Una delle più rinomate autrici noir del momento,
che ha dato alle stampe il suo ultimo romanzo,
Angelo che sei il mio custode.
Per i suoi sogni, non regalatele un cassetto ma un armadio!
Hai uno stile ben riconoscibile, una penna “veloce” per il noir, cos’è per te questo genere?
«Il noir è il mio ambiente letterario preferito, da sempre. Mi ci muovo come lettrice dalle elementari, mi ricordo che leggevo i gialli per ragazzi, e poi tutta la letteratura gialla e horror classica dell’Otto e Novecento e dei contemporanei: li ho passati tutti, italiani, francesi, americani, scandinavi. È una delle mie grandi passioni, dicevo, come lettrice, ed è stato naturale da scrittrice andare in questa direzione».
Sono sempre più numerose da un po’ di tempo le pubblicazioni di noir. Ritieni che il mondo dell’editoria abbia (ri)trovato una sua ricchezza attraverso questo genere?
«Spero proprio di sì. Dopo decenni passati a mettere steccati e paletti tra letteratura di genere e non di genere (problema tutto italiano, perché all’estero non se lo pongono), forse finalmente si sta cominciando a capire che queste distinzioni fanno male alla letteratura. Creano tra gli scrittori una divisione interna che non ha motivo di esistere, in un momento tra l’altro in cui l’editoria è messa malissimo. Non lo dico solo io mi sento di condividere pienamente il concetto che l’unica divisione ad avere un senso sia quella tra libri belli e libri brutti. E spero che si continui in questa direzione, facendo cadere anche altri paletti, ad esempio verso l’horror e la fantascienza di qualità, perché in Italia se ne scrive e se ne pubblica pochissima».
Nel 2009, con il tuo primo lavoro L’abitudine al sangue edito da Fazi, sei stata finalista al Premio Acqui Storia. Come nacque in quell’occasione la voglia di scrivere?
«In modo assolutamente casuale. Non avevo mai pensato in vita mia di scrivere un romanzo; in quel periodo poi ero molto impegnata perché avevo un assegno di ricerca con l’Università di Bari e stavo lavorando alla pubblicazione dello scavo di Seppannibale (un sito altomedievale presso Fasano). Una storia mi risuonava in testa, cominciai a scriverla e non smisi più per due mesi. Alla fine mi ritrovai un testo finito tra le mani di cui non sapevo che fare. Era senza dubbio una storia che aveva a che fare con la mia formazione storica e archeologica; forse anche per questo mi era venuto così di getto».
Sei un’archeologa, studi le civiltà e le culture umane del passato. Quanto influisce la tua formazione nella stesura dei tuoi libri?
«Tantissimo. Nel primo la cosa è evidente, ma in realtà lo è anche negli altri. Nell’ultimo, Angelo che sei il mio custode, l’ambientazione è archeologica, i luoghi sono quelli studiati, frequentati per lavoro, e quindi mi ci muovo molto bene. La mia formazione mi è servita moltissimo anche a scrivere, a impostare un testo, una struttura: scrivendo testi scientifici si impara a usare il linguaggio semplificando anche cose molto complesse, a essere chiari e logici. In un testo archeologico, poi, la ricostruzione degli eventi, dei tempi, delle azioni è fondamentale, e questo, credo, mi aiuti moltissimo nella stesura della struttura di un noir, che ha le stesse esigenze».
Con il libro I figli sono pezzi di cuore (Edizioni e/o, 2015) hai dato vita ad un personaggio-ispettore che ha infiammato la curiosità di molti lettori. Chi è questo ispettore?
«Gregorio Esposito, detto Gerri, 32 anni, pelle olivastra, corporatura media - ma è dimagrito parecchio ultimamente -, fissato con il cinema, beve solo Coca Cola, cresciuto a Napoli in un posto che lui chiama collegio e che era una specie di casa famiglia per minori abbandonati, origini rom, vero nome Goran, padre e madre ignoti. Fa l’ispettore nella terza sezione della squadra mobile di Bari, è spesso piuttosto scocciato di tutto quello e di tutti quelli che ha intorno. Ama stare vicino alle finestre, e la prima cosa che cerca, ovunque si trovi, è una possibile via di fuga».
A proposito del tuo ultimo recentissimo libro, l’avvincente Angelo che sei il mio custode, edito da e/o, quali “tracce” puoi dare per avviarci alla lettura di questo libro?
«Sono parecchie. La prima è la scomparsa dei minori, un problema purtroppo drammaticamente reale. La seconda sono i luoghi micaelici: il santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo, la Sacra di San Michele in Val di Susa, altre grotte sparse sul territorio pugliese. La terza: San Michele stesso, figura molto affascinante, nella religione, nella tradizione, nel culto popolare, nella storia e nell’archeologia. La quarta direi che è la grotta come metafora di una discesa verso l’abisso, dell’animo, del passato, della memoria. Infine, c’è la storia personale di Gerri, che va avanti (e anche indietro), rimettendo a posto qualche altro pezzo del suo passato».
Il libro ha avuto lo strillo (breve titolo, talora corredato di poche righe di commento stampato sulla prima pagina, ndr) di Donato Carrisi, uno degli autori di thriller più letti al mondo. È una bella soddisfazione. Di cosa parlano due autori di noir?
«Come stai? Dove stai? Che stai facendo? Quando ci vediamo? Stai scrivendo? Quando esce il tuo nuovo libro? Ah ma sai che ti ho letto\ti sto leggendo! Mi piace un sacco!
Ma che dici faccio così o così? Se passi da qui fatti vivo… A parte queste cose (non parliamo di morti, ecco, l’altro giorno in realtà parlavamo di caciocavalli!), direi che ricorro a Donato quando ho bisogno di un conforto e di un sostegno. Lui non me lo ha fatto mai mancare, e io lo ringrazio tantissimo di questo, e di molto altro».
