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Luce Di Maggio: Arte, boschi ed elfi

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

8
GIU
2012

 

Se è vero che il nome corrisponde alle cose, il suo è già tutto un programma. A otto anni vince il primo concorso di pittura, più tardi scopre la passione per la scultura: quest’artista ci svela i trucchi del mestiere e ci guida nel mondo incantato di “Orimini”
 
 
“Piccoli esseri fatati, nudi, con lunghi capelli avvolgenti, spiano con fare curioso attraverso le pietre e le radici del bosco incantato … Ti catturano con un bacio cospargendoti di polvere di fata invitandoti  in un universo misterioso improntato alla fortuna e felicità …” 
Energica, solare, divertente e naturalmente brava. Si presenta così Luce Di Maggio, scultrice, che nasconde già nel nome le sue mirabili competenze artistiche. Trasferitasi a Martina, dietro i modi schietti e decisi traspare la sua anima sognante, legata a un mondo incantato in cui dominano la natura e l’armonia. Dalle scultore imponenti dove l’argilla si fonde in corpi sinuosi, intrecciati in sospiri d’amore e magia, mentre riecheggiano divinità classiche alle prese con passioni e destini, a piccoli elfi e folletti, protagonisti di un mondo incontaminato, oasi di pace e tranquillità al riparo da una realtà tiranna e spietata. La voglia di scoprire le bellezze del territorio e di valorizzarle contraddistingue la sua collezione intitolata ‘Orimini’, fatta di sorrisi, aneddoti e timidi baci in grado di catturare chiunque e se qualcuno di voi non si è ancora scardinato dalla realtà, è arrivato il momento di lasciarsi rapire dal suo mondo incantato…
Luce quando e come si è sviluppato il tuo percorso artistico?
«Ho iniziato a dipingere con i colori a olio quando avevo ancora quattro anni e ricordo che il primo concorso di pittura l’ho vinto a otto anni, mentre frequentavo una scuola elementare gestita da alcune suore, realizzando un quadro a olio totalmente imperfetto, con tutte le proiezioni sbagliate; tuttavia conservo ancora le foto di quel piccolo lavoro, poiché l’avevo realizzato con tanta dedizione. L’anno dopo, all’età di nove anni, ho vinto un altro concorso e successivamente ho deciso di iscrivermi al liceo artistico: una scuola straordinaria che mi ha insegnato tanto e che rifarei volentieri: è vero che non mi ha aiutato molto a trovare un posto di lavoro, nonostante le mie continue ricerche, ma questo è dipeso dal fatto che per noi artisti c’è stato sempre poco. Malgrado tutto  me la sono cavata sempre da sola, sfruttando la mia inventiva, infatti è così che è nata la mia collezione di fate e folletti che dura ormai da ventiquattro anni. È chiaro che col passare del tempo c’è stata una maturazione del mio lavoro, modellando le forme, il volto e altri dettagli di queste piccole creature, completamente brevettate da me.»  
Creare una collezione che raccolga il gusto della gente non sarà stato facile: c’è stato un vero e proprio studio che ha accompagnato queste creazioni?
«Sì, ci sono parecchi anni di esperienza e studio, durante i quali mi sono documentata tantissimo su questo mondo magico e misterioso: inizialmente, li avevo creati con lo sguardo un po’ truce e cattivello, come sono raffigurati di solito, poi però ho scoperto che solo una piccola fascia di gente è innamorata di quella linea, così un giorno mentre ero nel mio negozio ho iniziato a pensare di realizzare qualcosa di più dolce che piacesse a una fascia più ampia di persone: pian piano ho modificato i tratti della mia linea e fortunatamente è andata molto bene. Quando sono arrivata a Martina ho cambiato un po’ il sorriso e le orecchie assieme e qualche altro piccolo dettaglio del viso e ho deciso di cambiare il nome della mia collezione, decidendo di chiamarli ‘Orimini’, come benvenuto alla nuova città che mi aveva accolto e in omaggio a quel meraviglioso e affascinante bosco che impreziosisce il nostro territorio.» 
Oltre allo studio c’è bisogno di tanta creatività, utile a realizzare nuovi dettagli che stuzzichino l’interesse della gente e diano prodotti sempre di tendenza. 
