Oltre a vertere in uno stato di soddisfatto ottundimento dovuto ai pranzi infiniti di questi giorni, quando il sole aveva il tempo di calare tra un ovetto d’antipasto e un sorbetto di chiusura, pur volendo fare i timidi o ritrarsi in uno stato di muto impegno masticatorio, c’è stato qualcosa a cui nessuno è riuscito a sfuggire, né a tavola né nel formicolio festivo in centro: la conversazione. Complici il maggior tempo libero, le uscite più frequenti, i riti e la mollezza primaverile, la chiacchiera si è manifestata in tutta la sua potente necessità, ovvero riempire la distanza (da pochi intimi centimetri fino a qualche rispettoso metro) che il linguaggio non verbale ci impone verso l’altro. Che si sia trattato di un frettoloso «ci vediamo sicuramente in questi giorni per un caffé» o di raffinate disquisizioni da dessert, si è tutti (ab)usato di espressioni standard su cui poi fare partire le variazioni sul tema. Grande classico è stato: «Ma cosa ne pensate del nuovo Papa?». Non c’è stato consesso che non abbia tirato in ballo la fatidica domanda, sia come grand entrée che come jolly di riserva se il ritmo interlocutorio cominciava a scemare. E il feedback di ritorno era invariabilmente lo stesso: si cominciava con un tenero boato di generale approvazione; si pigliava bonariamente in giro Ratzinger e la sua teutonica freddezza; si continuava con un breve riassunto degli approcci “familiari” (i suoi “buongiorno”, “buonasera”, “buon pranzo”) e degli aneddoti come quello del panino alla guardia svizzera; infine, eccola spuntare, la tesi complottistica, detta un po’ a bassa voce e con l’aria di chi molto ha vissuto: «eh, ma, secondo me è troppo buono, lo faranno fuori subito…». Facoltativa la battuta: «Parla come Belen». Trovandomi di fronte a questo dialogo, se non impegnata con la frittata pasqualina, avrei detto la mia: sì, mi piace questo Papa, e mi piace che abbia ricordato che siano state le donne ad annunciare la verità della Resurrezione (oltre a cogliere il frutto della sapienza, anche a costo di perdere il paradiso dell’inconsapevolezza). Spero dunque – avrei continuato – che questo Papa possa far guadagnare alle donne pari dignità rispetto agli uomini non solo in base alla mera funzione procreativa (ché ci sono donne che non vogliono o non possono concepire come maternità biologica vorrebbe) e che si ponga fine a questa assurda tradizione per cui alle donne è precluso non solo l’accesso alle più alte cariche ecclesiastiche, ma anche il privilegio di potere dire messa. Avrei anche fatto notare che se al posto di don Abbondio ci fosse stata una donna, forse il matrimonio si sarebbe fatto prima, Manzoni avrebbe avuto meno da scrivere, e i ragazzi di oggi avrebbero avuto più tempo per studiare elementi di educazione sessuale e di contraccezione, invece che passarsi parola tra loro e sul web. Anche perché basta farsi un giro sui canali tv e in rete per capire che non discendiamo dai cavoli e pure la storia della cicogna, nonostante la sua scientifica verosimiglianza, non spiega il perché di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate. Ecco, avrei concluso, quando il Papa condannerà l’atteggiamento di quel prete che parla ancora di “peccato mortale” di fronte a una sana e felice convivenza, e quando accetterà l’esistenza di nuove forme di famiglia oltre a quella tradizionale, allora sì che mi piacerà ancora di più. Penso a tutte queste cose che direi però poi rifletto: ma chi me la fa fare? Siamo in un virtuale fine pranzo di Pasqua: il cielo stellato sopra di me, la frittata dentro di me, mi limiterei a dire, se non lo ha ancora fatto nessuno: «Il Papa? Parla come Belen!».