L’attualità del mito di Falanto, il soldato migrante che fondò la città di Taranto riscattando le proprie origini e il diritto del suo popolo ad avere una terra dove vivere e prosperare
Taranto è una città ricca di storia, depositaria di miti e leggende da cui si fa addirittura derivare la sua fondazione. Il dipinto dell’artista Silvana Galeone, situato su un pannello ceramico, sin dal 2005, nei pressi del Lungomare Vittorio Emanuele, è infatti un omaggio alle radici e alla cultura magno-greca che da sempre abbraccia la città dei due mari e ne affascina turisti e semplici ammiratori del posto.
In soli 140 metri quadrati di lastra c’è tutta una tradizione, un filo comune che lega i popoli fratelli e l’attaccamento degli attuali indigeni alle proprie origini secolari.
Il mito di Falanto, l’uomo che nel dipinto è rappresentato semiaddormentato tra le braccia della moglie Etra, è davvero un racconto avvincente che ci ha tramandato lo storico Strobone mediante le sue versioni. È il racconto della fondazione di Taranto per mano di un emigrato spartano: un dettaglio che lo rende per certi versi anche attuale.
Alcuni libri interessanti e anche recenti, come quelli di Felice Presicci, di Domenico Musti o di Giovanna Pupino, ripercorrono le grandi tappe della Magna Grecia che hanno portato in particolare alla fondazione della città di Taranto. Ma se la storia rimane storia, talvolta il mito la fortifica e viene in suo soccorso per valorizzarne il contenuto.
Le guerre messeniche furono tre guerre condotte da Sparta contro i Messeni dall'VIII al V secolo a.C. per la propria espansione. Tutto ebbe origine da qui, infatti. Come racconta Strobone, queste guerre, seppure dall’esito positivo per la città di Sparta, furono davvero logoranti per gli spartani a causa di tanti anni di combattimento, al punto che la vecchia “metropoli” rischiava di non avere più una giovane generazione di soldati pronti a tutto. Il problema della natalità cominciava dunque a farsi sentire seriamente. E allora gruppi di “cittadini di seconda classe”, così come venivano chiamati appunto i vicini Perieci, furono autorizzati dagli spartiati a fecondare tutte le loro donne non sposate che lamentavano di non poter procreare, essendo gran parte degli uomini impegnati in battaglia. Da qui nacquero i Parteni (“figli delle vergini”) ossia figli illegittimi del popolo, perché di sangue minore, e cittadini di serie B, che non godevano di pieni diritti civili e politici ed erano costretti a vivere in patria vessati dalla discriminazioni e in condizioni di subalternità.
L’eroe delle guerre messeniche Falanto - il soggetto raffigurato dall’opera della Galeone - era appunto un Parteno. Una guida “degli ultimi” che cominciò a ribellarsi all’aristocrazia del tempo e a combattere per i diritti negati, per cui sarebbe giunto il momento di emigrare alla ricerca di nuove terre per il suo popolo. Ed è qui che si inserisce il mito che poi ha ispirato l’opera.
Per far questo Falanto si rivolse all’Oracolo di Delfi, dove l’autorevolissima sacerdotessa Plizia - che in stato di trance parlava per bocca del Dio Apollo - sentenziò che lo stesso che avrebbe invaso il largo di Saturo e sottratto terre alle Japigi nel momento più opportuno, ossia: "Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città". Ma una volta traversate le acque alla volta del golfo di Saturo, non poche furono le difficoltà che dovette attraversare il valoroso soldato tra le tempeste del mare e i problemi bellici con gli indigeni del posto attaccati ai loro confini. Il momento giusto non arrivava mai e questo mandò in disperazione Falanto che – si narra – un giorno si addormentò per terra ai piedi della fedelissima moglie. Fu risvegliato solo dalle lacrime che cadevano dal volto della propria Etra. Il momento per dare il colpo finale ai japigi e conquistare i loro territori arrivò allora con l’illuminazione: il “cielo sereno” a cui faceva riferimento l’Oracolo di Delfi era proprio il volto di Etra, il cui nome significava appunto cielo sereno. Così nasce Taranto secondo il mito.
Intrecciando mitologia e storia, si può dire allora che i tarantini siano in qualche modo figli di Sparta. La lastra in ceramica che affaccia sul mare ha una valenza fortemente simbolica: è il simbolo dell’amore di Etra e Falanto ma è anche l’amore per la propria cultura d’appartenenza e per le proprie origini. Dovrebbe significare voglia di riscatto per una città martoriata.
La fine di Falanto fu tragicamente distante dalla città che aveva fondato, perché costretto poi a vivere a Brindisi per problemi interni con i tarantini. Ma dopo l’avvento degli ellenici certamente Taranto cominciò a rifiorire e a riscattarsi non solo in campo economico e culturale, ma anche e soprattutto nel campo sportivo dove si affermò in varie discipline olimpioniche grazie alle imprese dei suoi fortissimi atleti.
Non resta allora che un quadro con una raffigurazione storica intrinseca di simbologia e narrazioni mitologiche, che visto al di là del suo significato, lo riporta però a una valenza sempre moderna e attuale da cui si deve partire per analizzare fenomeni sociali di più ampio respiro del tempo reale.