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Marco Carta, che pena la storiaccia delle magliette rubate / di Vito Massimano

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

3
GIU
2019

La vicenda è talmente meschina da non meritare l’attenzione dei media ma noi vogliamo raccontarla ugualmente: Marco Carta è stato pizzicato alla Rinascente di Milano mentre zottava delle magliette per un valore di oltre mille euro.

Il giovane rampollo della scuderia di Maria De Filippi ha respinto l’addebito tanto che il giudice ne ha disposto la scarcerazione ma, dopo aver acquisito i filmati delle telecamere a circuito chiuso della nota catena di negozi, ha fissato comunque l’udienza per il mese di settembre.

Ovviamente l’interessato ha ribadito con forza la propria estraneità ai fatti mentre a carico della donna che era con lui ci sarebbero prove abbastanza sostanziose. Noi ci auguriamo che sia tutto un malinteso ma francamente – illeciti penali a parte – riteniamo che la storia sia brutta comunque.

La vicenda è ai limiti del demenziale, una storiaccia che lascia una profonda tristezza perché dimostra che, quand’anche il cantante in questione non fosse implicato nel furto, avrebbe comunque scelto di accompagnarsi con una taccheggiatrice che si è messa a fare incetta di vestiti approfittando anche del suo atteggiamento omertoso.

Sulla vicenda comunque stendiamo un velo pietoso perché essa ci serve solo da spunto per comprendere cosa sia diventato il cosiddetto star system oggigiorno e cioè una fabbrica di trombati che poi finisce nel peggiore dei modi.

Ce lo ha dimostrato Pamela Prati con quella disgustosa pantomima su Mark Caltagirone degna della migliore Vanna Marchi e ce lo avvalora Marco Carta oggi coinvolto, seppur forse marginalmente, in una squallida storia di furtarelli.

La casalinga di Voghera a questo punto si stringerebbe nelle spalle invocando l’assenza di valori in questa strana epoca e giù con i soliti evergreen tipo “dove stiamo andando” piuttosto che “e non abbiamo visto ancora tutto”.

A noi dei valori interessa relativamente nel senso che accettiamo l’assenza purché ne valga la pena ovvero purché la rinuncia implichi un razionale di tipo culturale o economico.

Siamo cioè disposti paradossalmente a comprendere (non a giustificare) chi rinuncia all’onestà intrufolandosi nel caveau di una banca per fare il colpo del secolo o chi – come ad esempio Morgan – ha “deciso di perdersi nel mondo” per ragioni culturali, di sensibilità, estro artistico e quant’altro.

In sostanza, tendiamo a giustificare la perdizione Charles Baudelaire o la disonestà di Arsenio Lupin e non Marco Carta per molto meno.

E non possiamo non estendere idealmente il discorso fino a lambire la funzione di arretramento culturale di cui i vari reality e talent show si sono resi artefici. Questi ultimi, incarnando forse alla perfezione quel senso di frenesia di cui il mondo è affetto da qualche tempo, hanno permesso a chi ritiene di avere un talento di bruciare le tappe trovandosi sbattuto nello showbiz alla velocità della luce.

L’onda impetuosa che issa in tv orde di ragazzini con attitudini modeste, li spinge così in alto da generare meteore che passano nel mondo dell’arte senza che nessuno se ne accorga. Non è sempre così ma capita molto spesso.

Una volta la musica era un esperimento nato nelle cantine, proseguito sui palchi di periferia e coronato – se del caso – con il successo. Quando i soldi e il successo arrivavano eri pronto anche psicologicamente. Oggi è il trionfo del personaggio sull’artista, dell’interprete sull’autore, della scorciatoia sull’impegno.

E l’esperimento è piaciuto così tanto all’uomo moderno da esportare il modello anche in politica. Lo vediamo con questi movimenti nuovi di pacca nati sul web che – coerentemente – portano a bordo pionieri del “cotto e mangiato” come Rocco Casalino.

Una volta si facevano di acidi, sfasciavano le stanze d’albergo ma venivano dalla gavetta intesa come consapevolezza dei propri mezzi, tenacia, bagaglio culturale e lavoro graduale sul proprio talento.

Oggi, con una buona voce e un bravo agente, rischi di andare in prima serata da un giorno all’altro ma poi finisci a fare il pizzettaro con la stessa rapidità con cui acquisti fama, piombando nella frustrazione più totale, nella depressione cosmica se non addirittura nella rabbiosa emarginazione e nel bisogno.

E capita anche che ti pizzichino con una povera disgraziata a fottere magliette dagli scaffali dopo aver calcato palchi ben più importanti rispetto a quelli di un’aula giudiziaria.

C'est la vie direbbe Achille Lauro.



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