Il tema ricorrente della legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere” solleva sempre tante polemiche nella dialettica quotidiana e politica. Un argomento controverso che va senz’altro chiarito.
La legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere”, ossia la loro libera vendita anche per scopi ricreativi presso esercizi commerciali autorizzati, costituisce un problema complesso ed interdisciplinare, giacché solleva importanti questioni di natura sociale e sanitaria.
Al momento, nel nostro paese, è tollerato, come tutti ben sanno, l’uso personale di queste sostanze, decriminalizzato sin dal lontano 1993, anno in cui venne sancita la non punibilità penale del tossicodipendente e del consumatore di droghe.
Poi, in anni più recenti, è stato regolamentato, dal nostro Ministero della Salute, l’uso terapeutico di alcune preparazioni contenenti cannabis o delta-9-THC, solitamente prescritte per patologie molto gravi (malattie neurodegenerative, tumori etc.) dove l’aspetto del beneficio che il paziente ne trae (riduzione della sofferenza) prevale sulla componente degli effetti indesiderati.
A tal proposito mi preme ricordare che il termine ‘farmaco’, tutt’oggi, mantiene l’ambiguità del suo significato etimologico: esso deriva dal greco antico φάρμακον, che significa, allo stesso tempo, rimedio e veleno. Pertanto, il medico giudizioso, in scienza e coscienza, decide di prescriverlo solo quando i benefici dell’assunzione (rimedio) controbilanciano favorevolmente gli eventuali effetti collaterali (veleno).
D’altronde, l’uso meramente ricreativo di queste sostanze, motivato dalla ricerca di un particolare stato di alterazione psicofisica (rilassamento, euforia, socievolezza, intensificazione di esperienze ordinarie etc.), desta particolari preoccupazioni, connesse al rischio di dipendenza patologica nonché ai noti effetti collaterali: è stato dimostrato che l’utilizzo protratto della cannabis può compromettere, in maniera non sempre reversibile, alcune importanti funzioni cognitive, minando così l’idoneità dell’individuo alla vita produttiva. Inoltre, è stato largamente dimostrato come l’uso protratto possa addirittura concorrere nella genesi di alcuni gravissimi disturbi psichiatrici.
L’eventuale legalizzazione dell’uso ricreativo di queste sostanze ne aumenterebbe la facilità di accesso, la disponibilità e, dunque, la diffusione, normalizzandone il consumo e riducendo nella popolazione la percezione di rischio connessa all’uso e all’abuso di queste. È probabile, inoltre, che il costo sanitario connesso al loro consumo possa risultare superiore agli introiti generati dalla loro vendita, così come già succede, secondo una nota stima della Casa Bianca, per sostanze, legali e tassate, quali l’alcol e il tabacco.
Di certo, nella piena consapevolezza del fallimento dei proibizionismi, non ci resta che confidare, in qualsiasi caso, nella responsabilità dei singoli cittadini. Meglio se opportunamente informati.