Tutta questa intransigenza sull’Ilva, unita alla ritrovata sensibilità del presidente Emiliano verso i bambini di Taranto, puzza tanto di guerra tra correnti interne al PD consumatasi a colpi di ipocrisie su un tema serio come quello ambientale e industriale. Ma tant'è
Riecheggiano ancora le parole del ministro De Vincenti pronunciate qualche giorno fa e tra le cui righe si poteva scorgere una velata minaccia verso Taranto e le sue rappresentanze locali: “non sarebbe una cosa logica perché il piano ambientale risolve alla radice i problemi posti dalle stesse istituzioni locali e prima di tutto dagli obiettivi che bisogna perseguire per il benessere dei cittadini tarantini”.
Gli faceva eco il viceministro Teresa Bellanova la quale, tentando di ingolosire l’uditorio, mostrava le classiche due uova in un piatto vuoto annunciando di aver “avviato la procedura per la copertura dei parchi minerali di Taranto” e che “i lavori partiranno da gennaio 2018″.
Ma il Sindaco Melucci e la Regione Puglia hanno deciso di andare avanti impugnando il decreto del presidente del Consiglio dei ministri sull’AIA per Ilva perché ritenuto illegittimo in quanto “concede di fatto una ulteriore inaccettabile proroga al termine di realizzazione degli interventi ambientali, di cui alle prescrizioni Aia, già da tempo scadute e sinora rimaste inottemperate”. Secondo gli enti locali in questione inoltre “il decreto consente all’Ilva di proseguire sino al 23 agosto 2023 l’attività siderurgica nelle stesse condizioni illegittime, e non più ambientalmente sostenibili, addirittura precedenti alla prima Aia, nonché alle Bat (Best available techniques) per la produzione di ferro e acciaio pubblicate nel 2012″.
Di fronte a tanta ostinazione, le minacce da velate si sono fatte palesi e questa volta è stato lo stesso ministro Calenda, il regista della porcata Arcelor Mittal, a parlare fuori dai denti decidendo di “congelare il negoziato sull’Ilva aspettando la decisione del Tar di Lecce sull’impugnativa del governatore della regione Puglia, Michele Emiliano, e del Comune di Taranto”. Secondo l’autorevole Ministro, l’iniziativa ”mette a rischio l’intera operazione di cessione e gli interventi a favore dell’ambiente. Se il Tar di Lecce accoglie l’impugnativa, l’amministrazione straordinaria dovrà procedere allo spegnimento dell’Ilva”.
Rispetto a questa riflessione che somiglia così tanto a un ricatto non si è fatta attendere la risposta del Sindaco di Taranto secondo il quale “Taranto non si fa ricattare più. Impugnare un Dpcm immorale mette a rischio la vendita di Ilva? Pazienza. Benvenuti in Europa, terzo millennio. Vuol dire che l'acquirente non era così convinto della più impegnativa operazione di riqualificazione industriale della storia del nostro Paese. Vuol dire che il fragile piano industriale non conteneva una grande prospettiva temporale. Vuol dire che occorreva soltanto un pretesto a tutti per sfuggire da una pessima procedura. Cosa meglio di un capro espiatorio tarantino? Film già visto, governo poco creativo. Se al contrario l'investitore è serio e deciderà di puntare comunque su Taranto, senza farsi condurre fuori strada da governo e commissari, si comprenderà che è la città di Taranto il principale interlocutore, l'unico che può a ragione porre la parola fine alla vicenda, in un modo o nell'altro, e senza che vengano tralasciate alcune delle variabili poste oggi dai tarantini. Venga a Taranto a parlare di miliardi di progetti, il ministro Calenda. Venga qui il viceministro Bellanova a dirlo alle associazioni di cittadini e genitori tarantini che devono attendere il 2023 prima che si valuti quanto e come si ammalano irrimediabilmente. Vengano i commissari a spiegare in piazza alle nostre imprese che in quei miliardi non si trova il becco di un quattrino per l'indotto, mentre imprese lombarde e liguri ancora lucrano in questo momento in uno stabilimento moribondo.
Che guardino negli occhi orfani, malati e lavoratori tarantini e dicano che l'acquisizione è a rischio, se per caso il sindaco o il governatore si azzardano a scandalizzarsi davanti ai fiumi rossi della città nei giorni di pioggia.
No, nessun ministro verrà qui a fare questo. Io i miei concittadini voglio incontrarli per le vie e voglio poterli abbracciare senza vergogna, per questo vado avanti, in tutte le sedi opportune. Lo scorso 29 giugno ho giurato sulla costituzione, per difendere diritti inalienabili, non devo fedeltà cieca a nessun partito. Rispondo ai cittadini, e ripeto: nessuno può ricattare me e Taranto. Nessuno”.
Visti così Rinaldo Melucci e Michelone Emiliano sembrano due salvatori della Patria, due impavidi guerrieri che contro tutto e tutti si fanno paladini della bistrattata Taranto avendo il fegato di sfidare i potenti nel nome della giustizia.
Ma, se incidentalmente il bieco intento di impedire di cedere uno stabilimento chiedendo come (quasi) esclusiva contropartita quella di “mettere la coppola” ai parchi minerari è una cosa giusta, non è detto che le intenzioni che hanno mosso i due esponenti locali siano altrettanto limpide.
Già, perché quella di AM Investco somiglia tanto alla vicenda Riva: arriva il “papa straniero”, stringe mani, fa sorrisi, promette laqualunque ma in realtà ha solo bisogno di tirare fuori tanto ferro dallo stabilimento per massimizzare il profitto nel contingente, non farsi rompere troppo le palle da chi addirittura parla di eco compatibilità e migliori tecnologie, tirando a campare finchè possibile.
Il tutto con la benedizione delle più alte cariche dello Stato (Prodi e Dini ci pare fossero felici dell’arrivo di Riva a Taranto) e stringendo rapporti speciali con le istituzioni locali.
Se, dunque, l’intemerata di Emiliano e Melucci dovesse servire a bloccare questo film già visto la cosa non sarebbe certo a danno della città.
La domanda in realtà è un’altra: come si concilia il Melucci morbido che accoglie i vertici di Arcelor Mittal non ricevendo alcuna rassicurazione con il Melucci barricadero di oggi? Come si concilia il Melucci che chiedeva di poter partecipare alla trattativa con gli indiani al Ministero dello Sviluppo Economico (ritenendo quindi la piattaforma un valido punto di partenza) con il Melucci che tuona oggi contro i lobbisti e gli oscuri traffici intorno a tale vicenda?
A voler pensar male, a noi pare che qualcosa sia cambiato: ci sembra proprio che sia arrivato il picco di freddo nel PD. In simili momenti gelidi, le correnti, si sa, soprattutto in campagna elettorale spirano molto forte.
Tutta questa intransigenza sull’Ilva, unita alla ritrovata sensibilità del Presidente Emiliano verso i bambini di Taranto, puzza tanto di guerra tra correnti interne al PD consumatasi a colpi di ipocrisie su un tema serio come quello ambientale ed industriale tarantino.
Maldicenze e sospetti a parte, crediamo che, indipendentemente dalle intenzioni degli attori in campo, alla città tutto questo rumore non vada male perché si riporta agli onori delle cronache un tema che da Roma avevano provato ad insabbiare spacciando un pastrocchio per soluzione: meglio ritrovarsi un nuovo Riva che, al netto delle promesse, ha prodotto a rotta di collo senza ammodernare nemmeno un bullone o tenere aperta la questione?