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Una banana di cemento tra Messina e lo stivale

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

13
OTT
2016
Sarebbe il più lungo del mondo, creerebbe migliaia di posti di lavoro e, diciamolo, costituirebbe una bella dose di italica autostima agli occhi non solo dell’Europa. Ma è vero anche la realizzazione di questa gigantesca infrastruttura favorirebbe il sistema degli appalti a vantaggio delle mafie che già monopolizzano il settore delle opere pubbliche. Senza contare i motivi tecnici e ambientali. Insomma, siamo proprio sicuri di costruire il ponte in una zona a grande rischio sismico?
 
 
Da 250 anni prima della nascita di Cristo sino al regno di Carlo Magno, molti imperatori e re hanno ambito alla realizzazione di un collegamento stabile fra l’Italia e la Sicilia. Questa idea ardita, ha visto una rinascita dopo l’Unità d’Italia quando, una lunga successione di uomini di governo, ha annunciato l’imminente realizzazione di quest’opera faraonica, da portare a termine quale apice politico del proprio operato, come una ciliegina sulla torta del successo, quasi come un monumento fallico eretto a simbolo della prosperità. Non a caso, questo progetto è stato puntualmente rispolverato nei momenti di maggiore precarietà di governo. Fra gli ultimi premier, ma non ultimi, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. 
Il primo, nel suo tipico stile da imprenditore che deve il suo successo proprio all’edilizia e le grandi opere, ha sempre manifestato l’ambizione di realizzare il Ponte sullo Stretto, il secondo vi è arrivato per necessità, alla soglia del Referendum Costituzionale nel tentativo di acquisire maggiori consensi e compiacere, inoltre, proprio Silvio Berlusconi e il suo entourage.
In realtà Matteo Renzi è passato da un deciso parere contrario, palesemente espresso nel 2012 durante due interventi pubblici nei quali chiedeva che i fondi per la realizzazione del ponte fossero destinati a opere sociali, a un “NI” del 2014, per concludersi con tonanti “certo” e “siamo pronti”, espressi pochi giorni fa, durante i festeggiamenti dei 110 anni dell’impresa di costruzioni Salini-Impregilo. Quest’ultima è la società capofila del consorzio Eurolink aggiudicatario dell’appalto per la costruzione del ponte, il cui contratto fu sciolto dal governo Monti. In sostanza Eurolink vanta una penale di circa 800 milioni di euro, cui rinuncerebbe solo se i lavori cominciassero a breve. A oggi le velleità dei nostri governanti in merito al Ponte sullo Stretto, sono costate alla collettività circa 600 milioni di euro fra penali e progettazioni.
Per comprendere meglio la portata di quest’opera è necessario riportare alcuni dati tecnici.
Il Ponte sullo Stretto di Messina è annoverato fra i cosiddetti ponti sospesi. Se realizzato, sarebbe il più lungo del mondo superando di oltre un terzo l’Akashi Bridge in Giappone. Il suo progetto prevede due piloni alti 399 metri, con fondazioni profonde non meno di 40 metri dal fondo marino, una campata massima di 3300 metri, una lunghezza totale di 3666 metri e una larghezza di circa 70 metri. Per la costruzione delle sole fondazioni delle torri, sarebbero necessari 160 mila metri cubi di calcestruzzo mentre, solo per i cavi e i sostegni, 166 mila tonnellate d’acciaio. 
I costi per l’esecuzione dell’intervento ammonterebbero a circa 8 miliardi di euro che, secondo l’usanza consolidata nel nostro Paese, sarebbero destinati inevitabilmente a lievitare.
Esaminate le ragioni politiche, è necessario elencare i pro e i contro questa opera unica e senza precedenti.
La realizzazione di una congiungente fra la Sicilia e il resto d’Italia, determinerebbe l’indiscutibile facilità di movimentazione su ruote fra l’isola e il resto dell’Europa, generando il cosiddetto “corridoio Berlino-Palermo” tanto auspicato dall’ANCE. Il nuovo tempo di transito, pari a circa 20/30 minuti favorirebbe anche la Calabria che assumerebbe un ruolo importante quale trait d’union.
Successo indiscusso, sarebbe inoltre, detenere il primato per la realizzazione di un ponte frutto di altissima ingegneria e tecnica applicata alle costruzioni.
A parere del Presidente del Consiglio Renzi, vi sarebbe il vantaggio di generare 100 mila unità lavorative/anno per circa un decennio, oltre le successive figure necessarie alla gestione e manutenzione. In realtà le stime parlano di 40 mila unità lavorative/anno, ma tutti conoscono l’ottimismo del nostro premier.
Di contro, ci sono ragioni tecniche, ambientali, economiche ed etiche.
Un progetto così ardito si basa su dati probabilistici mai sperimentati, inoltre il rischio sismico, naturalmente imprevedibile, è una motivazione di per se sufficiente per annullare l’impresa. Un sisma, anche inferiore a quello registrato in quel tratto di mare nel 1908, minerebbe fortemente la stabilità delle strutture che, seppure non cedessero, oscillerebbero tanto da spazzare via qualsiasi mezzo in percorrenza. Anche senza sollecitazioni sismiche, l’elasticità della struttura impedirebbe la percorrenza ferroviaria che in Italia non prevede scarti così elevati nell’assetto dei binari.
Un’opera così invasiva, per come progettata, è irreversibile, pertanto determinerebbe un impatto sul territorio tale da generare modificazioni così profonde da alterare l’ecosistema. Le teste di ponte, a Messina e Reggio, richiederebbero la radicale modifica, seguente alla distruzione, di vaste aree di città e territorio determinando, inoltre, una profonda variazione idrogeologica. L’elevatissimo volume di calcestruzzo necessario, da reperire a breve distanza, richiederebbe la formazione di enormi cave per la produzione d’inerti con le conseguenze facilmente immaginabili. Chi produrrebbe tanto acciaio da soddisfare le esigenze costruttive? Dove sarebbero collocati i materiali estratti in quantità ciclopiche dai fondali marini? Un processo irreversibile di così ampia portata, comporterebbe un rischio ambientale troppo elevato.
Un impegno di spesa così ingente per una tratta stradale così breve, a fronte dei limitati vantaggi che offrirebbe, potrebbe trovare giustificazione laddove l’Italia e la Sicilia fossero già dotate di tutte le infrastrutture indispensabili. Nella realtà chiunque conosce la precarietà della rete stradale e di quella ferroviaria nazionali. La soluzione immediata, a prezzo sicuramente inferiore, potrebbe trovare riscontro nell’ottimizzazione e l’efficientamento del sistema di navigazione e traghettamento dello Stretto di Messina. Prima di un’opera così onerosa sarebbe utile considerare le reali situazioni dell’edilizia scolastica, sanitaria e carceraria. Perfino l’acqua, bene primario, non raggiunge tutto il territorio nazionale, in particolare nel Sud d’Italia.
Realizzare il Ponte sullo Stretto favorirebbe il sistema degli appalti a vantaggio delle mafie che già monopolizzano il settore delle opere pubbliche. Oggi non c’è nessun sistema reale per escluderle e, spesso, non vi è la volontà di farlo.
Sotto il profilo etico, modificare così profondamente quel tratto di mare, citato da Plinio, Eschilo, Omero per la sua bellezza e per la sua particolarità, significherebbe mutare la nostra storia e il nostro paesaggio. E’ davvero giusto congiungere le isole alla terraferma? E’ giusto che l’uomo prosegua le sue sfide contro la Natura? 
Quello che noi consideriamo giusto oggi, non è detto che lo sia per le future generazioni, la cui responsabilità già pesa sulle nostre coscienze.


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