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L'inferno in terra

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

15
APR
2016
Certo, morire a causa di un ombrello conficcato in un occhio, in metropolitana, per mano di una perfetta sconosciuta è davvero una gran brutta fine, soprattutto se si è poco più che ventenne. Comprensibile quindi la rabbia dei parenti di Vanessa Russo, ferita mortalmente per futili motivi da una coetanea di origini rumene, Doina Matei, poi condannata a 16 anni di carcere ma posta in regime di semilibertà dopo nove di detenzione: di giorno Doina lavora in una cooperativa e la notte torna a dormire nel carcere di Venezia. E qui arriva il problema. La ragazza ha aperto un profilo facebook in cui lei appare bella, sorridente, in costume al mare, in giro per Venezia in traghetto. Queste foto hanno indignato gli amici e i parenti di Vanessa insieme a tutto un nutrito popolo social: a farla breve, è stata revocata la semilibertà. Vero, se otto o nove anni vi sembran pochi, si potrebbe obiettare, provate voi a stare in carcere, e comunque in Italia vige il principio di recupero del detenuto. D'altronde la Matei ha fatto quello che fa qualsiasi neo trentenne: andarsene a mare, sorridere e postare selfie su Facebook. Per queste tre attività non è neppure richiesto come requisito base un animo sereno: se Doina è tormentata dal gesto preterintenzionale compiuto non sarà certo un sorriso in foto a provarlo. Però capisco anche la rabbia dei familiari della vittima: è dura avere di fronte agli occhi l'assassina di Vanessa, che non solo non piange tutto il giorno, come magari fanno loro, ma se ne va pure a mare e mangia un gelato e sorride. Insomma, questo è un caso che come la pensi sbagli. Ognuno ha le proprie ragioni e la possibilità di scegliere: i parenti possono accettare cristianamente la pena inflitta o continuare a vivere il proprio inferno in terra; per Doina non rimane che  adottare ipocritamente un profilo mediatico basso fino alla fine della condanna. Ma non sapremo mai di chi e di cosa siano popolati i suoi sogni.
 


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