Dopo le denunce mediatiche, l’appassionato intervento di Mons. Filippo Santoro. Se più volte il governo della chiesa è intervenuto in operazioni di restauro degli interni e delle facciate laterali della Concattedrale, resta l’urgenza di riqualificare le aree antistanti (di competenza comunale)
Quella della Concattedrale di Taranto è sicuramente un grande capolavoro architettonico di fine Novecento, che porta la firma di uno dei più importanti architetti mai esistiti nel nostro Paese: Giò Ponti. Uno di quelli che ha contribuito alla rinascita e alla modernizzazione delle città italiane, ripensando l’arte e il design anche in linea con i nuovi standard europei del dopoguerra.
Quando sul finire degli anni Sessanta Mons. Guglielmo Motolese decise di portare a compimento l’idea di una nuova, grande, cattedrale in grado di diffondere la pastorale cattolica anche nelle nuove aree periferiche urbane - che intanto andavano aggregandosi attorno alla nascente Bestat o al rione Montegranaro-Salinella - trovò subito la disponibilità del famoso architetto Giò Ponti.
La Concattedrale di Taranto, inaugurata nel 1970 e dedicata alla “Gran Madre di Dio” rappresenta per la città proprio la sua identità, la cultura, la tradizione popolare. Difatti – e proprio in questo fu grande e originale lo stesso Giò Ponti – guardandola ad occhio nudo, anche a un profano dell’arte risulterebbe evidente l’accostamento della struttura a un enorme veliero di mare. Un veliero di “anime”, fatto di vele alte, tendenti verso il cielo, e traforate al proprio interno (per far “sedere su gli angeli”, disse il suo ideatore): proprio a richiamare la grande tradizione storica e marinaresca della città dei due mari. Anche le stesse colorazioni interne sembrano voler richiamare i colori del mare e dei coralli.
Tuttavia, quello che dovrebbe essere un efficace biglietto da visita, una carta da gioco potenzialmente vincente per la valorizzazione dei beni culturali e il rilancio in chiave turistica della città, ad oggi presenta ancora notevoli criticità. Le solite, da sempre. Un vero peccato, anche considerando la mole di letteratura universitaria che si spende sullo studio architettonico e il valore simbolico della Gran Madre di Dio di Taranto.
A denunciare lo stato di incuria, facendolo diventare un caso nazionale, è stato infatti un importante articolo comparso alcuni giorni fa sul quotidiano La Repubblica. Lo stesso, infatti, rilevava - documentando anche con foto - gravi lesioni alla facciata, calcinacci sporgenti dall’intonaco ed alcuni elementi di sporcizia nelle aree perimetrali. Ma, a ragione, lo scenario mortificante con cui i tarantini devono avere giornalmente a che fare è di certo quell’intollerabile “deserto” che si erge sulle vasche della piazzetta antistante.
Il tocco originale di Giò Ponti era proprio la funzione simbolica da attribuire a quelle vasche, le quali, una volta piene d’acqua, dovevano rappresentare il mare e specchiare appunto il Grande Veliero di una Concattedrale “senza cupola”. Ma ad oggi, quelle vasche vuote rappresentano solo l’incapacità politica e una cultura amministrativa, spesso deficitaria, di una città che non sa più che pesci pigliare.
Ad amore del vero, però, all’indomani della comparsa di tale denuncia su Repubblica, sempre dalle pagine dello stesso quotidiano ha fatto seguito un interessante, quanto coinvolto, intervento di Sua Eccellenza il Vescovo di Taranto Mons. Filippo Santoro, che bene ha fatto a evidenziare gli ultimi interventi strutturali della Chiesa - in piena autonomia - sulle aree di propria competenza. Notevoli infatti gli sforzi per il recupero: dalla ristrutturazione della stessa vela a gran parte degli arredi interni, fino alla facciata di via Blandamura, ossia tutte le aree interne i cui interventi sono in capo alla stessa amministrazione ecclesiastica e non a carico delle casse comunali. Segno di una chiesa tutt’altro che abbandonata, ma “viva, cuore pulsante delle attività diocesane, e parrocchia vivace e popolosa, che ospita migliaia di persone per celebrazioni e convegni”.
Effettivamente è così. Resta però l’urgenza di riempire quelle vasche, eliminando muschio, erbacce e sporcizia, e rimettere a nuovo le aree antistanti la ormai centralissima viale Magna Grecia. E questo può farlo solo chi di competenza (fermo restando la lotta al degrado e all’inciviltà di una buona minoranza di cittadini tarantini).