Dopo il Cloro Rosso, occupano il Parco Archeologico e l’Archeo Tower. I cittadini rivendicano la mancanza di spazi e si organizzano, restituendo valore a quell’angolo della città abbandonato da tutti, ma apprezzato da molti
Sono studenti, precari, operai, tutti lì concentrati, nel il parco archeologico di Via Venezia, situato presso il quartiere Solito Corvisea.Parco Archeologico di Via Venezia, quartiere Solito Corvisea, e in quella struttura che sarebbe dovuta essere la torre di controllo del parco, l’Archeo Tower, adibita come punto di informazioni. Nell’intera zona sono presenti i resti delle antiche mura di Taranto, otto ettari di verde, inaugurato in grande stile, e immediatamente abbandonato al suo destino dalla giunta Di Bello nell’estate 2000; risultano in stato di abbandono sia l’area verde comprendente i siti archeologici, ma anche la piazzetta, la fontana e l’edificio. Conoscevo a malapena la piazza, pur passandoci spesso, tanto meno i ragazzi che vi si sono insediati; ho sentito parlar di loro tempo fa in maniera sporadica e superficiale, ma solo quando mi sono recata sul posto, per un’iniziativa da loro organizzata, in merito alla “Giornata dell’Immigrato” qualche settimana fa, ne ho appreso realmente l’esistenza. Incuriosita dal loro continuo fare in movimento, fuori in piazza e dentro la torre, dalla loro energia e vicendevole collaborazione, mi sono recata l’altro pomeriggio per conoscerli da vicino; Angelita, Massimo ed Ernesto erano indaffarati per l’organizzazione della proiezione di un film, che sarebbe avvenuta qualche ora dopo. Sono riuscita a “bloccare” Francesco Ferri e a farlo sedere accanto a me.
Da quanto tempo esiste l’Archeo Tower?
«Da quasi 4 mesi. Esattamente dalla metà di marzo, siamo entrati in questo posto per provare a sopperire alla mancanza di spazi pubblici in questa città; un luogo dove provare a creare cultura, riflettendo sulla nostra condizione soprattutto».
Si potrebbe definire un laboratorio di idee e di confronto?
«Sì, la nostra idea è questa: mettere su un luogo fisico che sia un centro di condensamento di tante idee, per provare a immaginare una città diversa rispetto all’attuale grigiore nel quale siamo immersi quotidianamente. Pensiamo a un’esperienza laboratoriale, che diventi ogni giorno una contaminazione reciproca di pensieri, di linguaggi e di varie alternative possibili».
Come avete maturato l’idea di stabilirvi qui?
«La nostra esigenza nasce da una costatazione e da una presa di coscienza; a Taranto non ci sono luoghi di ritrovo in cui non ci sia il profitto come protagonista, come i punti Snai, Bingo e i bar ad esempio. La nostra è una risposta e una sollecitazione all’inadempienza dell’Amministrazione comunale per il tema degli spazi. Noi sentiamo il bisogno di offrire tutto ciò che possiamo dare a questa città; dopo la vicenda della scuola Martellotta, che è il posto in cui stavamo in precedenza come Cloro Rosso, stiamo provando a dare una risposta pratica, ristrutturando questo posto e restituirlo al quartiere nel quale si trova. L’ex scuola Martellotta è ancora chiusa in attesa dei lavori di ristrutturazione che il Comune deve effettuare, e per evitare che passasse ancora tempo, mesi o anni, oltre a quello che è già trascorso, siamo giunti alla conclusione di occupare questo posto abbandonato».
Quanto tempo fa è stato chiuso il Cloro Rosso?
«Da gennaio 2011».
Sono diverse le voci di corridoio in merito alla chiusura di quel centro, qual è la vera motivazione?
«Il Comune l’ha dichiarato inagibile per la mancanza di uscite di sicurezza e qualche altra cosa, ma niente di strutturale, né trascendentale; a gennaio 2011 siamo usciti da quella struttura firmando un protocollo d’intesa con l’Amministrazione Comunale, in cui essa si impegnava a trovarci nel più breve tempo possibile un posto alternativo in attesa che si compissero i lavori del Cloro Rosso. In un anno e tre mesi di tempo non è stata trovata soluzione, né ci è mai stata data spiegazione, e dopo poco abbiamo maturato l’idea, anche per smuovere le acque e sbloccare la situazione, di agire in questi termini».
