A Milano faccio il tassista. Trasporto passeggeri anonimi, italiani e stranieri che salgono e scendono dalla mia vecchia macchina ma che non intendo cambiarla perché sono vecchio e ho intenzione di ritirarmi.
È sera e fa freddo, pioggia frammista a nevischio cade incessantemente e la centrale operativa avvisa che alcuni aeroporti del nord sono stati chiusi per neve e che il traffico aereo è stato dirottato su Milano. Ciò vuol dire che ci sarà un numero supplementare di arrivi da smaltire, tanto che chi sta per smontare si aggrega ai colleghi che fanno servizio negli aeroporti. E ciò non è raro che possa accadere quando problemi meteo obbligano i responsabili a chiudere le piste.
Non mi andrebbe di prolungare l’orario di lavoro, sono appena rientrato da Malpensa ma qualche soldo in più fa sempre comodo e allora metto in moto e ci ritorno. Arrivo all’aeroporto sul tardi e non trovo nessuno, i miei colleghi sono arrivati in massa prima di me e hanno già caricato tutti i viaggiatori. Mi secca un po’ aver fatto questo viaggio a vuoto, ma comunque mi fermo nel parcheggio dove tra buio e nebbia non si vede niente e di passeggieri nemmeno l’ombra. Sto quasi per andarmene quando sento aprirsi lo sportello posteriore e una voce femminile chiedere:
«È libero?»
«Libero, libero». Rispondo guardando nello specchietto retrovisore e poi scendendo per sistemare le valige.
Sono due ragazze di non più di vent’anni, e si vede che sono di quelle abituate a viaggiare e volare da sole. Altro che ai miei tempi.
«Milano?» Chiedo.
«Sì, sì. Milano, piazza Aspromonte». Risponde una delle due ragazze, prima di immergere il viso nel suo telefonino.
«Che fortuna averla trovata. Abbiamo tardato a trovare i nostri bagagli e quando siamo uscite non c’era più nessuno e ci stavamo preoccupando. E fa un freddo…» Interviene la sua amica.
Sprofondo nel mio sedile mezzo sfondato e partiamo. Durante il tragitto, sempre la stessa ragazza mi dice che hanno lasciato Londra con un tempaccio da lupi ma che non si aspettavano di trovare anche qui lo stesso brutto tempo e tanto freddo. Poi aggiunge che in fin dei conti del tempo non le importa niente e di essere contenta di trovarsi finalmente in Italia.
Capisco che la ragazza ha voglia di chiacchierare, mentre la sua amica si è estraniata e si interessa solo del suo cellulare, ma io sono vecchio e non mi va di parlare, non ho niente da dire a una ragazzina della sua età e le rispondo a monosillabi. Ma lei continua a parlarmi di Londra, dei suoi studi, menziona un certo Erasmus che io non so nemmeno chi sia. Dopo un po’ prende il telefonino e parla probabilmente con una sua amica o parente e le dice di stare tranquilli, che sono atterrate, che si trovano in taxi e che stanno per arrivare a Milano.
«Ci vediamo domani sera. Mi raccomando, fatemi trovare qualcosa di buono, perché sono stufa di mangiare cibi precotti o fish and chips». Conclude e saluta chi sta dall’altra parte della comunicazione.
Il traffico, forse per il freddo e il brutto tempo, è scarso e scorrevole. I minuti che seguono sono tranquilli, le ragazze tacciono e una continua a picchettare a velocità incredibile sui tasti del suo cellulare.
«È lui, vero?» Chiede all’improvviso la ragazza chiacchierona. L’altra è seria e annuisce col capo.
«Fammi leggere». Bisbiglia la chiacchierona, avvicinandosi alla sua compagna. Ma per tutta risposta l’altra si schiaccia contro il finestrino e nasconde il telefonino.
«Fammi leggere, ti prego». Insiste la prima.
«E leggi». Risponde la silenziosa passandole il cellulare, e l’altra si precipita e legge.
«Ma cosa vuol dire, che deve riflettere? Se io sto bene con una persona, non ho bisogno di riflettere o prendermi un periodo di riflessione». Sbraita la chiacchierona, restituendo il cellulare.
«Dice di essere confuso, di non avere le idee chiare». Risponde l’altra ragazza.
