Un uomo vestito di bianco e di speranza accarezza con lo sguardo dolente del padre i volti di ebano segnati da una dignitosa sofferenza. Un uomo vestito di bianco è giunto dalla Terra del Fuoco, estremo limite del mondo, per accendere la fiamma della coscienza umana nel lembo estremo della terra dell’opulenza materiale, simbolo tangibile del fallimento della nostra civiltà. Molto spesso i mutamenti epocali, che si sono succeduti nei millenni della nostra Storia, sono partiti da eventi solo apparentemente minori ed è pensabile che la visita di Papa Francesco a Lampedusa possa essere annoverata tra questi. Ci sono parole, come quelle pronunciate da Bergoglio lunedì scorso nell’Arena lampedusana, che scavano così profondamente nell’anima degli uomini, anche di chi crede di esserne impermeabile, da produrre mutazioni genetiche culturali irreversibili: “La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti innominati, senza voce e senza volto. La globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere.”
Non è una questione teologica, non si tratta di fede, non si circoscrive alla sfera dei credenti, o dei non credenti, o degli agnostici ma riguarda singolarmente e collettivamente gli oltre sei miliardi di individui che popolano il pianeta. Francesco ha voluto ed ha realizzato il suo viaggio a Lampedusa non tanto, e non solo, nella veste di vicario di Cristo e di leader religioso ma come uomo tra gli uomini, come un penitente tra gli ultimi del mondo, quegli uomini che lui stesso pochi giorni fa aveva definito come “il prodotto della civiltà dello scarto”. La drammaticità di questa definizione sta nel fatto che oggi gli ultimi del mondo sono l’80% della popolazione e questo ci fotografa una realtà nella quale una oligarchia finanziaria, rappresentativa solo di se stessa e dei propri interessi, ha potere di vita e di morte non solo sui singoli individui ma anche sugli stati, e addirittura su interi continenti. Orwell è sempre più invasivamente tra noi, spoglio anche dell’apparenza del benessere. Contro i dispensatori di morte si è scagliato Francesco, così come il Cristo duemila anni fa contro i mercanti del Tempio, con parole di raggelante chiarezza: è giunto il tempo di fermare tutti quegli organismi nazionali e sovranazionali che, in spregio alla dignità dell’Uomo, sono al contempo causa ed effetto della disumanizzazione della vita. Occorre ripartire dall’uomo non come oggetto da sfruttare ma come soggetto portatore di risorse materiali e spirituali. Occorre riportare l’uomo al centro del creato così come era stato forse immaginato da Dio, chiunque esso sia, perché ne sia il geloso custode delle ricchezze e non il forsennato dissipatore. Contrariamente a quanto si possa immaginare, punto focale del pensiero di Francesco non è Dio ma l’Uomo in quanto fatto a Sua immagine e somiglianza, e per questo non classificabile per genere, razza, censo, dislocazione geografica, credo religioso, appartenenza politica, potere economico, livello culturale. Ciascun uomo è custode del proprio simile e ne è da questi custodito, in questo senso il significato dell’accoglienza assume una connotazione più ampia del semplice aprire le porte della propria casa. È l’invito a cancellare l’indifferenza ed a guardare con attenzione, sollecitudine e solidarietà a quanti, anche in silenzio, ci chiedono aiuto. E le forme di aiuto possono essere molteplici ad iniziare dalla capacità di ascoltare. Ed il Signore rivolgendosi a Caino gli chiese “Caino, dov’è tuo fratello Abele?” e Caino di rimando “sono forse io il custode di mio fratello?”.
Non continuiamo a reiterare il drammatico errore di Caino.