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Pietro Dione Siamo tanti, anche troppi

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

15
MAR
2013

 

In un Paese con un patrimonio come il nostro, neanche un architetto dovrebbe essere disoccupato. E invece soffriamo di attività edilizia mediocre perché ci sono tanti professionisti per poche vere occasioni di qualità
 
Aspetto pacato, sorriso rassicurante, attento a difendere la sua categoria e professione, che pur sottraendogli gran parte del tempo libero, continua ad approfondire e a incrementare. Pietro Dione, presidente dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Taranto, è un uomo che si batte con caparbietà per una causa che ritiene giusta e che ama approcciarsi al nuovo. E’ nato a Gravina in Puglia 60 anni fa, ma la sua vita si è sempre svolta a Taranto; diplomatosi all’Istituto Statale Lisippo di Taranto, dopo la laurea conseguita a Venezia e l’esame di  abilitazione all'esercizio della libera professione nel 1980, si è iscritto all’Ordine degli Architetti della provincia di Taranto. Da qui parte il suo percorso professionale nel territorio provinciale di Taranto e al di fuori dello stesso: nel Comune di Ferrandina ha effettuato opere di consolidamento statico e recupero di edifici storici e monumentali, mentre a Palagiano e a Palagianello ha progettato ed eseguito costruzioni di cooperative edilizie e capannoni industriali. Insieme ad altri colleghi, ha eseguito progetti di opere pubbliche, finalizzate alla valorizzazione turistica ed ambientale della fascia costiera occidentale di Taranto nell’area di Castellaneta Marina, oltre ad aver diretto l'esecuzione di alcune importanti opere di restauro a San Marzano e a Monopoli. Approdato all’Ordine degli Architetti di Taranto nell’87, ricoprendo prima il ruolo di Consigliere, poi Segretario, è attualmente Presidente. 
 
Di recente è scomparso Oscar Niemeyer, un pilastro della storia dell’architettura. Era tra i Suoi riferimenti oppure ha altri “maestri” preferiti?
«Niemeyer è stato uno dei più noti e importanti architetti a livello internazionale del XX secolo, tra i pionieri nell'esplorazione delle possibilità costruttive ed espressive del cemento armato. Le sue opere riflettono l'uso di forme dinamiche e curve così sensuali, che si può definirlo, come molti hanno fatto,  uno “Scultore di  monumenti”. Di Niemeyer amo la frase “non è l'angolo retto che mi attrae, né la linea diritta, dura, inflessibile, creata dall'uomo.  Quello che mi affascina è la curva libera e sensuale: la curva che trovo sulle montagne del mio Paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde dell'oceano, nelle nuvole del cielo e nel corpo della donna preferita”.  Per ogni innamorato di Architettura Oscar Niemenyer oltre ad essere un riferimento è un idolo da difendere nella sua interezza».
 
L'Italia è il paese degli architetti: ce ne sono quasi 150 mila, il quadruplo degli Stati Uniti e molti, molti di più che in ciascuna delle grandi nazioni europee.  Tanti architetti ma anche tanta mala architettura. Perché?  
«Siamo tanti è vero, anche troppi. Tanti architetti per poche vere occasioni di qualità. Eppure l’Italia potrebbe offrire per i propri architetti innumerevoli occasioni professionali, considerando che  è il Paese dell’arte. Per secoli l’architettura in Italia ha dato pregevoli esempi di sé; da più di qualche decennio però, non si riesce a offrire una buona architettura diffusa e gli esempi di progetti di architettura ben riusciti sono sempre meno». 
 