«Wanda, perché tu invece? Hai le idee chiare tu?» Insiste la chiacchierona.
«Smettila. Non sono fatti tuoi se ho o non ho le idee chiare. E poi in questo momento non mi va di parlarne». Insiste la silenziosa.
«Bell’amica che sei. Non ti fidi più di me?»
«Smettila, non è questo, lo sai, e non cominciare con le tue solite esagerazioni, per favore».
Io non posso fare a meno di ascoltare e mi viene da sorridere. Quanta tenerezza mi fanno queste due ragazze e sentir parlare di problemi di cuore. Poi i toni si accendendo e alloro mi intrometto per calmarle.
«Ci scusi. La mia amica ha un problema con il suo ragazzo. Si conoscono da quando sono bambini e stanno assieme da una vita, ma ultimamente le cose non stanno andando come dovrebbero. Lui sembra indeciso. Forse la lontananza, forse ha dei ripensamenti, non lo so…»
Mormora la chiacchierona.
«Smettila, cosa possono interessare al signore i fatti miei? E comunque ti sembra il momento di parlare di certe cose, proprio ora?» Replica l’altra.
Ma la chiacchierona la ignora e prosegue. Mi racconta che il ragazzo dell’ amica non l’ha presa bene quando si sono trasferite a Londra ma che probabilmente, adesso, rivedendosi, tutto potrebbe aggiustarsi e tornerà come prima.
Io fisso la strada imbiancata da un nevischio insistente, e sono imbarazzato almeno quanto la ragazza che le siede accanto e chiedo di dove sono. Sempre la chiacchierona mi risponde che la sua amica è di Milano e che per questo si è fermata qui anche lei, dove trascorrerà la notte.
«Ma io sono pugliese, della provincia di Bari». E prosegue chiedendomi se la stazione ferroviaria è molto distante da dove abita la sua amica, da piazza Aspromonte, perché ha deciso, a causa del brutto tempo, di prendere il treno per recarsi in Puglia, l’indomani.
«Non molto, signorina. Da piazza Aspromonte la stazione non dista più di una decina di minuti, a piedi». Rispondo.
«Meno male. Non vedo l’ora di tornare a casa». Prosegue.
«Da Bari a Londra, un bel cambiamento. Come vi siete trovate nella capitale inglese?»
Chiedo, ma solo per non sentirle più parlare di ciò che angustia la sua amica.
«Ci troviamo a Londra per studiare e imparare la lingua, ma io non ne posso più di quel clima e tempaccio. Piove sempre, si mangia malissimo, i ragazzi inglesi sono sempre ubriachi e io non vedo l’ora di tornare a casa, in Puglia. Mi manca il mare, gli ulivi e i miei amici e i miei genitori, naturalmente. Questa notte la passo a casa sua, però domattina prendo il treno e via per Bari». E detto questo scoppia in una fragorosa risata.
«E siete tornate definitivamente a casa?» Chiedo.
«No, no. Solo per questo periodo, poi ritorneremo a Lontra e ci resteremo per altri due anni. Almeno io farò così, anche se spesso mi prende la nostalgia». Risponde sempre la chiacchierona e continua:
«Io abito nel posto più bello del mondo e non potrei mai vivere per sempre altrove».
«Anch’io sono pugliese, ma ormai vivo qui a Milano da un secolo, ci sono venuto con i miei genitori tanti anni fa. Prima è arrivato mio padre, da solo in cerca di lavoro, poi ci siamo trasferiti anche noi, mia madre e mia sorella».
«E non ha nostalgia della Puglia, lei?» Chiede.
«Certo, signorina. Come si fa a non avere nostalgia del luogo dove si è nati, ma cerco di tornarci il più spesso possibile e tra un po’, andando in pensione, spero di potermela godere un po’ di più la mia terra».
Giunti a destinazione, mi fermo e scendo assieme alle ragazze per scaricare i bagagli, e la solita chiacchierona mi dice:
«Ci scusi, se l’abbiamo seccata con le nostre chiacchiere».
«Ci scusi veramente, ma come ha potuto notare anche lei, la mia amica è proprio un’impicciona». Aggiunge la sua amica, ritirando il suo trolly e salutandomi.
