Fossi in Julie Gayet non mi fiderei di Hollande. In questi casi di recidivi patentati, infatti, la regola è: fatta una moglie (o una compagna ufficiale) si libera un posto da amante. E difatti monsieur le president finora se l’è prese tutte e tre graziose, biondo-castane, con borghesissima scriminatura laterale, engagée q.b., stesso modello ma aggiornato nel tempo. No, non mi fiderei affatto, neanche per il primo dei francesi, neanche per tutte le baguette del mondo. Certo, Hollande non è mica Enrico VIII – otto come numero di dinastia e di mogli – ma d’altronde è così sciapito che è vero, non ghigliottina le sue donne, ma non le sposa nemmeno. Insomma, in questa storia manca il pathos, mancano le tre S su cui si imperniano tutti gli interessi, almeno in questa parte di sistema solare. Soldi non ne girano molti: il nido d’amore è in prestito, lui a occhio e croce è tirchio; sangue non ne è stato sparso: giusto un mal di testa cum piantarello di lei (quella ufficiale) dopo aver appreso di essere titolare di un bel palco di corna che neanche un cervo a primavera. La terza S, poi, ebbene non ci interessa perché i protagonisti non hanno appeal, non sono belli come l’altro duo presidenziale d’oltralpe, Sarkozy-Bruni, e non sono neanche stilosi come Batman e Robin, così cool ed eternamente nerovestiti di latex.
Questa storia avrebbe avuto molto più motivo di interesse se fosse au contraire: non lui, ma lei a capo di uno stato, lei a cambiare sistematicamente compagno. Insomma, fosse stata la Merkel, sarei stata più contenta. Però poi ci ripenso: la Cancelliera è abbastanza agée poverina, e immaginarla in tutina da pipistrello, che orrore!