Una speranza di reinserimento per i detenuti che hanno imparato il mestiere di pizzaiolo. Un (per)corso di formazione per il reintegro nella società. Parla il Presidente dell'Associazione tarantina "Noi & Voi Onlus"
Questa in effetti non è una storia da happy end, perché il fine, lieto o no, non è ancora accaduto. Però sicuramente è una bella notizia. Si é tenuto presso la pizzeria Nirvana di Taranto un corso per pizzaioli per detenuti ed ex detenuti. Il corso, durato ottanta ore cui hanno partecipato dodici iscritti, si è concluso il 25 febbraio con la consegna degli attestati di partecipazione a otto dei partecipanti, avvenuto a opera del Presidente del Tribunale di Sorveglianza, Massimo Brandimarte. Gli stessi partecipanti hanno poi ottenuto l'attestazione sanitaria per alimentaristi grazie alla collaborazione con il Tribunale di Sorveglianza di Taranto, la Confcommercio di Taranto e il gruppo Lions San Cataldo. Tutto questo grazie a un’associazione, di cui ci parla il suo Presidente.
Don Francesco, ci parli dell'iniziativa della sua Associazione.
«L'Associazione “Noi & Voi” da 20 anni è impegnata in favore delle persone che ruotano nel circuito penale e ha dato avvio a un Centro Socio Rieducativo per persone sottoposte o già sottoposte a regime limitativo o privativo della libertà. Grazie ai fondi otto per mille della Chiesa Cattolica con il Progetto Kairòs e alle tante collaborazioni con enti pubblici e privati, è stato possibile concepire questo Centro che, puntando sulla formazione e sul volontariato nell'ottica della giustizia riparativa e sulla ricerca del lavoro, possa permettere un autentico reinserimento sociale di detenuti ed ex detenuti».
Come hanno risposto i partecipanti al corso? E’ soddisfatto ?
«Siamo tutti soddisfatti quando il nostro spenderci per il bene dell'altro si concretizza in un passo avanti verso la vera libertà per una sola persona, figuriamoci in questa circostanza. Abbiamo selezionato circa una trentina di candidati al corso e fra questi ne abbiamo individuato dodici, di cui otto sono giunti al conseguimento dell'attestato di partecipazione. Gli altri quattro hanno trovato qualche lavoretto che permette nell'immediato una risposta alle impellenti esigenze personali e familiari o hanno scelto "altro". Chi è giunto al termine del percorso lo ha fatto con entusiasmo pur nella consapevolezza che ora bisogna sperimentarsi nel lavoro concreto, che non è cosa purtroppo né scontata né facile. E' per noi una grande soddisfazione aver contribuito al raggiungimento di una tappa importante come quella della formazione».
Quali elementi secondo lei sono essenziali per il corretto recupero di un detenuto ?
«La base su cui si fonda un corretto reinserimento sociale è una rete relazionale positiva che permetta un emergere della propria reale personalità e questo avviene nella propria famiglia o con chi si propone come educatore, compagno di viaggio e non mero spettatore di un cammino di vita.
Messe queste fondamenta, la formazione personale e professionale, la restituzione all'altro di ciò che si è ricevuto attraverso un volontariato nell'ottica della giustizia riparativa, e il lavoro sono i tre passi fondamentali per un reale reinserimento sociale».
E’ sufficiente predisporre un piano di rieducazione da seguire solo durante la detenzione o ritiene sia indispensabile un programma post detenzione per completare il percorso reintegrativo ?
«Se per detenzione intendiamo la vita in carcere credo debba tornare a essere l’estrema risposta alla commissione di reati e non la panacea, lo scatolone dove nascondere tutti i problemi irrisolti della società. Personalmente non sono mai stato abituato a nascondere la polvere sotto i tappeti. La pena e non il carcere deve tornare a essere certa, anzi come dice il titolo di un prossimo convegno dovremmo invocare la "Certezza della rieducazione" e non della pena. Alla società interessa non avere più problemi e non nasconderli. Non può il carcere essere contemporaneamente la risposta giusta alle problematiche psichiatriche e di dipendenza da sostanze e altro, e allo stesso tempo la risposta alla criminalità organizzata, non può essere la risposta a una crescente povertà economica e a un atteggiamento anti sociale. Credo che una riforma per quanto complessa del penale urga nella nostra bella Italia».
Ritiene che il recupero sia possibile in tutti i casi?
«Ogni situazione va affrontata nella sua specificità. Che ci sia sempre una risposta questo è certo. I detti popolari dicono che a tutto c'è rimedio tranne alla morte... Cristo è risorto e ha sconfitto anche quella. Allora possiamo avere la certezza che tutti i problemi hanno una risposta, sta a noi però non essere superficiali, non nascondere le nostre difficoltà negli scatoloni che sono oggi gli Istituti Penitenziari. Dobbiamo avere il coraggio di riformare la giustizia anche in ciò che è l'esecuzione della pena, che va personalizzata e non generalizzata».
In quale modo pensa che lo Stato potrebbe aiutare le varie associazioni e i detenuti stessi affinché si giunga a un reale recupero?
«Lo Stato secondo il principio di sussidiarietà deve integrarsi con le risposte dei privati. Credo che in un periodo come questo in cui si parla di tagli e di aumento delle assunzioni la risposta per il carcere viene da sola. Chiudere molti degli Istituti Penitenziari dove, fra struttura, spese varie materiali e personale si giunge a una retta di 125 € al giorno, e pensare a delle piccole strutture diversificate dove le rette si aggirano intorno ai 35 € al giorno ed il personale è adeguato anche numericamente oltre che professionalmente alle esigenze degli ospiti. Il carcere come si presenta oggi potrebbe essere considerato solo come risposta alla criminalità organizzata e a qualche irriducibile».
Don Francesco, la salutiamo e le auguriamo un buon lavoro.
«Grazie a voi».