«Forse il suo ragazzo ha solo paura. Da quello che ho capito, è molto giovane anche lui e bisogna dire che quando un uomo pensa di aver trovato la donna giusta, quella della sua vita, talvolta viene preso dal panico e non sa cosa fare. Ma vedrà che se è una cosa seria, tutto si aggiusterà». Rispondo.
«Io invece domani sera sarò a casa, in Puglia, e la prima cosa che farò sarà quella di pensare a lei e salutargliela». Mi dice la chiacchierona, forse per interrompere quello che stavo dicendo. Io le sorrido e le stringo la mano.
«Grazie signorina. Molto gentile». E rimango a guardarle mentre si allontanano nella notte fredda e imbiancata dalla neve, trascinandosi dietro rumorosamente le loro valige.
Si è fatto veramente tardi. Mi rimetto in macchina, e tornando a casa penso che sono passati quasi cinquant’anni da quando ho lasciato il mio paese, ma ogni volta che ci ritorno e respiro l’aria del mare, provo sempre la stessa struggente emozione.
Dicono che casa sia dove vivi, dove lavori, dove hai la tua famiglia, ma io sono nato e cresciuto al Sud. I miei parenti sono tutti lì. I miei amici d’infanzia, quelli veri, quelli di sempre sono tutti lì, quelli che mi è dispiaciuto lasciare quando sono partito sono tutti lì. Tutte le persone care che mi ritrovo a ricordare, sono tutte in Puglia.
Tutti gli altri, quelli che sono venuti dopo, mia moglie, i miei figli e i nipoti, sono a mille chilometri di distanza dalla mia terra o a quasi due ore di volo che dir si voglia.
Avevo tredici anni quando mio padre ha deciso di venire a cercare lavoro qui al nord ed è partito. E ne avevo quindici quando, una volta trovato impiego e sistemazione, ha deciso di portarci tutti con se a Milano.
Mia madre cominciò subito a dirlo ai parenti e fece i bagagli, ma io piangevo, non volevo andare. Non volevo staccarmi dai miei amici, dai miei compagni di scuola, dalla mia casa, dal mio paese. Non ero come mia sorella che aveva cinque anni e non aveva ricordi nel cuore e nella mente.
Eravamo sul treno e io continuavo a non dire una parola. Guardavo fuori dal finestrino e tenevo il broncio. Ce l’avevo con mia madre perché si era lasciata convincere, con mio padre che incolpavo per aver deciso di portarci tutti con lui. Dentro di me continuavo a non capire la necessità di quel trasferimento, o più semplicemente non lo ritenevo giusto. E solo adesso capisco quanto sia stato duro anche per i miei genitori prendere quella decisione. Anche loro del resto lasciavano la propria terra e i propri affetti, oltre agli amici che non hanno più ritrovato.
Oggi sono anziano, con la stanchezza addosso e qualche acciacco, ma sono sempre più deciso a voler tornare nella mia terra. Questo non so quando accadrà e non voglio pensarci. Non voglio immaginare che la mia vita finisca lontano da dove sono nato. Non voglio pensare che resterò per sempre lontano, in bilico tra la nebbia e il freddo del nord e il sole e il mare del sud.
Sono passati tanti anni eppure lo so, la situazione non cambia e rimane sempre la stessa. Al sud ci sono poche possibilità di lavoro e la storia si ripete. I giovani d’oggi, come i giovani del tempo di mio padre, se vogliono realizzarsi devono partire e non solo per venire qui a Milano, ma vanno anche più lontano: in città europee o addirittura americane e, quando si saranno sistemati, quelle sconosciute città diventeranno il loro nuovo Paese. E lì lavoreranno, si sposeranno, avranno dei figli che parleranno fin da subito una lingua sconosciuta, e della terra dei padri non importerà nulla. Intanto il tempo continuerà a trascorrere e quei giovani partiti per cercar fortuna, si ritroveranno vecchi e con la nostalgia nel cuore. Come è successo a me.
Arrivato a Milano, ci ho messo un po’ ad abituarmi e apprezzare questa città. Quando un posto non ti appartiene, è difficile ambientarsi. Andavo a scuola, mi facevo nuove amicizie, ma i ragazzi avevano un’altra mentalità, si può dire che parlassero un’altra lingua, e tutto ciò influiva sul mio stato d’animo e anche sul rendimento scolastico.
