Molti genitori si interrogano sulla natura di questo fenomeno internettiano: un vero e proprio gioco al massacro. Capire per prevenire.
Alcuni sostengono che si tratti di una fola sensazionalistica montata ad arte dai giornali; altri, invece, ne confermano a viva voce l’esistenza; di certo si tratta di qualcosa che può accadere, pertanto ne parliamo, in scienza e coscienza, con lo scopo di diffondere un messaggio di sensibilizzazione a largo spettro, che, non limitandosi al caso specifico, possa investire tutto il fenomeno.
Per cominciare, non vi nascondo che l’adolescente di per sé risulta spesso molto attratto dai temi della morte e del male, perché, proprio durante la fase che sta attraversando, ne prende progressivamente consapevolezza, li comincia a temere e, in molti casi, finisce per esorcizzarli attraverso l’attuazione di tipici comportamenti apotropaici dove l’intesa col male sottende una richiesta implicita di protezione da esso stesso.
Quindi, l’insano intrattenimento di cui parliamo intercetta fraudolentemente la necessità del giovane di confrontarsi con i propri limiti per dimostrare a sé stesso che può superarli, che può, dunque, superare, per estensione metonimica, le avversità stesse della vita. Insomma, tale gioco ricalca in chiave macabra la logica dei rituali di iniziazione alla vita adulta, con la differenza che si spinge visibilmente ben oltre, ma di questo chi ne è coinvolto non può accorgersene da subito perché ci arriva solo per gradi, prendendo man mano confidenza con soglie di rischio sempre più spinte.
Infatti, questo scellerato percorso si articola in una serie di sfide a difficoltà crescente, che, coerentemente alla logica di tale competizione, finiscono per fidelizzare, attraverso un graduale coinvolgimento, il giocatore-adepto. Sì, adepto, perché i meccanismi soggiacenti a tale discorso risultano per molti versi assai analoghi a quelli delle psicosette. Riscontriamo, infatti, l’isolamento progressivo, la debilitazione psicofisica (compiti stanchevoli ed estenuanti etc.), l’indottrinamento sistematico (con martellante identificazione nel simbolo), l’intimidazione e/o la colpevolizzazione e la pressione gruppale (confronto con gli altri giocatori-adepti).
A ciò segue un quadro clinico caratterizzato da emarginazione (sociale, lavorativa), riduzione della flessibilità cognitiva (il senso critico può risultare sostituito da discorsi piuttosto stereotipati), emotività coartata o espansa, regressione (ad uno stato di dipendenza infantile), nonché possibile comparsa di segni fisici e di sintomi psichiatrici (depressione, ansia, deliri, fenomeni dissociativi legati all’acquisizione della pseudoidentità “settaria”).
Sebbene i potenziali giocatori-adepti rispondano in molti casi a determinate caratteristiche di personalità, non bisogna escludere che praticamente chiunque possa, specie se pressato da gravi fattori stressanti, cadere in questa trappola. Di certo, la conoscenza dei meccanismi e delle conseguenze di tale forma di plagio costituisce già di per sé un vantaggio, non esaustivo, ma abbastanza efficace nella prevenzione.