«Sì  naturalmente, sto molto attenta alle mode: c’è stato un periodo in cui piacevano molto i folletti dipinti a mano, che riprendevano i colori dell’acqua, perciò il verde, il celeste, l’azzurro, poi col tempo mi sono accorta che la gente si interessava a prodotti più naturali, come cappellini scuri, fiori secchi e pietre. Mi sono dedicata anche allo studio della cristallo-terapia, scoprendo tutti i benefici, gli influssi astrologici e le credenze popolari legati alle diverse pietre, dal quarzo ialino all’ametista, fino al cristallo di rocca dal quale si ricava il famoso ‘swarovski’. La gente non solo è contenta di scoprire nuove conoscenze e curiosità, ma è anche attratta dall’idea di possedere un oggetto che rispecchi il più possibile la propria personalità.»
Il bosco Orimini non solo ti ha dato l’ispirazione per un nuovo nome, ma è anche una fonte continua di idee, dal momento che da qui ricavi molte pietre ed elementi naturali per le tue creazioni. 
«Esattamente, infatti, la collezione ‘Orimini’ l’ho creata con le pietre del bosco che adesso  viaggiano in tutto il mondo. La cosa che più mi soddisfa è che sia proprio la gente a richiedermi varie bomboniere con le pietre caratteristiche del posto, nessuno mi ha mai chiesto pietre preziose e questo mi gratifica molto, perché è sintomo di una sana rivalutazione del nostro territorio. Studiare una forma che unisse le pietre ai miei folletti è stato più facile del previsto: un giorno dopo tanta pioggia, ero nel mio giardino quando mi accorsi che si era formato un canalino di pietre bellissime, ho cominciato a guardarle e ho immaginato come sarebbero state ancora più belle se fossero state abbracciate da una delle mie figure e così sono nati gli Orimini. Ovviamente poi ho perfezionato il tutto e dopo una lunga serie di studi e disegni, per far risaltare meglio la pietra ho eliminato completamente il corpo delle mie creature riducendolo al volto, ai capelli e ai piedi. Oltre a queste fasi meramente creative, sono rapita anche da momenti poetici in cui invento storie e racconti che accompagnino queste piccole sculture e che adesso viaggiano in mezzo mondo, con tanto di traduzione al seguito. » 
La creazione di questa linea immersa in un mondo magico e in una natura incantata è anche un modo per fuggire a una realtà sempre più cruda e violenta?
«Certamente, io mi immedesimo in questo mondo per dimenticare tutte le brutture che esistono fuori, infatti,  già durante la loro creazione mi estraneo da tutto il resto e ho notato che anche le altre persone quando li comprano e li osservano si comportano come me, è come se venissero rapiti da un’altra realtà: un attimo di sogno. Sono in grado di catturare l’attenzione sia degli adulti, che per un istante ritornano alla loro infanzia, e sia dei bambini che in questo modo entrano a contatto con un mondo  più adatto a loro e possono finalmente sognare e sperare: mentre guardano questi elfi e folletti si trasferiscono in una dimensione più pacata e tranquilla, e questo è estremamente significativo perché rappresenta un ottimo rifugio da una realtà che li proietta, sin da subito in un mondo più violento, costringendoli a diventare presto adulti. Le mie collezioni invece, non hanno nessun tipo di armi, ma solo fiori, frutti, animali e tutto ciò che riguarda la natura, perciò trasmettono messaggi chiari e alla portata di tutti.»
Oltre a queste collezioni, realizzi anche delle vere e proprie opere scultoree: considerando che gli scultori sono in netta minoranza rispetto ai pittori, il tuo lavoro ha incontrato delle difficoltà quando sei arrivata a Martina?
