Non è un parente da portare a spasso, ma un’opera di Checov interpretato da Sergio Rubini con partner d’eccezione. A Taranto in scena, noi abbiamo preso due zii (vedi sopra) in un’unica intervista
Un’opera straordinaria lo “Zio Vania” di Bellocchio, con un cast eccellente - se pensiamo a Sergio Rubini, Michele Placido, Pier Giorgio Bellocchio e Anna Della Rosa (“La grande Bellezza”) -, rappresentata al Teatro Orfeo di Taranto. Nella messa in scena Sergio Rubini veste i panni del protagonista del titolo e Michele Placido, a cui è affidato il ruolo del professor Serebrjakov. Un’opera del fine ottocento che sa essere perfettamente attuale, in cui i personaggi si arrovellano tra loro, che perdono di vista i loro obiettivi, ed è come se fossero in attesa di una catastrofe, ma soprattutto come spesso accade nella quotidianità, vi è l’amore non corrisposto e la sottomissione del più debole al più forte, furbo e piacione. Durante la conferenza stampa gli attori hanno svelato qualche “chicca”, oltre che pensieri personali sul significato dell’opera; ciò che è emerso immediatamente, è che si vuole fare un film di Zio Vania. Rubini ha sostenuto che l’obiettivo non è colpire con il cinema di denuncia, perché nel nostro Paese viene ghettizzato, ma si vuol fare un cinema alla Clint Eastwood, che smuove le coscienze ed emoziona. Placidio ha detto apertamente che l’Italia non è il Paese per produrre un certo genere di film, basta andare a vedere la fila chilometrica che si forma per Checco Zalone, che va benissimo, ma la gente deve fare una scelta, anche culturale, non quella di staccare il biglietto, ridere al cinema e poi piangersi addosso; oramai ci sono i mass media, c’è internet, la gente deve capire cos’è bene e cos’è male, perché il popolo non ha sempre ragione. Aprendo una parentesi al “caso Taranto”, Michele Placido ha detto che «potrebbe rappresentare una metafora, perché è ciò che accade in tutti i Paesi industrializzati, probabilmente proprio per ignoranza».
Avete fatto un teatro nuovo, senza ricorrere a provvidenze statali: pensate che possa essere il futuro del teatro?
Placido: «Noi siamo una compagnia di qualità, basta fare i nomi di Sergio, Alessandro Haber, ma la nostra è una compagnia che ha prodotto due spettacoli senza alcun finanziamento dello Stato, perché più di qualche volta ce l’ha negato. A ogni modo andiamo avanti, siamo una compagnia nuova, atipica, ci aggreghiamo e chissà che non possano nascere progetti nuovi».
E tra questi progetti nuovi c’è anche quello di portare il personaggio di Zio Vania al cinema?
Placido: «Sì l’idea è in nascita, ma con la regia di Bellocchio, Sergio protagonista e io che potrei essere produttore del film, ci vorrebbe un’idea nuova, cioè quella di partire da Cechov per arrivare a oggi, allora sì che si è completato il progetto. Noi lavoreremo affinché il film si faccia in Puglia, proprio in testimonianza del nostro lavoro che siamo due pugliesi, oltre che con l’intento di portare un regista come Bellocchio in Puglia, ma soprattutto per rendere questo territorio protagonista».
Essendo attori di teatro e di cinema, qual è la differenza?
Placido: «Io non faccio differenze, perché noi siamo due attori che sono partiti dal teatro e sono finiti al cinema; c’è che la televisione ha una diffusione molto più popolare rispetto al teatro, considerando inoltre i mezzi di diffusione, passando sui cavi».
Rubini: «E’ più difficile recitare al cinema, al contrario di quanto si dica che l’attore vero si vede in teatro. Al cinema si lavora in solitario, non c’è il coinvolgimento e l’attenzione del pubblico, tre colpi di tosse sta a farti capire che la pausa è troppo lunga, che c’è qualcosa che non va, poi c’è la concentrazione del buio della platea e la consecutio che fa essere l’attore all’inizio savio, poi impazzisce e poi muore, mentre al cinema, al mattino può capitare matto, poi il pomeriggio muore, poi la sera è saggio. Al cinema devi fare le accelerazioni, cammini un po’, poi devi correre, poi di nuovo cammini, nel teatro invece è l’attenzione del pubblico a guidarti, ma il lavoro che c’è alle prove teatrali è il vero lavoro, perché lì fai un viaggio sia dentro te stesso che dentro l’attore».