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ILVA / CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

27
NOV
2015
Che si parli di diritto al lavoro, alla salute, alla dignità umana, a Taranto sembrano valori caduti in oblio. Autorità in ‘melina’ e cittadini esausti e quasi afoni. Una domanda sorge spontanea: dov’è finito lo Stato che tutela l’onorabilità del cittadino? Se il lavoro delinea la dignità dell’uomo, la sicurezza e la compatibilità ambientale dovrebbero garantirgli rispetto
 
Pensando alle centinaia di morti per mano della grande industria, subite da Taranto e dalle sue cittadine più prossime, d’istinto torna alla mente un famoso romanzo di Gabriel Garcìa Marquez “Crónica de una muerte anunciada” pubblicato nel 1981, uscito in Italia l’anno seguente. E’ solo un voler beneficiare del titolo di un’opera che, seppur sviluppata su tematiche diverse, indubbiamente rievoca un obbiettivo ambito dagli uomini: il riscatto dell’onore. Un diritto morale che l’uomo rivendica, in qualità di persona, a tutela della propria dignità. Parlando di Ilva, almeno negli ambienti della provincia tarantina, non si può evitare di valutare quanto quel diritto etico, sia o meno osservato nel vissuto civile. 
Il binomio ‘dignità-rispetto’ è davvero per tutti, cittadini e lavoratori? Si pensi che nel 2000 sono stati avviati studi scientifici ed epidemiologici sulla popolazione che vive a ridosso dell’area industriale della provincia ionica e dopo 13 anni di osservazione, i periti hanno affermato che <sono attribuibili alle emissioni industriali 386 decessi totali (30 per anno). Negli ultimi sette anni (sino al 2013) 178 sono stati sono stati i morti soltanto da pm 10. Novantuno abitavano i quartieri Borgo e Tamburi, quelli più vicini allo stabilimento siderurgico Ilva insieme con il Paolo VI. Proprio in questa zona è stato riscontrato un più 27% di mortalità rispetto alle stime effettuate sui dati messi a disposizione dell'Organizzazione mondiale della Sanità con un incremento nella popolazione maschile del 42% per i tumori maligni e del 64% per le malattie dell'apparato respiratorio>. La stessa indagine rivelava come le donne che vivono nel quartiere Tamburi soffrano di ischemie cardiache e che gli uomini maggiormente colpiti risultano essere dipendenti Ilva. Gli operai che hanno lavorato negli anni ' 70-' 90 hanno mostrato, un eccesso di mortalità per patologie tumorali; in particolare per tumore dello stomaco (+107%), della pleura (+71%), della prostata (+50%) e della vescica (+69%). Tra le malattie non tumorali sono risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64%). Si apprende inoltre che la morte non ha risparmiato i lavoratori con la qualifica di impiegato, tra i quali è stato riscontrato un eccesso di mortalità per tumore della pleura (+153%) e dell'encefalo (+111%). Per non dimenticare i bambini nati con gravi malformazioni, o che hanno contratto malattie respiratorie e linfatiche, segnando dati statistici  significativi di tumori in età pediatrica. Dati contenuti anche nella relazione operata anche da tre epidemiologi di fama (i professori Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere) e consegnata al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, in vista del processo ora in corso “Ambiente svenduto”.  Così, chimici e medici hanno stabilito per la prima volta una connessione tra le malattie con morti causate da tumori e l'inquinamento prodotto dalle emissioni degli impianti industriali. E non finisce qui. 
Da diversi anni drammatici incidenti segnano per sempre la vita degli operai Ilva e delle loro famiglie. Troppi. Troppi operai morti. In pochi lustri sono già 50 vite umane schiacciate da un truce destino, durante il lavoro, per mancanza di sicurezza. Probabilmente anche per negligenza imprenditoriale, amministrativa e politica. Ironia della sorte, o beffa da inciviltà industriale, in proposito prevale lo sdegno verso l’ineluttabile cecità delle classi dirigenti, delle sindacali e, non ultima, della governativa di Stato. Si, diciamola tutta: solo grazie all’intervento della Procura di Taranto e della sua Magistratura che i lavoratori e i cittadini ionici hanno ottenuto un briciolo di riscatto. Almeno ne hanno avvertito vicinanza e solidarietà umana. Quanto e per quanti anni il procuratore capo Franco Sebastio si è speso a tutela della dignità dei lavoratori Ilva. Con lui, dal Gip Patrizia Todisco, al sostituto procuratore Antonella De Luca, quanti sequestri a titolo precauzionale sono stati attivati per essere poi sviliti dai decreti ministeriali. Le vicende giudiziarie dei Riva, proprietari del colosso siderurgico, non hanno impedito il protrarsi di inefficienze e prescrizioni AIA. Se a luglio del 2012 il gip Patrizia Todisco sequestrava senza facoltà d’uso sei impianti dell’acciaieria, il Governo Nazionale provvedeva a redigere il suo ennesimo decreto “salva Ilva” per dissequestrarli. A corollario interveniva pure l’allora presidente Ilva Bruno Ferrante che presentava alla Procura di Taranto istanza di dissequestro degli impianti dell'area a caldo del siderurgico, in quanto sottolineava “se il sequestro preventivo dovesse permanere, pur a fronte del mutato quadro autorizzatorio, l'ovvia insostenibilità economico-finanziaria condurrebbe inevitabilmente alla definitiva cessazione dell'attività produttiva e alla chiusura del polo produttivo”. Interpretabile con “ o dissequestro, o si va tutti a casa”. Un anatema per migliaia di dipendenti ed annesse famiglie che non speravano certo di perdere l’occupazione. Intanto alcuni di loro continuavano a morire; tanto per gravi patologie, che per incidenti sul lavoro. Gli inquirenti sono convinti che la loro morte è da collegare al mancato ammodernamento della fabbrica. Ne hanno scritto a chiare lettere i pubblici ministeri che “la mancata attuazione di un modello organizzativo e gestionale adeguato rispetto alla complessità aziendale ha rappresentato concausa non trascurabile in relazione agli infortuni occorsi negli ultimi mesi, che hanno comportato lesioni gravissime di un lavoratore ed il decesso di altri operatori, tutti impegnati nello svolgimento delle proprie attività lavorative, svolte in assenza di adeguate istruzioni operative e di misure tecniche atte a prevenire e ridurre i rischi per la salute e la sicurezza degli stessi”. Intanto si officiano esequie. 
Ai funerali dell’ultima vittima, presso la sala del regno dei Testimoni di Geova, hanno presenziato il Prefetto Umberto Guidato, il sindaco di Massafra e Presidente della Provincia Martino Tamburrano, le autorità militari, i rappresentanti dell'Ilva, della ditta Pitrelli e sindacali. Piacerebbe conoscere con quali sentimenti questi esponenti hanno vissuto il commiato del povero Martucci e cosa, e se, ha spigionato in loro il sermone dell’anziano del Tempio, il pastore Luciano Capriulo. “Esiste ancora la pietà”?  In una nota stampa i commissari Ilva Piero Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba,ultimi in ordine d’apparizione, hanno espresso vicinanza alla famiglia e annunciato che l’azienda “ha aperto anche un’indagine interna e sta collaborando con la magistratura per accertare le cause dell’incidente”. E quindi? Di certo, al momento, l’Ilva continua la sua strage. 
Il Governatore di Puglia, Michele Emiliano, nell’esprimere il suo cordoglio ha, in un certo senso, risposto ai nostri interrogativi quando ha detto che “la sequenza delle morti bianche continua ineluttabile senza che sia oggi possibile, neanche da parte della magistratura, intervenire sulla sicurezza del lavoro. Occorre dunque impartire, anche attraverso decreto legge se fosse necessario, direttive al management dell'Ilva per assicurare sicurezza del lavoro per chiunque valichi i cancelli della fabbrica. Visto che la magistratura non ha più potere di immediato sequestro preventivo degli impianti insicuri,  occorre che sia la legge stessa a sostituire i poteri della magistratura  che sono stati affievoliti, impartendo regole di comportamento a chi attualmente ha l'onere di gestire la fabbrica per conto del governo.  Solo a queste condizioni le istituzioni potranno esprimere il loro cordoglio ai familiari e ai colleghi di Cosimo Martucci e di tutte le altre vittime”. Anche la voce più autorevole di Puglia invoca quindi ‘dignità-rispetto’ per la vita umana. E si rivolge a chi può e deve agire. Al governo della Nazione. Allo Stato Italiano. Anche la Commissione Europea, il 26 settembre 2013, ha attivato la procedura di messa in mora  nei confronti dell'Italia,prima del deferimento alla Corte di Giustizia, con l'ipotesi che il Governo italiano non abbia garantito il rispetto delle direttive UE da parte dell'Ilva di Taranto, con gravi conseguenze per salute e ambiente, e in particolare per "mancata riduzione degli elevati livelli di emissioni non controllate generate durante il processo di produzione dell'acciaio". Il commissario all’Ambiente Janez Potočnik ha dichiarato in proposito che le autorità italiane "hanno avuto molto tempo per garantire che le disposizioni ambientali fossero rispettate, questo è un chiaro esempio del fallimento nell’adottare misure adeguate per proteggere salute umana e ambiente". La procedura di messa in mora nasce da un dossier di denuncia presentato a Bruxelles dalle associazioni Peacelink e Fondo Antidiossina. Dunque, in questi due anni, il Governo italiano ha risposto efficacemente alle richieste europee? Pare di no. Almeno non su tutto il richiesto dall’UE.  Eccetto commissari ed esclusivi decreti ‘Salva Ilva’. Però, mai uno ‘Salva Lavoratori e Ambiente’.
*Dal gennaio 2015, con l'ammissione di ILVA Spa, quale impresa strategica d'interesse nazionale, all'Amministrazione straordinaria per le grandi imprese in crisi (Legge Marzano - in vigore dal 2004, prevede l’accesso ad una procedura di amministrazione straordinaria commissariata che ha 180 giorni di tempo, più una possibile proroga di 90 giorni, per il piano di ristrutturazione), la Società Ilva (e le sue sette principali controllate) è guidata da un collegio commissariale composto da Piero Gnudi, Enrico Laghi, Corrado Carrubba.                                      In cosa riusciranno i nostri eroi?
 


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