I costruttori badano al sodo e risparmiano il più possibile facendo nascere case e quartieri senza qualità.  Sono le imprese o gli architetti i maggiori responsabili della diffusa mediocrità (se non peggio) che pesa sull'attività edificatoria?
«Le responsabilità di tanta mediocrità nell’attività edilizia in Italia negli ultimi anni sono un po’ ascrivibili a tutti. Alle imprese, che preferiscono spesso fare cassa senza pensare troppo alla qualità di ciò che viene costruito; ai progettisti, architetti ma non solo, che a volte cedono alla ricerca della qualità per seguire strade più semplici. Ricordiamoci però che in Italia, diversamente da altre nazioni europee, non progettano solo gli architetti; qualcuno trascura che la qualità si raggiunge con la ricerca e lo studio. Una grande responsabilità è da attribuire anche alle amministrazioni pubbliche, che dovrebbero richiedere qualità e che spesso si accontentano solo degli oneri di urbanizzazione. Infine responsabili sono i cittadini, che non pretendono città belle e funzionali, accettando di vivere in contesti brutti e in case mediocri». 
 
In questo contesto, quanta responsabilità è da attribuire alle Università che sfornano cattivi architetti, grazie al sistema degli esami di gruppo e materie che spesso non hanno niente a che fare con la realtà? 
«Non sono d’accordo; la preparazione nelle nostre università è di buon livello. In alcune facoltà il livello è addirittura ottimo e riconosciuto in tutta Europa. C’è una forte differenza invece, tra ciò che si impara durante il corso di studi e quello che si fa invece fuori, durante la quotidianità della vita professionale. Il problema delle nostre Università è che non preparano al mondo del lavoro; sarebbe necessario un periodo di tirocinio formativo preventivo all’esame di Stato. La riforma delle professioni ha pensato anche a questo, anche se attualmente il tirocinio non è ancora attivo». 
 
L’Italia conserva un patrimonio culturale invidiabile che ben rappresenterebbe la nostra vera ricchezza in termini economici. Cosa significa essere architetto oggi in un Paese in cui, il tema dei beni archeologici, architettonici e paesaggistici è invece completamente ignorato?
«L’Italia possiede il patrimonio architettonico storico sicuramente più rilevante al mondo, ma questa ricchezza è anche un suo grosso limite. Lo Stato non riesce a gestire il suo patrimonio e non è in grado di conservare e tutelare ciò che all’Estero ci viene invidiato. Con un patrimonio storico architettonico come il nostro, ogni architetto italiano potrebbe potenzialmente non essere mai disoccupato».
 
Quali sono, a Suo avviso, le prospettive per un architetto alle prime armi in un contesto che dedica ben poca attenzione  alla progettazione architettonica di qualità? 
«Un giovane architetto che si appresta a cominciare il suo percorso professionale, deve, a mio avviso, non smettere mai di studiare, di formarsi, di aggiornarsi e di cercare la qualità. Solo così può affrontare i primi incarichi con lo spirito giusto, quello di un progettista che cerca di esprimere la sua professionalità al meglio».
 
Nell’ambito delle azioni dell’Ordine, ci sono delle iniziative che favoriscono l’inserimento e l’aggiornamento dei giovani professionisti?
«L'Ordine non ha poteri di inserimento o di tutela dei singoli iscritti; quello che può e che deve fare è tutelare la figura dell'architetto, valorizzando il suo ruolo all'interno della società. L’Ordine però, con la propria attività istituzionale, cerca di creare le basi perché si concretizzino occasioni professionali. Un esempio su tutti, è quello verificatosi all’inizio del nostro mandato, quando abbiamo sempre incentivato le amministrazioni locali a promuovere l’istituto del concorso di architettura, quale strumento per garantire progetti di qualità; ai concorsi possono partecipare tutti gli iscritti». 
 
