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Parole che contano

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

1
NOV
2013
LA SCUOLA IN RETE
Oggi sono in molti a parlare di istruzione e a sollevare non poche obiezioni riguardo ai metodi adottati nella scuola. Per modificare  l’istruzione scolastica – ossia riallineare l’insegnamento e l’apprendimento al mondo contemporaneo – è necessario capire che il modello educativo dominante è una costruzione dell’uomo. Tuttavia trasformare un sistema scolastico considerato sacro ( durata delle lezioni, numero di anni, organizzazione dello spazio-aula, formazione delle classi omogenee per età) non è facile: la tradizione tende a paralizzare l’immaginazione. Del resto la scuola è intrecciata ad altre istituzioni, pertanto modificare l’istruzione porterebbe a cambiare anche gli altri aspetti della società.   Ma oggi, spiega Salman Khan,  siamo giunti ad una svolta epocale riguardo alla scuola e alle modalità  d’insegnamento. La tecnologia informatica  nell’ambito della pedagogia consente di tener conto delle esigenze individuali e di ampliare al tempo stesso la platea a cui l’istruzione deve rivolgersi. L’autore, che sostiene la tesi della necessità del cambiamento del sistema scolastico, ha un’idea di fondo: “poiché non possiamo prevedere con esattezza che cosa avranno bisogno di sapere i giovani di oggi fra venti o trent’anni, ciò che insegniamo loro ha meno importanza di come loro stessi imparano da soli. Certo, i ragazzi hanno bisogno delle basi in matematica e scienze; devono capire come funziona il linguaggio per poter comunicare in modo efficace e preciso; devono conoscere la storia e la politica per sentirsi a proprio agio nel mondo, e l’arte per apprezzare la ricerca del sublime.  Ma il compito cruciale dell’istruzione è insegnare ai ragazzi come imparare, instillare in loro il desiderio di imparare, stimolare la curiosità, incoraggiare la meraviglia, suscitare la fiducia, in modo che in futuro dispongano degli strumenti necessari per trovare le risposte alle tante domande che oggi non sappiamo ancora porre.”  Tale compito trova  nell’utilizzo della Rete Internet, delle video lezioni su YouTube, dei social media,  strumenti  indispensabili per favorire lo sviluppo pieno  del talento e dell’immaginazione di ciascuno. A scuola, dunque, la tecnologia, favorendo forme di apprendimento individualizzate e condivise, proposte in modo saggio e con sensibilità, permetterebbe  agli insegnanti di lavorare meglio, trasformando l’aula in un laboratorio per l’aiuto reciproco, anziché per l’ascolto passivo.
 
MORTI  DI FAMA
Giovanni Arduino e Loredana Lipperini, attenti frequentatori e osservatori del web, attingendo ad una massa imponente di dati e interviste, raccontano quanto sia mutato il significato della fama, sottolineando con stile arguto e provocatorio come siano stati stravolti il concetto di identità e il nostro modo di confrontarci con gli altri: da penso dunque sono a ho tanti  “mi piace” quindi esisto. “Il nostro – scrivono nell’introduzione – è un libro che parla del web anche se  in realtà tocca bisogni fondamentali da sempre: la necessità di appartenenza, accettazione, riconoscimento e approvazione.”  Citando i Wu Ming gli autori sottolineano un aspetto importante: “La questione non è se la rete produca liberazione o assoggettamento: produce sempre, e sin dall’inizio, entrambe le cose. E’ la sua dialettica, un aspetto è sempre insieme all’altro. Perché la rete è la forma che prende oggi il capitalismo, e il capitalismo è in ogni momento contraddizione in processo…Nel capitalismo  tutto funziona così: il consumo emancipa e schiavizza, genera liberazione che è anche nuovo assoggettamento.”  Gli utenti dei social media, come Facebook, pur essendo consapevoli di produrre informazioni come merce, sono contenti di contribuire al suo successo, in quanto  i meccanismi di socializzazione attivati  permettono di ottenere il fascio di luce “non di un riflettore, non più, ma di una semplice torcia” su se stessi. “Esiste un mare sterminato di persone-marchio, che grazie a Internet e ai meccanismi che – viene detto loro – permettono in sei semplici click di brillare nel mondo, sognano la fama. Anzi: la microfama. Perché se la fama è fuggitiva, la microfama è un lampo, dura – al massimo – un anno, ma quasi sempre non più di una settimana. C’è sempre qualcun altro con più faccia tosta, con più seguaci, più soldi a scalzare il micro famoso.” La microfama non tocca solo alcune generazioni, quelle giovani, ma tutti: “ i milioni, e anzi i miliardi di frammenti che provano a fare di se stessi un centro, a creare una cultura dove non c’è,  a vendersi ad acquirenti che nello stesso istante stanno provando a vendere se stessi. Terribile? Forse no, forse non così tanto: a patto di riconoscerlo, e di non pensarsi immuni dalla morte per fama.”
 
 
IL PRIMO TERREMOTO DI INTERNET
Organizzato dall’associazione Linx in collaborazione con i Laboratori Urbani Arte Franca, si è svolta la settimana scorsa la presentazione il libro dello psicologo e psicoterapeuta Massimo Giuliani “Il primo terremoto di internet”. All’incontro, coordinato da Massimiliano Martucci, oltre all’autore del volume, hanno preso parte Felice Di Lernia, antropologo, formatore  e blogger e Roberto Covolo, sociologo, coordinatore delle attività dell’Ex Fadda di San Vito dei Normanni. Scritto all’indomani della tragedia de L’Aquila nel 6 aprile 2009, il libro è una raccolta di testimonianze e di racconti presi dai blog e dai social network, prodotti dai terremotati abruzzesi, che con il loro lavoro contribuirono a tracciare una narrazione alternativa di quanto accadeva in Abruzzo. Storie che, pur recando il nome e il cognome dell’autore, senza la rete non avrebbero avuto la possibilità di essere rese note. Questo rende molto chiaro il senso di una pubblicazione che esalta il valore delle “pratiche collaborative e concreative, in una dimensione orizzontale e reticolare anziché gerarchica.”  Il libro chiarisce, facendo riferimento al saggio di Pierre Lèvy (“L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio”, Feltrinelli 2002. ) sin da subito cos’è un collettivo. Esso “è un gruppo di persone che ascoltano e si ascoltano, che lavorano lontano dai riflettori con la mente rivolta alla comunità. Un gruppo dove tutti sono importanti allo stesso modo e nessuno lavora per una gloria o un vantaggio personale.” Da questo assunto si passa al concetto di “città intelligente” come spazio  nel quale è la pluralità delle voci e non l’intervento del “superuomo” a indicare la rotta da intraprendere per l’azione politica e civile. Pluralità di voci che, raccontando presente e passato, siano in grado di costruire una visione, di pensare il futuro puntando sulle virtù dell’accoglienza, dell’apertura e del coraggio di non voltarsi indietro. Una città che “conservi la memoria della città di prima e ne faccia una mappa per quella prossima ventura, ma senza perdere l’immaginazione necessaria per sognare la città futura e la curiosità di accogliere il nuovo che porterà con sé.” Una città siffatta “ garantisce una circolazione democratica del pensiero” favorendo collaborazione e ascolto e contrastando quelle forme di protagonismo che impongono la propria voce in virtù del fatto di gridare di più o di possedere gli strumenti di amplificazione che la rendono più potente delle altre.
 


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