Nessun genitore vorrebbe sopravvivere ai propri figli. Non dovrebbe. Eppure accade perché la vita non segue un algoritmo. Non sempre. La morte di un figlio è il dolore più straziante per un genitore, salvo che non ne sia lui la causa e, anche in questo caso, il dolore potrebbe emergere con la coscienza. Le reazioni derivate possono essere imprevedibili, proprio per la natura specifica dell’evento, e nessuno, essendo strettamente soggettive, può prevederne gli esiti. E così che un individuo estroverso e partecipativo, può manifestare la sua sofferenza con compostezza mentre un altro dotato di aplomb, potrebbe abbandonarsi ad atteggiamenti scomposti, quasi animaleschi. Nessuno, però, può giudicare le reazioni dei genitori al dolore per la perdita di un figlio. Sono incomparabili e non codificabili. Sabato 14 dicembre scorso, due coniugi si sono presentati al Pronto Soccorso del nosocomio di Sondrio, recando la loro bimba di cinque mesi con evidenti difficoltà respiratorie. Nonostante gli sforzi del personale medico e paramedico, la piccola paziente è deceduta. A seguito dell’evento drammatico, la mamma della sfortunata bambina ha ceduto allo sconforto, abbandonandosi a urla e pianti disperati. Un decesso triste e una reazione dolorosa, come quella di ogni genitore che ha perso un figlio. Forse chiassosa, alterata ma che nessuno, oserebbe giudicare. Eppure, quello che dovrebbe essere un paradigma logico, non è una condizione scontata giacché, nel nostro Paese, anche se, fortunatamente in minoranza, ci sono individui che esultano per il naufragio dei migranti o imputano responsabilità alle vittime, laddove i carnefici siano a essi più affini socialmente o politicamente. Il silenzio e la riflessione, atteggiamenti scontati fra esseri civili, cedono il posto alle ragioni soggettive anche se errate o palesemente ingiustificate. Il diritto di espressione, invocato per esprimere la propria opinione anche non richiesta e proferita nel momento più inopportuno, è soltanto un lasciapassare al degrado più becero adottato come strumento di sfida per dimostrare la propria capacità di osare e trasgredire. Pertanto, non ci sono motivi per indignarsi se, mentre la mamma di quella bimba cedeva al dolore, nella sala d’attesa contermine al reparto di primo soccorso, alcuni pazienti in attesa del loro turno, infastiditi dalla disperazione della giovane, l’abbiano apostrofata con frasi offensive e razziste. Se in Italia sono istituzionalmente tollerati razzismo, xenofobia, neofascismo, nazionalismo, maschilismo, espressi apertamente senza subire nessuna conseguenza, perché dovremmo stupirci se una mamma nigeriana disperata sia stata gravemente offesa perché africana? È, infatti, insensato indignarsi per quanto successo a Sondrio, anche se questo sentimento ha interessato la maggior parte degli italiani, se Italia l’odio è divenuto prassi per ottenere consensi e governare perfino il Paese. Superando la contingenza che nella sala d’aspetto di un pronto soccorso non si dovrebbe udire nulla di ciò che avviene nel reparto, il fatto che una giovane mamma nigeriana fosse stata insultata perché esternava il suo dolore, allo stato di fatto, deve essere considerata normalità. E sarà tale sino a quando il razzismo sarà sminuito considerandolo un’opinione e non un reato. Anche avendo accertato che nella sala d’attesa del pronto soccorso di Sondrio si è consumato un atto razzista, provato da tre testimonianze e da alcune indiscrezioni, questo sarà repertoriato come una comune offesa e come tale giudicato. Intanto, alcuni quotidiani, con il sostegno della corrispondente compagine politica e il coro degli elettori in cerca di vittime sacrificali, non potendo esultare, si sono affrettati a smentire la vicenda come se non fosse mai accaduta. Come tutti gli episodi a sfondo razziale, anche questo è stato giustificato dal diritto democratico di espressione, in nome della Costituzione invocata, in questo e altre simili aberrazioni, da chi la vorrebbe sopprimere. La Costituzione italiana è divenuta scomoda. Anche perché nell’articolo 3 recita testualmente: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”.