Chi scrive è un nutrito gruppo di donne italiane affetto da vulvodinia, una sindrome multi-fattoriale fortemente invalidante. È una malattia molto complessa che rientra nelle cosiddette allodinie. La vulvodinia può essere di tipo superficiale e quindi coinvolgere le sottili terminazioni nervose cutanee, o profonda, con il coinvolgimento dei tessuti fibromuscolari adiacenti. Nelle forme più gravi si arriva ad aver problemi di dolore con il solo contatto degli indumenti, con parestesie, fino a coinvolgere gli organi interni come la vescica o l’uretra. A volte questa malattia può coinvolgere solo il clitoride, l’ingresso vaginale, l’orifizio uretrale o tutta l’uretra. Si stima che la vulvodinia colpisca una donna su sette, circa il 15-16% della popolazione femminile, ma sicuramente sono dati sottostimati poiché molte donne - per vergogna o perché esistono ancora parecchi tabù - tendono a non parlare con i medici quando si tratta di dolori che riguardino la sfera intima, inoltre pochissimi medici la conoscono. Pertanto, non si tratta di una sindrome rara o poco diffusa, come spesso erroneamente si crede, ma purtroppo di una sindrome che a tutt’oggi rimane quasi un rebus per gli specialisti stessi che se ne occupano, poiché l’eziologia è varia, i sintomi differiscono, nonostante la presenza di una base comune, da paziente a paziente, e non esiste un unico protocollo di cura valido per tutte, poiché un farmaco o una terapia che giovano a una donna potrebbero addirittura danneggiarne un’altra. La qualità della vita delle donne affette da vulvodinia è a dir poco drammatica. La maggior parte di noi ha dovuto fare moltissime visite prima di scoprire il perché dei nostri dolori, siamo state e continuiamo ad esser trattate dalla maggior parte dei medici come delle pazze con disturbi solamente riconducibili a problemi psicologici. È importante sottolineare invece che il disturbo è fisico, servono anni per giungere a una diagnosi (la media stimata è di 4-8 anni) e che il ritardo diagnostico rende la sindrome assai difficile da curare poiché si cronicizza. I sintomi variano da donna a donna e comprendono bruciore (anche alla minzione), dolore pungente, senso di irritazione interno, secchezza, dispareunia (dolore durante i rapporti, talvolta talmente intenso da impedire i rapporti stessi con conseguenze che ben si può immaginare), dolore pulsante, prurito, rossore, gonfiore, lacerazioni spontanee, contratture gravi del pavimento pelvico. I percorsi di cura sono lunghi e per avere una risoluzione o solo un miglioramento bisogna affrontare la patologia su più fronti e con l’aiuto di più specialisti, come il gastroenterologo, l’urologo, il ginecologo, il terapista del dolore, lo psicologo, il neurologo… specialisti che quasi sempre o non conoscono per niente la malattia, o minimizzano. Addirittura accade che i vari specialisti pensino che le terapie date dagli altri medici siano sbagliate, innescando una confusione terapeutica enorme che porta a non sapere come muoversi. L’unico aiuto per noi donne che hanno dimenticato cosa sia una vita normale, sociale, lavorativa, d’amicizia, di coppia, sessuale, sportiva sono gruppi su Facebook o blog da noi stesse creati, all’interno dei quali ci si supporta vicendevolmente e si scambiano pareri sui vari percorsi di cura in atto. Il dolore e i disturbi che si associano alla sindrome interferiscono pesantemente con la vita quotidiana delle pazienti, molte di noi hanno perso il lavoro per colpa della malattia e i dolori possono essere talmente intensi da impedire la posizione da sedute, la deambulazione, il riposo notturno e condurre quindi a un vero e proprio stato depressivo e rischia di condurre a tentativi di suicidio. Il capitolo delle cure è un tasto a dir poco dolente: sono pochi gli specialisti che nel nostro Paese si occupano di vulvodinia e i costi per una visita arrivano addirittura alla cifra di cinquecento euro, nel caso dei medici più esperti, per non parlare delle terapie che in poche si possono permettere. Le donne che soffrono di vulvodinia sono spesso costrette ad affrontare costose trasferte in altre città o regioni, che condizionano la vita familiare e lavorativa. Inoltre, poiché la sindrome non è riconosciuta dal SSN, le cure e le terapie sono interamente a carico delle pazienti. Dato che questa malattia spesso richiede anni per essere curata, ciò comporta spese pesantissime e spesso insostenibili per le donne che ne soffrono e le proprie famiglie, tanto che sono tantissimi i casi di chi rinuncia a curarsi per mancanza di risorse economiche. C’è da aggiungere che la maggior parte di noi ha altre malattie comuni, come l’endometriosi, malattie autoimmuni, problemi ai muscoli elevatori dell’ano, al nervo pudendo, cistite interstiziale e cistiti ricorrenti o fibromialgia, quasi tutte malattie sempre non riconosciute dal SSN. Ciò che chiediamo, come appello corale, è che la vulvodinia sia finalmente riconosciuta dal SSN, in modo che le numerose pazienti possano vedere tutelato il diritto di curarsi (ricordiamo che il diritto alla salute è uno dei principi cardine di un Paese civile e democratico) e che si investano nuovi fondi nella ricerca scientifica, perché non è accettabile che esistano ancora patologie misconosciute o poco indagate, tanto da costringere chi ne soffre ad anni di sofferenze disumane: diteci come, nel 2020, una donna in Italia debba affrontare tutto questo.