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P.P.P.

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

1
NOV
2013
Sabato 2 novembre (domani per chi ci legge) ricorre la giornata della commemorazione dei defunti. Per rendere omaggio a tutti loro vorrei ricordarne uno: Pier Paolo Pasolini. Era l’alba del 2 novembre 1975 quando il suo corpo massacrato venne ritrovato da una donna sulla spiaggia di Ostia. Ero a Roma in quei giorni, ospite di un’amica giornalista allora a me molto cara, e fui testimone nella sede di Paese Sera di quel che accade nella redazione di un quotidiano nazionale quando deflagra un avvenimento di quella portata. L’incredulità, l’emozione, lo sgomento, la rabbia ed il dolore di uomini e donne che lo conoscevano e lo frequentavano si mescolavano con le esigenze giornalistiche di reperire fonti certe e particolareggiate che rispondessero alle mille domande proposte da quella ennesima tragedia nazionale. Perché la morte drammatica di Pier Paolo Pasolini non poteva, e non può, essere ridotta ad un mero episodio di cronaca nera. Scrittore, poeta, saggista, giornalista, sceneggiatore, regista tra i più grandi della cultura italiana del ‘900, ma soprattutto coscienza critica del nostro Paese negli anni che vanno dal boom economico agli anni di piombo, il solo intellettuale degno di questo nome, insieme ad Oriana Fallaci, che la cultura italiana abbia saputo offrire dalla fine della guerra ad oggi. Acuto osservatore della nostra società dal dopoguerra alla metà degli anni settanta, fu il chirurgo che vivisezionò il cancro delle abitudini borghesi e della emergente società dei consumi, di cui aveva previsto i danni devastanti che oggi viviamo sulla nostra pelle, e che aveva bollato senza attenuanti come una putrida rivoluzione di figli borghesi contro i padri borghesi il tanto decantato sessantotto. Comunista inviso alla nomenclatura comunista, ha esaltato la ricchezza delle diversità etniche e linguistiche della nostra terra al punto che già nell’agosto del 1945 scriveva “Nel nostro friulano noi troviamo una vivezza, e una nudità, e una cristianità che possono riscattarlo dalla sua sconfortante preistorica poetica”. Intriso di una profonda spiritualità ha tratteggiato una delle più intense e terrene figure del Cristo nel suo indimenticabile “Vangelo secondo Matteo”. Del Pasolini sceneggiatore e regista si possono ricordare capolavori assoluti, ma mi piace pensare ad un cammeo che conservo gelosamente nella pinacoteca della memoria. Il film è Capriccio all’italiana e l’episodio si chiama Che cosa sono le nuvole?, protagonisti Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Domenico Modugno. Magistrale nonché irripetibile! Ma è al Pasolini osservatore della realtà italiana a cui sono più legato. Il Pasolini che rivolto ai giovani del sessantotto li fustigava “Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli… La borghesia si schiera sulle barricate contro se stessa, i "figli di papà" si rivoltano contro i "papà". La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l'idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale”. Il Pasolini degli Scritti corsari, il Pasolini contrario all’aborto, il Pasolini che viveva sobriamente la sua omosessualità e denunciava “Oggi un omosessuale in Italia è ricattato e ricattabile, e arriva a rischiare la vita tutte le notti”. Poi proprio una notte, il 2 novembre 1975, questo patrimonio inestimabile del nostro Paese è stato saccheggiato, così che Moravia scriveva “La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un'epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile”.
 


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