Parliamo del ricorso al Tar di Lecce contro l’incarico affidato al Politecnico di Bari dal Dirigente del Settore Sviluppo Territoriale del Comune di Martina Franca. E’ da più di un anno che tentate di venirne a capo, come intendete muovervi adesso?
«Dopo la sentenza del Consiglio di Stato che rimandava gli atti al TAR per esprimersi nel merito, abbiamo atteso con ansia il pronunciamento del Tribunale Amministrativo Regionale di Lecce. Momentaneamente il TAR ha rigettato il nostro ricorso, ma abbiamo già dato mandato ai nostri legali di ricorrere nuovamente al Consiglio di Stato. Guardi, la nostra azione non è contro il Comune di Martina Franca, come qualcuno ha voluto dire nei mesi scorsi. La questione è di carattere generale e di principio. Se dovesse passare il principio, per cui le università possono ottenere incarichi pubblici, benché sotto soglia (al di sotto dei 40 mila euro) senza passare dall’istituto del Bando pubblico, si sancirebbe un punto di non ritorno per migliaia di professionisti tecnici, non solo del nostro territorio ma di tutta Italia. In pratica gli studi professionali, non potrebbero mai gareggiare in concorrenza con istituzioni che, a costo praticamente zero, impiegano ricercatori e personale interno per svolgere mansioni e incarichi, che sono prettamente di competenza di professionisti architetti o ingegneri. Per sancire questo principio di carattere generale, anche il nostro Consiglio Nazionale degli Architetti, ha ricorso in adiuvandum con noi. Recentemente il principio che vogliamo far valere anche a Martina Franca, è stato riconosciuto dalla Corte di Giustizia Europea. L’Ordine degli Architetti di Lecce, anche questa volta insieme al Consiglio Nazionale degli Architetti, è ricorso contro l’ASL di Lecce per un analogo provvedimento: in questo caso, gli architetti hanno avuto ragione. Ci aspettiamo che il Consiglio di Stato, forte di questa sentenza, ci renda finalmente giustizia; ciò nell’interesse di tutti, anche del Comune di Martina Franca che, fino ad ora non ha potuto avviare le procedure per il suo PUG (Piano Urbanistico Generale), non certo per colpa nostra».  
 
Rimaniamo in ambito locale. Da architetto, Lei ha una ricetta per tentare di coniugare in una città come Taranto le categorie del bello e del funzionale?
«Taranto è una città bellissima, lo dicono tutti; persino i nostri colleghi rumeni della delegazione dell’Ordine degli Architetti di Bucarest ce lo hanno ripetuto per tre giorni, quando sono stati nostri ospiti a Taranto per partecipare a un Convegno da noi organizzato lo scorso 28 gennaio. Sono rimasti letteralmente incantati da una città che non conoscevano e di cui hanno apprezzato la assoluta particolarità morfologica. Affascinati della città vecchia, per le bellezze paesaggistiche, colpiti anche per le grandi contraddizioni di questa città. Potenzialmente Taranto è ancora in grado di tornare a essere bella, deve solo decidere di fare scelte importanti che possano proiettarla nel prossimo futuro. E’ giunto il momento di prendere consapevolezza di dire basta all’espansione e concentrarsi un po’ di più verso la riqualificazione di ciò che già c’è». 
 
Quali sono le difficoltà principali che Lei affronta nel Suo ruolo di Presidente?
«Il ruolo di Presidente mi assorbe quotidianamente. E’ tutto tempo che viene tolto al lavoro e alla vita privata, in maniera totalmente volontaria; non è previsto infatti alcun rimborso spese per la nostra attività, per la mia come per quella del segretario o di qualunque altro consigliere. E’ un esempio nei confronti della classe politica che vive di provvidenze pubbliche; la più grande difficoltà che affrontiamo riguarda le problematiche economiche. Ultimamente, sempre più colleghi versano in condizioni di difficoltà mai viste prima, è un forte segnale dei tempi che viviamo. Come Ordine cerchiamo di essere vicino ai nostri colleghi come possiamo, ad esempio abbiamo deciso da diversi anni di non aumentare  la quota obbligatoria di iscrizione all’Ordine, nonostante negli ultimi tempi tutto sia aumentato e considerevolmente. E’ un piccolo esempio ma, a mio avviso, molto significativo». 
 