Per fortuna si cresce e a tutto ci si abitua. Frequentavo nuovi amici e mi aiutavano a sentirmi meno estraneo. Poi ho conosciuto una ragazza, mi sono fidanzato, mi sono sposato, ho messo su famiglia, e la ruota continua a girare.
Le prime volte, quando tornavo al mio paese, con l’accento del nord che avevo acquisito, facevo ridere i miei amici ma io non ci badavo, ero contento di trascorrere l’estate con loro e forse mi faceva anche piacere essere preso in giro, perché voleva dire che mi consideravano ancora uno di loro e non ero stato dimenticato. Mi intrufolavo nelle sagre paesane, facevo il filo alle ragazze, qualcuna la riconoscevo, altre, che avevo lasciato poco più che bambine, ora erano delle belle ragazze e provavo un certo imbarazzo ad avvicinarle, a parlare con loro.
In mezzo a tutte quelle persone che non conoscevo e non mi riconoscevano, pensavo che sarebbe stato bello poter restare con loro; decidere da soli cosa fare della propria vita, ma purtroppo non sempre è possibile. Quando si è ancora ragazzi, c’è sempre chi decide per te, come hanno fatto i miei genitori, per il mio bene e per il loro. Ma il nostro bene qual è? Che differenza c’è tra fare il tassista a Milano o in Puglia? Certo, anche oggi i giovani si lamentano che al sud non c’è lavoro, e allora tanti fanno le valige. Ma comunque il mio paese resterà sempre la mia casa, il luogo dove sono nato, cresciuto e ciò che negli anni ho perso per sempre: i colori, il clima, il mare, i profumi, i cibi che non ho più assaporato e il dialetto che ho quasi dimenticato.
Quando torno in Puglia, mi capita ancora di essere avvicinato da qualcuno ed essere salutato cordialmente senza che io lo riconosca, com’è capitato con un mio coetaneo che ha chiesto:
«Ma sei Alberto, o no?» E io, un po’ perplesso, risposi di sì.
«Sono Martino, tuo coetaneo, abitavamo nella stessa via, giocavamo al pallone nello slargo, andavamo alle elementari assieme. Ricordi?» Proseguì, ma io questo Martino proprio non me lo ricordavo, ma gli sorrisi, feci finta di ricordarmi, gli strinsi la mano per non deluderlo, per non metterlo in imbarazzo e lui prosegue:
«Mi sono chiesto spesso che fine avessi fatto, e ho chiesto di te anche ai tuoi parenti e ho saputo che ti sei sistemato e stai bene. È stata una fortuna per te andare via. Qua è sempre la stessa cosa di sempre, non cambia niente. Anche i miei figli sono partiti. Valà che sei stato fortunato».
Ma io non riesco proprio a sentirmi fortunato.
Poi mi prese sotto braccio e m’invitò a bere una birra assieme. Aveva voglia di parlare, di sapere di me e al bar mi presentò altre persone. Non mi ricordavo di lui e non conoscevo nessuno, e mi chiesi come possa aver fatto a riconoscermi. Ma forse non sono cambiato poi così tanto, sebbene i miei capelli siano ormai pochi, grigi e porti gli occhiali. Non sapevo niente di lui e non gli chiesi niente, ma i paesani sanno sempre tutto di tutti. Sanno chi va e chi viene, come sempre, e non si perdono nulla di ciò che avviene in paese. Lo salutai e mi allontanai, ma subito provai un senso di solitudine e di smarrimento. Dove sono andati a finire quegli anni? Dove sono finiti gli amici di un tempo, quelli cresciuti con me, i loro visi giovanili e allegri? La gente che mi circondava era tutta anziana, mentre i pochi giovani del paese mi passavano accanto senza accorgersi di me.
Basta con i ricordi tristi, tra un po’ sarò in pensione, libero di tornare al mio paese quando vorrò e porterò con me anche mia moglie. I figli no perché hanno la loro vita e le loro famiglie. Loro le ferie le trascorrono in Romagna o in Sardegna.
Arrivato a casa lascio la macchina nel box, sperando che mia moglie mi abbia lasciato nel forno un po’ di stufato. Farò piano, è tardi e non voglio svegliarla.