La tesi finale, per chi non volesse arrivare fino alla fine, è che l’uomo è sovente stupido come solo un grosso fagiano può esserlo. Ora, cari lettori, vi si offrono due possibilità: una è che – visto che sapete dove si vuole andare a parare – avete tutta la libertà di chiudere il giornale e fare ciò che più vi aggrada; l’altra consiste nell’armarvi di pazienza e leggere le argomentazioni che seguiranno. Scoprirete che cosa sono gli ocelli e che i maschi si devono sempre distinguere, e non certo per arguzia, anche se la natura li ha provvisti di ali.
Dunque, l’Argo è un uccello, un galliforme per la precisione, che assomiglia a un grosso fagiano. Vive per lo più in cattività, e fra un po’ capirete il perché, dove si dimostra docile con gli altri animali e con le persone, dando spettacolo della sua specialità: la danza di corteggiamento.
Innanzi tutto l’argo si prepara allo show pulendo la location scelta per il rito amoroso; dopo chiama la femmina e, avutane l’attenzione, punta le zampe per terra: a quel punto puffete! protende in alto la coda e in avanti le ali diventando un unico trionfo di piume, un’autentica, meravigliosa pacchianata. La femmina, più piccola e molto più modesta d’aspetto, sceglie il maschio con le penne alari più lunghe e vistose: e più ce le ha lunghe e più essa gradisce. Voi direte: buon pro le faccia. E invece no, perché l’evoluzione dell’argo maschio è fortemente compromessa da questi comportamenti: le penne remiganti secondarie, le stesse con cui la femmina va in visibilio quando il maschio gliele allarga davanti - e più sono grandi e più va in estasi - sono così ampie che il fagianone non può più volare. In più sono decorate da ocelli che Donatella Versace troverebbe audaci, figuriamoci i predatori, che individuano lo stolto uccello in men che non si dica.
Insomma, l’argo non è stupido, ma insiste in un comportamento stupido e assolutamente controproducente per la specie. Anche l’uomo si è intestardito in una evoluzione non funzionale, non soltanto con un atteggiamento di perenne razzia delle risorse naturali a disposizione, ma anche assumendo comportamenti di rivalità fra appartenenti alla stessa specie. Avendo fatto fuori tutti i pericoli extra-specifici, sfoga le pulsioni aggressive – frutto di accurata selezione di migliaia di anni, come le penne degli arghi – sui suoi simili, in svariati modi, dalle guerre all’entusiasmo militante, dalle nevrosi ai sintomi da stress.
Morale per gli arghi: le femmine non dovrebbero intestardirsi su chi ha le penne più lunghe, ma dovrebbero accontentarsi di uccelli più piccoli e discreti, meno sgargianti ma più funzionali all’evoluzione.
Morale per gli umani: non vi intestardite con l'apparire a tutti i costi, ma accontentatevi di uno stile di vita più lento, destinando il tempo (e ri-direzionando le pulsioni aggressive latenti) verso interessi culturali, sentimenti e discipline che creino unità di interessi e fini. O volete fare la fine dell’argo?