Dai preziosi ricordi di Antonio Fornaro, ecco come si passavano i giorni più caldi dell'anno quando non c'erano ancora i frigoriferi nè condizionatori
Ferragosto è diventata una festa come quella di Capodanno, anche se con temperature diametralmente opposte. Oggi i giovani amano trascorrere la notte tra il 14 e 15 agosto in riva al mare ballando, suonando, cantando e mangiando fino ad attendere l’alba del 15 agosto con i classici cappuccino e cornetto. Stessa cosa capita la notte di San Silvestro quando si va ai veglioni, o nelle case di volenterosi amici, e si attende l’alba del primo giorno dell’anno per ripetere il rituale del cappuccino e cornetto.
Così i giovani finiscono per trascorrere gran parte delle due festività standosene a letto per recuperare il sonno perso.
Il caldo opprimente di questa torrida estate ci ha incuriositi e per questo abbiamo chiesto al nostro “consulente storico” Antonio Fornaro di farci sapere come i tarantini mezzo secolo fa facevano fronte al caldo torrido.
“Ringrazio per la domanda che mi è stata rivolta perché mi fa tornare indietro in un tempo a me così caro perché coincidente con una Taranto povera, ma ridente e dignitosa. Oggi senza soldi è difficile combattere il caldo, ma mezzo secolo fa e anche alcuni decenni prima i tarantini avevano trovato un modo semplice per farlo: camminavano scalzi in casa e noi bambini lo facevamo, molto spesso, anche per strada. Ma il ristoro del fresco ci veniva regalato proprio dai martinesi”.
- Adesso ci deve spiegare il motivo...
“Durante l’inverno, quando a Martina Franca nevicava in abbondanza, trainieri tarantini trasportavano tonnellate di neve rappressa dalla città della Valle d’Itria al capoluogo ionico e la scaricavano nei sotterranei dei palazzi nobiliari predisposti ad accoglierla lungo le pareti rivestite di paglia. Erano le neviere”.
- Ma la neve non si scioglieva?
“No, formava un unico e immenso blocco di ghiaccio che d’estate veniva segato e trasformato in blocchi rettangolari e venduto ai rivenditori di bibite e alle famiglie che ne facevano richiesta ad un costo irrisorio”.
- E chi non si poteva permettere neanche questo come faceva a mantenere freschi quei prodotti che necessitano di un ambiente climatico adeguato?
“Latte, latticini, pesce e carne venivano messi in fila, come birilli, sulla soglia della finestra perché a quei tempi a Taranto si respirava ancora aria pura, non inquinata dalla grande industria”.
- Allora come era la giornata tipo di un tarantino sotto i raggi del solleone?
“Noi ragazzini indossavamo il costume da bagno da casa e ci recavamo agli stabilimenti balneari della Ringhiera, quello de Meste Aniedde e l’altro di Gigante, detto ‘Brasciola’.
Si accedeva con pochi centesimi, ma il divertimento era assicurato. Noi ragazzini, intanto, avevamo scoperto che al mattino alle 7 le suore del vicino convento di Sant’Anna scendevano a mare con le orfanelle e noi ce ne prendevamo beffa nel vederle timidamente immerse in riva al mare soltanto con i piedi. Ma il più grande divertimento, anzi una grossa birbonata, era rappresentata dal foro che praticavamo nelle cabine di legno per sbirciare le donne quando indossavano il costume da bagno. Ne facevamo di tuffi dai trampolini e ne raccoglievamo cozze dagli scogli, mentre i più audaci con martello e scalpello rompevano gli scogli alla ricerca di squisiti, ma proibiti, datteri di mare. Che bello era raccogliere i ricci, le telline, le vongole e, talvolta, anche gli stessi pesci con le mani. Non pesavamo sul bilancio familiare perché il nostro salvagente era una vecchia camera d’aria di un’automobile fuori uso e ci bastava mangiare una semplice frisella inzuppata nella stessa acqua marina”.
- E cosa si mangiava a mezzogiorno?
“Pesce, tanto pesce, in tutte le salse, senza secondo e contorno, ma con una semplice, ma fresca, fetta d’anguria.
Nel primo pomeriggio le donne adulte che non potevano andare a mare si recavano sulle terrazze delle case per prendere il sole non spiate da nessuno, ma baciate dagli strali infuocati di un sole che spaccava anche le pietre. Poi si attendeva il rituale del ‘gratta gratta’ del pomeriggio che noi bambini andavamo a comprare dai rivenditori dei chioschetti. Ne acquistavamo di due tipi: per noi quello con le essenze colorate, quello bianco veniva portato a casa in giarlette e gli adulti aggiungevano a questo ghiaccio tritato caffè oppure orzata. All’ora del tramonto si infittiva la serie dei rivenditori ambulanti di gelati artigianali e di bibite fresche che venivano indicate con il nome di ‘decria viscere’ ossia la classica limonata. A sera si cenava all’aperto, alla buona, o nel balcone di casa o in riva al mare. Gli uomini giocavano a carte e le donne si raccontavano i pettegolezzi, pane quotidiano di ogni popolana tarantina”.
- Ma il caldo di notte come cercavate di sconfiggerlo?
“Semplicemente dormendo a torso nudo nei balconi di casa”.
- Quella di Ferragosto era una festa sentita dai tarantini?
“Certamente e in maniera semplice. Le mamme e le nonne fin dalle prime luci dell’alba preparavano teglie di pasta al forno, di parmigiana, di carni, di pesce, sacchi di frutta di mare e tanta buona frutta con damigiane di vino. Si doveva andare fuori porta e si sceglievano come luoghi il Galeso, il Mar Piccolo, il Pizzone o le spiagge più rinomate del Lungomare o di San Vito. Le nostre buone nonne si preoccupavano di due cose fondamentali: ci ricordavano che quello di Ferragosto era un giorno di ‘fortastella’, cioè un giorno in cui occorreva porre attenzione perché il pericolo di incidenti era in agguato; sempre le nostre nonne non dimenticavano la preghiera e, mentre noi consumavano gli spiccioli di questi ferragosti indimenticabili, loro sgranavano la corona del Rosario dicendo cento Ave Maria e aggiungendo, nel colorito dialetto: ‘quiste è u giurne de Santa Maria, me fazze ciende cruce e diche ciende Ave Maria’”.
E adesso anche le mete più particolari per il giorno di Ferragosto non riescono ad infondere quella gioia fatta di cose semplici ma vere, si balla, si canta, si fanno escursioni, si getta un occhio a una donna più in vista (agosto, moglie mia non ti conosco) e si pensa anche che domani è un altro giorno e tutti i problemi verranno a galla come quelli della mancanza di denaro e di occupazione.