“Breve storia triste.” Un incipit che ormai va di moda e ben si adatta allo stallo che la politica italiana vive in questi giorni. Un sistema proporzionale impaludato ha fornito una fotografia dell’Italia impietosa e fedele: tre poli, più o meno forti, ma singolarmente distanti dalla maggioranza assoluta dei consensi, necessaria per dare vita ad un governo.
Nei mesi scorsi c’era chi aveva provato a scommettere su un assetto istituzionale diverso, che valorizzasse il governo di una maggioranza relativa di italiani, ma il Paese aveva reagito urlando al golpe, magnificando le sorti progressive concesse dalla Costituzione “più bella del mondo” (cit.) e narrando le gesta mitiche del pentapartito, della prima Repubblica e della Milano da bere.
Accade dunque che in una sorta di beffardo boomerang, proprio quelle forze che hanno difeso a spada tratta il sistema elettorale proporzionale oggi si riscoprano impotenti, incapaci di dar vita a un governo, perché prive di un premio di maggioranza. Allo stesso tempo, proprio chi negava alla radice ogni forma di accordo con espressioni partitiche diverse, è costretto a rincorrere patti, contratti e altre alchimie, tese a cambiare il nome della rosa, ma non in grado di nascondere il suo impertinente profumo.
L’epilogo della storia è caotico: tutti vogliono il proporzionale e vogliono il maggioritario. Vogliono accordi di governo, ma guai a fare accordi di governo. Vogliono, fortissimamente vogliono, ma non sanno ciò che vogliono.