Anno dopo anno la nostra vita terrena, breve o lunga che sia, è scandita sin dalla nascita dal susseguirsi di date e ricorrenze che ci ricordano chi siamo, quali sono le nostre origini, a quali valori civili, etici e religiosi ci ispiriamo, quali sono i momenti della gloria e quelli del disonore della comunità nella quale viviamo. È così che celebriamo il nostro genetliaco e quello dei nostri cari e amici; le ricorrenze religiose dal Natale di Cristo alla Sua Resurrezione, dalla Pentecoste all’Ascensione; le date significative per la storia nazionale dal XXV Aprile al 2 Giugno, dall’8 Settembre al IV Novembre; quelle del nostro patrimonio civile e sociale dall’8 Marzo al I Maggio, quelle ludiche dal Capodanno al Carnevale, come pure le date che tengono vivo il ricordo degli uomini e delle donne che hanno sacrificato la vita per il Paese da via Fani a Capaci, da via D’Amelio a Nassiria. Tra queste date troviamo anche quelle che ci ricordano gli atti di codardia e di disonore commessi da alcuni criminali, nostri connazionali, i quali hanno calpestato con ignominia e vigliaccheria il senso di appartenenza ad una comunità di esseri umani da Piazza Fontana a piazza della Loggia, alla stazione di Bologna.
Ma ci sono anche date, solo apparentemente minori, che ci invitano a riflettere sulla reale tenuta della nostra malata ed imperfetta democrazia. Tra queste inserisco a pieno titolo il 26 settembre 2012. I fatti sono noti. La Corte di Cassazione ha sentenziato la condanna definitiva a 14 mesi di carcere per un giornalista accusato di aver commesso un reato d’opinione. Alcune brevi considerazioni.
Il giornalista è stato riconosciuto colpevole per responsabilità oggettiva, concetto per me aberrante, in quanto ha avallato la pubblicazione di un articolo, scritto da altri, essendo direttore responsabile del quotidiano. Il vero autore dell’articolo non è stato neanche minimamente sfiorato dalla vicenda giudiziaria.
Altra anomalia, la condanna è stata pronunciata sulla base di un articolo del Codice di Procedura Penale risalente al famoso codice Rocco, mai applicato nella storia della Repubblica, ritenuto a torto o a ragione l’espressione più negativa dell’attentato alla libertà di pensiero durante il ventennio fascista.
Stabiliamo, con questa sentenza, un altro triste primato a livello internazionale: non è mai accaduto in alcun paese occidentale che un giornalista sia stato condannato al carcere per un reato d’opinione e in generale, nel mondo, ci sono solo 146 giornalisti incarcerati per questo reato. Abbiamo poco da storcere il naso e sentirci perseguitati se gli organismi internazionali ci collocano intorno al 90° posto, molto dietro a paesi che nella nostra spocchia consideriamo del terzo e del quarto mondo, nella graduatoria che certifica il livello della libertà di stampa in ogni nazione.
Non sono sempre stato in sintonia con le posizioni di Alessandro Sallusti, il Nosferatu del giornalismo italiano, ma questa sentenza trascende il caso personale. Il pericolo di una deriva illiberale nel nostro martoriato Paese non viene, come molti hanno in buona o mala fede pensato, da un Cavaliere Oscuro di Arcore ormai politicamente finito né dagli altri politici in male arnese che riempiono il nostro desolato panorama, bensì da una magistratura ormai fuori controllo che sta producendo danni inenarrabili alla nostra vita civile e sociale dal lontano, ormai, anno di disgrazia 1992. Spero per tutti noi, indistintamente, che non sia già troppo tardi per una benefica resipiscenza collettiva.