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Mamma di questa cosa. Rapsodia di una mattinata di inizio primavera

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

22
MAR
2013

 

Ah, furbacchiona che non sono altro: allungo il temino come quando a scuola si scriveva grande per riempire più fogli. In questi giorni stretti fra la Giornata mondiale della Felicità, quella della Poesia e l’inizio della primavera, diciamolo: lavorare è difficile, difficilissimo. Vorrei fare come Titiro, a zufolare disteso sotto un albero -altro che IMU-, oppure essere una di quelle pastorelle argute delle liriche medievali, in grado di tenere testa al cavaliere lumacone: «Fanciulla –direbbe lui-, mi son distolto dal cammino per fare a voi compagnia; una tale agreste fanciulla non può stare senza compagnia e pascolare tante bestie in un tale luogo tutta sola!» «Cavaliere –risponderei io- comunque sia, ben conosco il senno e follia». Tie’. E il meschino calunniato, avvilito, calpestato se ne andrebbe con le pive nel sacco. Che poi, a ben vedere, come mai non hanno mai istituito nei conservatori italiani il corso di piva? In fondo si tratta di uno strumento dignitosissimo, una variante appenninica della cornamusa, con l’otre in pelle conciata di capretto. Capretto? Santo cielo, allora no, lasciamo le pive nel sacco e i capretti vicino alle mamme, mamme belanti ma pur sempre mamme. Mamme di questa cosa che è figlia ma che è nuova in tutto, che quando ride non ride con gli occhi del padre o della madre, ma con occhi tutti suoi. Figlia in cui cercare non uno specchio da ammirare, ma lei e lei  soltanto e il mondo di quest’anima nuova. 
Si allunga il temino, con le parole scritte grandi ma anche piccole, a incastro come le pietre nei muretti, una dopo l’altra, squadrate e inzeppate a forza, per costruire cosa? un muro, una torre di Babele, un contrafforte, un riparo. Una vera fatica, di quelle che al settimo giorno già non se ne può più ed è necessario riposarsi. E poi vi chiedete come mai lavorare sia così difficile quando c’è la primavera, la poesia e in fondo anche la felicità?
 
TANE GROTTE VORAGINI
Di Francesco Granatiero 
Io che vado cercando
tane grotte voragini
profonde per scendere
a spegnere questa febbre 
e nell’humus scavo
con le mani, con la penna, 
che cosa vado cercando
al fondo di questa cava?
Può essere che una fossa
io scavi, nelle viscere
della terra, umida e scura, 
oppure un altro sole
scippo, un altro azzurro
e alla morte parole.
 



Commenti:

Mariolina 27/MAR/2013

Sono un'ammiratrice della poesia di Granatiero e mi fa molto piacere leggere qui la versione in lingua della poesia "Cafuerchie" e i riferimenti a "Sunètte", due poesie trasmesse da Radio 3 Rai il 21 marzo, Giornata mondiale della Poesia, nella calda vocalità del Poeta. Ma ancora di più gradisco la discreta citazione della poesia che ha per titolo "L'assemigghie | Rassomiglianze": «... Questa bambina nostra, questa cosa che ci è figlia, è nuova in tutto; e, quando ride, ride, né con i miei né con i tuoi, con gli occhi suoi. Questa figlia non dev'essere uno specchio dove poterci ammirare; e noi dobbiamo cercare in questi occhi azzurri, in questo mare profondo, lei soltanto e il mondo di quest'anima nuova» È una poesia assai delicata. Una poesia che piace a tutte le mamme. Tanto delicata questa, quanto forti e sostenute le altre due, quella nel riquadro e l'altra sui muretti a secco. Grazie per l'occasione di condividere il suo gusto per la poesia.

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