Gli eventi metereologici delle ultime settimane, ripropone in tutta la sua drammaticità la più grave piaga del nostro Paese: la mancanza di una vera cultura ambientale, l’assenza di un progetto organico di tutela e di rivalutazione del territorio.
La cultura ambientale è patrimonio di tutta la collettività ed è trasversale a tutta la società. Questa visione ecumenica del bene ambientale è l’anello mancante che allontana drammaticamente il Paese, in particolare nella congiuntura che viviamo, da ogni possibilità di crescita economica e di sviluppo sociale.
Pensiamo al costo non più sostenibile della bolletta energetica del nostro sistema Paese. La necessità di svincolarci il più velocemente possibile dalle fonti energetiche tradizionali, investendo massicciamente sulle fonti alternative e sulle fonti rinnovabili, è resa praticamente impossibile dall’ostracismo dagli stessi organismi pubblici che dovrebbero agevolarne il percorso.
Pensiamo poi all’annosa e stucchevole questione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Un fastidio maleodorante, che potrebbe trasformarsi in una opportunità ed in una fonte inesauribile di ricchezza, è diventato oggetto di faide campanilistiche, di rivolte popolari e di spregevoli atti di vandalismo che ci additano al pubblico ludibrio del mondo intero. Mio malgrado constato come la forbice tra nord e sud del Paese raggiunge il massimo della sua divaricazione. Pensiamo infine alla questione più spinosa e, per molti versi, la più tragica: il degrado del territorio! L’unico ambito di vera unità nazionale, purtroppo.
Era l’ormai lontano 1966, il quattro novembre per la precisione, quando l’Arno esondò a seguito di piogge torrenziali, provocando una ferita irreversibile all’anima ed al corpo di una delle città simbolo della genialità della specie umana.
La Natura, in quell’occasione, aveva suonato il suo campanello d’allarme rivolto all’Uomo, urlandogli che non avrebbe più tollerato le continue ingiurie che questi Le infliggeva. L’Uomo è rimasto sordo, preso in un perverso vortice di autodistruzione, continuando a spopolare le montagne e le campagne, a disboscare selvaggiamente e a vomitare cemento la dove solo il verde aveva diritto di dimora, a deviare i corsi d’acqua, a scavare i letti dei fiumi per depredarli del loro umus, a disinteressarsi della pulizia degli argini riducendoli alla stregua di un clochard sporco ed irsuto. Abbiamo lanciato alla Natura il guanto di una sfida che non avremmo mai potuto vincere, ed oggi continuiamo a piangere i morti e le distruzioni.
Quando all’inizio parlavo di cultura del territorio mi riferivo appunto alla necessità di ricreare anche una coscienza del territorio che ci faccia capire come ogni catastrofe naturale, di cui siamo responsabili, rappresenta la perdita di vite umane ma anche il depauperamento del nostro ecosistema, del nostro patrimonio architettonico, del nostro patrimonio paesaggistico, del nostro patrimonio artistico, in una parola della nostra stessa identità. A livello istituzionale non sento levarsi voci perché si prendano iniziative concrete per cominciare, finalmente, a programmare una reale e seria politica di tutela del patrimonio territoriale.