
«Sono maturato durante questo tempo, Daniela, ho messo ordine nella mia vita e ho capito che l’unica donna che conta veramente per me, sei tu. E questa volta, se anche tu sei d’accordo, il nostro rapporto diventerà vero, costante e unico, perché sento di amarti».
Le sue parole mi risuonarono nel cuore semplici e sincere, ma anche come una dolce melodia.
Ma la parte magica doveva ancora arrivare, perché quando gli chiesi come mai si fosse finalmente deciso a chiamarmi, mi rispose che alcuni giorni prima aveva saputo che un pescatore aveva trovato nella rete una strana bottiglia che conteneva un messaggio: “Continuo ad amarti, Lorenzo, ma il tuo corpo non mi bastava più, volevo anche il tuo amore. Mi manchi. Torna da me, ti prego, io ti aspetto”.
«E così, sentendo che il biglietto parlava di un certo Lorenzo, non ho potuto fare a meno di pensare a te».
Mi disse, con quella sua voce calda e sensuale.
Poi mi guardò con aria interrogativa, come se si aspettasse una spiegazione da me. Ma io non seppi cosa rispondere. In quel momento l’unica cosa che volevo da lui era il suo abbraccio e un lungo bacio dato a occhi chiusi.