Cosa ne pensa delle costruzioni a impatto zero e in genere della Green Economy? Taranto è pronta a tali novità? Ma soprattutto, la Vostra categoria professionale è pronta?
«Non so se Taranto sia pronta ma sicuramente la nostra categoria lo è. Negli ultimi anni l’Ordine, con la collaborazione operativa della nostra Fondazione Archi.TA, ha organizzato diversi corsi sulla sostenibilità ambientale e sulla certificazione energetica, con l’obiettivo di formare una nuova categoria di professionisti attenti alle problematiche dell’ambiente e interessati a progettare sostenibile». 
 
Un Suo parere sul progetto dell’Ospedale delle tartarughe.
«Siamo stati i primi a sollevare pubblicamente la questione sui giornali. Ciò che abbiamo contestato non è la qualità architettonica del manufatto, non è compito nostro, ma è il mancato coinvolgimento del Comune per scelte localizzative così determinanti, tali da stravolgere lo skyline della città. Era davvero così impossibile cambiare localizzazione per la realizzazione del “Tartarugaio”? Non ci è stata data la possibilità di discutere, rimpiazzati dalla solita motivazione di sempre: perdiamo i finanziamenti!».
 
 Come interagisce il Comune di Taranto con l’Ordine degli Architetti? La presenza tra gli Assessori di Antonella Carella rappresenta un trait d’union privilegiato in tal senso?
«La scelta di Antonella Carella, quale assessore al Centro Storico del Comune di Taranto, è stata assolutamente indipendente da noi. Ne siamo stati felici per la collega, ma ciò non ha mai determinato un collegamento tra l’Ordine e l’Amministrazione comunale di Taranto, con la quale abbiamo sempre avuto e sempre avremo un rapporto dialettico schietto e leale, ma fermo sulle nostre posizioni. Il caso già citato del “Tartarugaio” lo dimostra». 
 
Un bilancio sull’attività della fondazione Archi.Ta.
«La Fondazione ha da poco superato i due anni di vita, è stata una bella intuizione. Avevo notato che altri Ordini, specie del nord Italia, avevano costituito al loro interno una Fondazione alla quale deputavano una serie di attività che gli Ordini, così come sono costituiti, non posso portare avanti. Una per tutte, la formazione dei propri iscritti. Così abbiamo voluto creare questa “costola” dell’Ordine, per fare da braccio operativo nell’organizzazioni di attività formative e culturali. Tra queste, vi è la pubblicazione di ArchitettiTaranto, la nostra rivista sociale, oltre all’attivazione di corsi di formazione e aggiornamento per i nostri iscritti e non, e l’organizzazione di eventi culturali. Abbiamo iniziato tre anni fa con il Convegno e la mostra sull’Architettura sacra contemporanea in Puglia e abbiamo appena concluso i lavori di un importante convegno intitolato “Italia e Romania: ieri, oggi e domani” , nel quale abbiamo voluto ufficializzare la firma dell’accordo di programma tra l’Ordine degli Architetti di Taranto e i colleghi di Bucarest, per l’organizzazione di attività comuni. Un ponte tra Italia e Romania per sviluppare rapporti culturali e professionali per i nostri iscritti; un lavoro da vedersi in prospettiva di un allargamento dei nostri orizzonti non solo oltre i confini provinciali, ma anche nazionali. 
Con i colleghi rumeni, nostri ospiti per tre giorni, abbiamo visitato il centro storico di Taranto e visitato le bellezze di Martina Franca, ottimamente guidati dal collega Paolo Bruni, vicepresidente della Fondazione, che ha mostrato ai nostri ospiti le eccellenze del nostro territorio. Importante è stato anche il contributo di alcune aziende del territorio di Martina Franca, che hanno creduto nel nostro progetto e che hanno sponsorizzato economicamente l’evento». 
 
Una domanda poco diplomatica: qual è il rapporto tra architetti, ingegneri e geometri? Ci dica tutta la verità, La prego.
«Un sincero rapporto di collaborazione, nell’interesse delle nostre reciproche categorie. Ognuno nel rispetto delle proprie rispettive competenze professionali». 
 


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