«Credenza popolare vuole che tutte le donne siano pittrici, infatti, la prima volta che ho partecipato a una mostra qui a Martina, ero l’unica donna scultrice. Una cosa che contesto spesso è che ci siano per la maggior parte concorsi di disegno e pittura: è stata Lucia Torricella ha inserire la scultura, perché altrimenti prima non c’era. Non posso nascondere che reperire scultori all’inizio è stato molto difficile, però poi col passare del tempo le cose sono cambiate e già l’anno scorso, in occasione della biennale che si tenne al Palazzo Ducale, il numero degli scultori era più gremito anche se eravamo comunque solo due donne. Nel mio settore c’è sicuramente meno competizione, perché siamo davvero in pochi, per questo le mostre mentre per i pittori sono delle vere e proprie fonti di guadagno e delle occasioni importanti per far conoscere le proprie opere a più persone, per me sono un’occasione per distrarmi e fare nuove conoscenze.»
Quali sono i materiali che usi sia per quanto riguarda la scultura classica che la collezione di elfi?
«Per la scultura classica utilizzo quello che mi dice il cuore, perciò l’argilla. Non avendo il forno  lascio tutto al naturale, in argilla secca:  la scultura ‘Passion’ è tutta fatta così,  naturalmente dentro ci sono dei ferri che sostengono il lavoro, perché l’argilla secca è come il terreno, friabile, perciò una vota asciutta tende a creparsi, però basta fare una costruzione interna e il tutto mantiene. Quella di lasciare tutto in argilla secca è stata anche una provocazione, perché molti dicono che gli scultori fanno solo delle copie, io invece, così facendo, dimostro solo di creare pezzi unici, originali e senza stampi. Uso pochissimi attrezzi, giusto qualche colpo di spatola, ma per il resto lavoro sempre a mano. Per quanto riguarda la linea di folletti, a volte uso la ceramica fredda per una mia comodità, perché asciuga all’aria; ‘Nuvole di panna’ sono di pasta polimerica, paste sintetiche che vanno cotte come il fimo. La conoscenza di questi materiali è avvenuta autonomamente, al liceo ho avuto modo di conoscere solo l’argilla, mentre tutti gli altri materiali sono frutto della mia inventiva e di quello che trovo.  Mi capita spesso di utilizzare anche tronchi che trovo nel bosco,  unendo  un elemento naturale con un elemento chimico, perché la ceramica fredda è sempre a base di vinilica, per lavorarla, però,  bisogna avere tanta abilità: c’è poco tempo per modellare una mano, perché dopo qualche minuto, la ceramica fredda  inizia già a indurire, è una battaglia contro il tempo, diversa dall’argilla che se bagnata ti permette di lavorare con più calma.»
I tuoi lavori sono fatti tutti a mano perciò richiedono più tempo per la loro creazione: ci sono molti marchi che però lavorando con gli stampi, producono di più e vendono più pezzi: hai mai pensato di adattarti a questa logica di mercato?
«Quei pochissimi lavori che ho creato con gli stampi sono venuti male e di sicuro non rispecchiavano il mio metodo lavorativo. Anche se ho il progetto di ingrandire la mia attività un giorno, sogno sempre di creare una squadra operativa con gente che lavori con passione e sia creativa quanto me, in modo tale da suggerirmi nuove idee e nuovi metodi,  però lavorando sempre a mano: è questo il mio marchio di fabbrica, ciò che caratterizza tutte le mi creazioni. Con qualche mano in più ad aiutarmi, non solo incrementerei un po’ la mia produzione, ma cercherei di far conoscere Martina con le sue capacità anche nel Nord Italia: è vero, molti marchi lavorano con gli stampi e alcuni di loro hanno un tale successo che a volte la gente ritiene uno status symbol avere a tutti i costi  un oggetto di questi marchi, ma non si rendono conto che si tratta di pezzi appartenenti a una produzione in serie, tutti identici tra loro e che hanno anche altre persone. In questi casi si crea solo un originale con l’argilla, dopo averlo ben lavorato si applica sopra una gomma siliconica, quando questa è asciutta si rigira, si toglie via la creta, si lava lo stampo di gomma e si riempie con la ceramica: così si ottengono tanti pezzi tutti uguali, da un’originale si producono tanti stampi e da quelli, migliaia e migliaia di pezzi. Nel mio lavoro, invece, ogni particolare è una piccola opera d’arte e richiede una lavorazione a sé, per questo non posso produrre più di dieci pezzi al giorno, ma alla fine resta pur sempre un pezzo unico e fatto artigianalmente.»
 


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