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Elogio del confine. La necessità dei limiti / di Lia Stani

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

7
GIU
2019

Focus di qualunque discussione politica, economica, sociale ed umana, in Tv, sui giornali o in qualche salotto di perbenisti è il problema dell’immigrazione: scuote coscienze, provoca rabbia e raccoglie consensi o dissensi.

Con che cosa si dovrebbe combattere il problema dell’immigrazione? La domanda è semplice eppure nessuno se lo chiede. Si va oltre. Molti intellettuali, parlamentari e buonisti anti – immigrazionisti, fomentano liti furibonde sulla criminalità prodotta dal fenomeno migratorio incontrollato e sui disoccupati italiani passivi alla concorrenza di migliaia di stranieri.

Da un punto di vista filosofico l’unico modo per controllare l’immigrazione è il confine, una sorta di argine civico considerato diritto inalienabile dei popoli, principio fondante della sovranità e disciplina economica di ogni società. Un mantra dopo l’altro c’è chi vuole abbattere i muri e chi vuole costruire ponti. Campagne promozionali che incitano all’oicofobia (come lo ha definito il filosofo britannico Roger Scruton), l’odio di sè stessi, della propria cultura e dei propri simili.

Nel mondo cattolico Ratzinger era un convinto sostenitore del diritto a non emigrare, Papa Bergoglio è a favore dell’accoglienza indiscriminata, tanto da inveire contro il muro tra Usa e Messico attribuito alla politica discriminatoria di Trump. Un muro la cui costruzione è iniziata con Clinton alla “White House”. Nel panorama politico italiano tranne il Pci, sostenitore dell’idea di un ripristino del valore dei confini come risoluzione dei problemi generati dai flussi migratori, tutti gli altri partiti dalla rifondazione comunista bertinottiana, ai vari Sel, Leu o i dichiarati “comunisti” perseguono l’idea dei “no border”, per un’accoglienza devota al riconoscimento dello “ius soli” come legge di civiltà ed integrazione per gli stranieri in Patria. L’esempio più calzante per chi tra loro non conosce la storia è la caduta del muro di Berlino. È un sigillo all’ignoranza di chi non sa che quel muro non era un confine tradizionale, non divideva popoli diversi, ma gli stessi tedeschi sconfitti nel 1943. Quel muro era una sorta di emergenza pensato dai dirigenti della Germania comunista, consci della fuga copiosa dei cittadini che avrebbe provocato nel tempo il fallimento della società dell’Est.

Abolire i confini per promuovere l’immigrazione e intensificare i processi di globalizzazione significa non tutelare e difendere i diritti dei lavoratori, abbassare i salari nel mercato del lavoro e infrangere soprattutto il diritto alla cittadinanza. Offrire la cittadinanza a tutti senza regole e distinzioni significa abolirla, proprio come i diritti che ne conseguono, come quello del lavoro.

È insindacabile che il confine preserva e favorisce la nascita di altre culture e civiltà. Garantisce anche la sicurezza di chi ha diritto a risiedere in qualsiasi società. Dai dati Istat purtroppo, risulta evidente anche come almeno per il 30% gli stupri in Italia sono commessi da stranieri per svariati motivi. “Nel mondo antico il concetto di confine -come afferma la storica Roberta Ioli - era fonte di ogni identità, di ogni peculiarità e di ogni sviluppo umano”. Il limite è in realtà l’elemento ordinatore del mondo, in cui convive il diritto al lavoro, alla sicurezza, alla cittadinanza, alla cultura e alla stessa identità. È un diritto inalienabile di qualsiasi società e non si può difendere come strumento di civiltà, di disciplina e di regolamentazione per l’arrivo di coloro che in parte sono realmente bisognosi, altri ospiti di passaggio e altri elementi indesiderati (e lo si dica senza paura).

Non si possono usare i sensi di colpa o il razzismo per la mancata approvazione dello ius soli in Parlamento. Il confine come il diritto alla vita e alla salute di un individuo, è un diritto di ogni popolo e non può essere svenduto o barattato in momenti di finto buonismo.



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