Proprio ora che, a campagna elettorale conclusa, si prospettava un meritato weekend tra costiera e pastiera, le previsioni meteo – più pessimiste di Cassandra con i troiani – vedono, prevedono e stravedono due giorni di pioggia e grigio. Tanto vale rimanere a casa dunque e mettere ordine tra le priorità, di cui segue l’elenco. Ma, visto che i ritmi si sono allentati e che la costiera rimane lontana, almeno qui prendo la panoramica.
Il gerundivo latino è un costrutto che indica una cosa che deve essere fatta, e infatti viene chiamato anche “participio di necessità”. Adoro il gerundivo, perché dice molto in una parola sola e fa risparmiare molte energie: praticamente, il gerundivo è eco-chic. Mutande, faccenda, agenda: come indicare in altro modo con un suono così tondo e rassicurante – potenza della “d” occlusiva dentale - rispettivamente le cose che devono essere cambiate e quelle che devono essere fatte? Eppure, gentilezza sonora a parte, resta pur sempre il fatto che, nel mio caso, faccenda e agenda significano seccature.
Agenda n.1: cambiare casa. Quando gatti e libri aumentano, è necessario prendere un’abitazione più grande, naturalmente con giardino: non avete idea di quanto sia difficile trovare una casetta piccolina in città, con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà. Potrei fare a meno dei fiori di lillà, anche perché, per quel poco che rimangono fioriti, tanto vale buttarsi sulle tonalità più vitaminiche dei bouganville, ma il resto mi è assolutamente indispensabile.
Agenda n. 2: mangiare. Per buon senso e buona educazione non si dovrebbe mai parlare a tavola di religione e di politica. Essendo impossibile non parlare di politica finora ed essendo una persona educata, avrete capito quanto sia stato estremamente difficile per me dedicarmi alla convivialità in questo periodo. Ognuno ha il suo dio, che nasce nello specifico di una identità condivisa, dice Baharier, e quanto è vero. Quindi, in tempi di campagna elettorale, meglio è tacere su determinati argomenti e mangiarsi un’insalatina al Gran Caffè.
Agenda n.3: diventare vegetariana. Quanto è bella una tagliata con rucola e grana, e le bombette, fegatini, salsiccette e arrosticini. Rinunciare alla carne è dura, ma è naturale se si conoscono i metodi di allevamento: la voglia passa da sola. Non mi va di digerire agonie, come diceva Yourcenar, ma se trovassi qualcuno che mi rifornisce di carne proveniente da animali non imbottiti di antibiotici e tenuti in allevamenti che non siano lager, allora vada per l’arrosto misto. Purtroppo l’idea del pollo che scorazza libero nell’aia non è più compatibile con l’attuale domanda, e capisco anche le esigenze degli allevatori che devono produrre molto e spendere il meno possibile: allevare le mucche come faceva il nonno di Heidi sarebbe troppo costoso, ecco perché si stipano queste povere bestie in luoghi chiusi e angusti dove non si possono muovere, non vedono mai il sole e dove vengono nutriti con mangimi che li facciano crescere molto e in fretta. I vitelli vengono separati dalla madre immediatamente e conducono la loro breve vita di 22 settimane in box di metallo, imbottiti di anabolizzanti ormonali che ne facciano aumentare il peso con una minore quantità di mangime. Non parliamo poi dei polli, risparmio volentieri i particolari. Ebbene, io capisco la logica degli allevatori, capisco ma non condivido: non comprerò più carne se non da allevamento naturale. Conoscere lo stato delle cose comporta scelte che molto spesso si avvicinano all’idea di eticamente giusto: in soldoni, ognuno fa quello che vuole, ma se ognuno fosse realmente consapevole di quello che sta facendo, sarebbe meglio.