C’è un aspetto molto particolare e suggestivo nel libro, una precisione direi maniacale! Porti il lettore non solo nel giorno e nell’ora in cui la vicenda si svolge, ma addirittura gli fai conoscere anche la condizione metereologica precisa. Queste precisazioni sono legate a qualcosa in particolare?
«Tu quando andavi a scuola da piccolo non controllavi le previsioni del tempo, per vedere se il giorno dopo nevicava? Io sì, sempre. E da là è nata la mia fissazione per la meteorologia. Che ovviamente da quando c’è internet si è alimentata parecchio. È una cosa che mi appassiona e che ha anche una relazione con il mio amore per il mare. L’avevo introdotta in un paio di capitoli per motivi narrativi, ma poi ho visto che funzionava bene, dava subito l’ingresso nel contesto narrativo del capitolo, e quindi l’ho usata come annotazione fissa».
Immagina di essere la lettrice di te stessa, come definiresti questo ultimo lavoro?
«Da lettrice è difficile, perché la mia percezione è diversissima da chi lo legge. La parola che mi viene in mente è: buio».
Chi è la persona a cui parli delle tue nuove idee?
«In genere ne parlo poco, preferisco prima scrivere, mi pare che se ne parlo si possa rompere una sorta di incantesimo. A volte posso dire qualcosa di vago, qualche dettaglio, e può capitare con le persone più impensate. Parlo solo quando sono già molto avanti con il lavoro, e se è finito meglio. Adesso è la mia agente, Arianna Letizia, la prima depositaria dei miei deliri in fieri».
Con un genere dalle caratteristiche ben specifiche, pensi di poterti rivolgere ad un pubblico vasto?
«Penso proprio di sì, il noir è un tipo di narrativa rivolta a un pubblico molto trasversale, sia per età che per formazione. Certo ci sono gli appassionati, ma anche chi non legge solo noir spesso fa una puntatina da quelle parti».
Che rapporto hai con i lettori?
«Immediatamente prima dell’uscita del libro, due, tre giorni prima, mi sale l’ansia e mi fa impressione che qualcuno possa leggermi. È la sensazione di una cosa mia che smette di esserlo. Poi quando “nasce” passa tutto, ed è bellissimo; mi diverto molto a parlare con chi mi legge, a sentire le loro idee, le interpretazioni che mai a me sarebbero venute in mente, le tracce nascoste a cui non avevo pensato. E di qui spesso sono nate delle bellissime amicizie. Direi che i libri mi hanno portato soprattutto questo: persone che mi vogliono bene e a cui voglio bene, e molte fanno ormai parte della mia vita».
Cosa credi che ora si aspettino dall’autrice Giorgia Lepore?
«Una nuova avventura di Gerri sicuramente. Ci sono quelli che mi suggeriscono: ma non fargli fare sempre male!, oppure: fagli prendere un po’ di pace!, o ancora: ma si fidanza? La trova una che va bene? E con Sara? E Lavinia? E la madre, la trova?
Questo aspetto è molto divertente, diventa una sorta di gioco di gruppo. È chiaro che c’è anche il lato “serio”: una responsabilità, un patto con il lettore, tu sai che non puoi tradirlo, devi mantenere le aspettative.
Per ora va bene così».
Cosa consiglieresti a un giovane che si avvicina alla stesura di un racconto noir?
«Di leggere tantissimo, il più possibile, le varie declinazioni del genere, italiani e stranieri, gli italiani per entrare nel linguaggio, nel ritmo, nello stile, fino a cercare il proprio; gli stranieri per la struttura, perché il ritmo della lingua e lo stile inevitabilmente si perdono nella traduzione (a meno che non si abbia la fortuna di leggere in originale). E poi provare a scrivere, senza sentire le regole degli altri. Le regole ognuno le trova da sé, per me la regola è solo una: leggere. Vedere come fanno gli altri e imparare».
In collaborazione con “l Presidi del Libro” di Martina Franca hai curato l’interessante rassegna “Nero su Pietra”, che ha ospitato numerosi autori italiani, svoltasi per Manufacta nel suggestivo spazio dell’ex-Ospedaletto. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«Tanto. Sarà per le persone fantastiche che sono venute a presentare i loro libri, sarà per l’energia fortissima che circola in quel luogo, l’entusiasmo e la passione di tutti i ragazzi di Manufacta, Michele Pastore e Roberto Romano in testa, sarà per il calore e l’accoglienza del pubblico: è stato bellissimo, la prova che se le cose si fanno con passione e mettendo insieme le forze, i risultati arrivano, trainano e convogliano altre forze e altra passione. Manufacta è una cosa importante per Martina, come lo è il Presidio del Libro, e io spero davvero che si continui in questa direzione. Anche con Nero su Pietra».
Sei anche tu del parere che in Italia si legga poco?
«Boh, se lo dicono le statistiche sarà vero. Ma non ne farei una tragedia, gli allarmismi non servono a molto, mi pare che dire alle persone di fare una cosa per “obbligo” sia uno dei modi migliori per allontanarla. La storia ha sempre molte oscillazioni, e magari questo periodo passerà presto e ne verranno di migliori. O di peggiori, chissà».
A chi senti di dire “grazie”?
«A tutti quelli che ho citato nei ringraziamenti alla fine del libro e a molti altri. Potrei dire a tutti quelli che hanno fatto parte della mia vita, alcuni sono rimasti, altri no, altri sono stati solo fugaci apparizioni. Ma tutti hanno lasciato qualcosa».
Sogni nel cassetto?
«Non mi bastano i cassetti, ho bisogno almeno di un armadio!».