Avete incontrato delle difficoltà per insediarvi?
«Questa struttura è stata inaugurata 10 anni fa e subito dopo abbandonata, insieme al Parco Archeologico. Abbiamo svuotato l’interno di tutto quello che c’era, macerie e ogni tipo di rifiuto, raccogliendo anche un secchio pieno di siringhe; l’abbiamo igienizzato e montato finestre. Si può dire che la nostra sia un’opera di riqualificazione di questo spazio, totalmente abbandonato a sé stesso, ma fortunatamente stiamo incontrando favori da tutto il quartiere anche più delle nostre aspettative. Il vicinato ci dà una mano e ci sostiene per quanto è possibile, portando anche dei mobili per arredare l’interno; sono tutti molto contenti gli abitanti del quartiere, perché questo posto era completamente desolato, oltre al fatto che proviamo a creare iniziative culturali con cadenza più o meno regolare».
Che tipo di iniziative svolgete?
«Di vario genere: dal cinema all’intrattenimento, iniziative di approfondimento politico, presentazione di libri, attività ludiche con ragazzini e bambini. Sono abbastanza eterogenee le iniziative che mettiamo in campo, per far sì che questo posto sia frequentato da quante più persone diverse sia possibile».
Avete anche rischiato di farvi male togliendo siringhe e riparando porte. L’Amministrazione comunale è a conoscenza delle difficoltà che avete incontrato?
«Nel nostro piccolo abbiamo provato a dare l’esempio della città che vorremmo, il Comune fino ad ora non ci ha dato risposta, nonostante le nostre molteplici sollecitazioni. Speriamo che si trovi presto una soluzione giuridica a questa situazione, trovando in qualche modo la forma contrattuale di affidamento del posto, secondo la normativa vigente».
Preferireste rimanere qui o tornare al Cloro Rosso?
«Questa città ha bisogno di molti spazi, sarebbe un sogno se riuscissimo a mantenere entrambi, anche perché insieme a noi collaborano una rete di associazioni diverse tra loro, quindi avremmo bisogno di altri spazi oltre a queste due strutture. La nostra speranza è che questo sia un punto di partenza per un’esperienza più grande e diffusa».
Quali sono queste associazioni?
«Associazioni di vario taglio, che si occupano di immigrazione, del sociale, di cultura, di cinema, proprio per dare risposta a fasce più ampie di popolazione che non sia solo il target giovanile, cioè il nostro, dei ragazzi dell’Archeo Tower. Abbiamo tutti, o quasi, dai 20 ai 30 anni ed è quindi il target di età che riusciamo a intercettare più facilmente, però con la compartecipazione di tutte queste associazioni, interagire con fasce di popolazione di età diversa della nostra, risulta più semplice».
Vi autofinanziate immagino…
«Certo, tutto quello che facciamo proviene dall’autofinanziamento, così come il sostegno di tutti coloro che collaborano con la struttura».
Riuscite a conciliare la vostra vita privata con la vostra vita qui dentro? Personalmente di cosa vi occupate?
«Le nostre attività e le nostre vite sono abbastanza eterogenee; la maggior parte di noi sta terminando gli studi. Naturalmente anche tra noi, ci sono molti precari, o comunque coloro che fanno fatica a trovare lavoro, pur avendo una formazione elevata».
Quindi c’è proprio rabbia e voglia di riscossa da parte vostra?!
«Si tratta del paradigma di come vorremmo, mediamente, che si comportasse la nostra generazione, che a fronte di queste difficoltà vissute abitualmente, prova a reagire dando una risposta immediata: conquistandosi spazio, di agibilità anche politica magari, piuttosto che stare a recriminare o a rimuginare della propria precarietà».
E tu cosa hai notato della vostra generazione? Si lascia intaccare dai cattivi modelli della società oppure no? Il vostro senso di ribellione è esteso a tutti?
«Le speranze ci sono e maturano di giorno in giorno. Stiamo riscontrando attorno a questo posto una serie di partecipazione che va aldilà delle nostre aspettative; quando c’è da fare, da mettersi in gioco, da discutere e da creare, la gente è pronta a farlo, oltre le solite belle parole prive di concretezza. La gente ha voglia di stare meglio, di stare bene e questa prospettiva ci dà molta speranza».