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Giovanni Invitto/Il poeta è sempre altrove

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

8
AGO
2014

Quando filosofia e poesia intrecciano il loro cammino, difficile dire dove finisce una e inizia l'altra, tracciando un confine netto tra la soglia del sentire e quella del pensare. Ne parliamo con un filosofo, docente universitario, già vicesindaco di Lecce.

Professor Invitto, vorrei sviluppare alcune riflessioni riguardanti il connubio tra poesia e filosofia. Secondo Maria Zambrano, filosofa spagnola, solo un incontro tra filosofia e poesia può condurre a un sapere in grado di cogliere la totalità della realtà, in quanto la poesia è incontro, dono, scoperta venuta dal cielo. Maria Zambrano ci parla del rapporto contrastato tra la ragione e la poesia. Cosa può dirci in merito?

«Anzitutto, la ringrazio per l’importanza del quesito che Lei pone. Sì, Maria Zambrano parte da una premessa: il valore umano e filosofico della Confessione come genere filosofico e letterario, naturalmente prendendo spunto dalle confessioni agostiniane. Detto questo, è chiaro che anche la poesia, essendo di per sé una forma di confessione lirica, rientra in tale contesto. Come tu dici, è ridimensionato, ma non escluso, il ruolo forte della ragione. Se eliminassimo la ragione ogni discorso sarebbe chiuso in se stesso e non sarebbe comprensibile. La ragione è garanzia di comprensione. Quanto al sogno, è evidente che una filosofa debba sottolineare il valore della padronanza di sé che può avvenire solo in un percorso razionale. Pascal ricordava che ci sono le ragioni del cuore che la ragione non conosce. Ma possiamo aggiungere che, oggi più che mai, l’uomo prende atto delle ragioni del cuore, le coltiva, le umanizza e le rende partecipabili».

Con la Repubblica di Platone, filosofia e poesia divergono radicalmente, prendendo nette distanze. La ragione prende il sopravvento per salvare gli uomini dai sogni, dagli dei poeti viene esiliato. Cosa ne pensa?

«La domanda è fondata. Come Lei ricorda con Platone abbiamo in nuce il primato della ragione. Questo è scontato e Aristotele radicalizzerà questo carattere del pensiero filosofico. Ma pensiamo anche a un altro fatto: quasi sempre i Dialoghi di Platone hanno una forte valenza estetica. Un solo esempio: il Fedone, dove si parla degli ultimi momenti di Socrate prima della sua morte. Rileggiamo la parte finale e troveremo un discorso di Socrate che consola parenti e amici che sono lì per consolare lui, ribaltando così i ruoli. E Socrate – cioè Platone – dà una definizione bellissima del cosiddetto “canto del cigno”, affermando che non è un canto di dolore e di morte, ma di gioia, perché il cigno canta in quanto sta per ricongiungersi alla realtà divina. Anche questa è poesia».

Partendo dalla sua attività accademica, cosa può dare la filosofia all’uomo di oggi e qual è il valore aggiunto della poesia?

«La filosofia, dal mio punto di vista, non ci può né deve darci alcuna verità. Deve avviarci a una capacità che permetta il reperimento o l’attribuzione di senso a tutto ciò che noi viviamo. Questo non è semplice. Spesso ci trovano dinnanzi a situazioni che con molta difficoltà noi possiamo accogliere come un percorso di senso. Un esempio banale: come giustificare la morte di un bambino? Cosa possiamo dire di logico a una madre, ad un padre che lo piangono? Una sola cosa possiamo esercitare: il silenzio. La ragione va messa tra parentesi, in questi casi. Ecco: la filosofia vale nella misura in cui riconosce a se stessa e alla ragione umana i limiti che noi non siamo in grado di superare».

Secondo Rina Durante, quella del poeta è una delle professioni più difficili, richiede fatica perché il poeta deve manipolare la materia per raccontare la propria vita da condividerla con chi ama la poesia e si identifica in essa. Cosa significa essere poeta oggi?

«Sono stato amico di Rina Durante, che non si qualificava come poetessa. Le sue cose migliori sono in prosa: pensiamo a La malapianta, ma ciò non esclude che quella prosa odori di poesia. Quanta poesia non c’è ne I Malavoglia di Verga e in tanti romanzi contemporanei? La poesia non è una modalità della scrittura, ma un contenuto della stessa. Un contenuto che non va compreso con l’intelligenza del lettore, ma vissuto come stato d’animo che ci emoziona, ci trasporta ai margini della regione e talvolta fuori da essi, dando il primato al sentire e alle passioni».

In questo determinato momento storico, caratterizzato dalla globalizzazione, da un vivere frenetico e spersonalizzato, da alienazione, allontanamento dell'essere da se stesso. Qual è la funzione etica della poesia? Secondo il suo sentire, la poesia è una via per ribellarsi e sfuggire a una realtà alienante e effimera e prendere le distanze dalla provocazione del reale, oppure è un modo per andare incontro al reale lasciando emerge la parte più pura di sé, che è vero spirito?

«Io penso che la poesia non finirà mai. È un modo umano di espressione e, quindi, di vita. Potranno scomparire definitivamente le rime ma non la poesia. L’uomo sarà sempre portatore, se si accetta il termine, di emozioni e ogni emozione è di per sé poesia. Ma è in genere l’arte che totalizza i vissuti che abbiano una valenza estetica. E l’arte è storia ed è nella storia. La poesia non può essere né sarà mai, se vera poesia, un alibi per un disimpegno sociale, etico, sociale. Certo il reale provoca, ma la poesia sa reagire anche in maniera dura. Questo ci dice la categoria dei “poeti maledetti” che noi vediamo periodicamente comparire nelle varie epoche e nelle varie regioni. Il poeta, in quanto poeta, è sempre oltre - non fuori - il quotidiano perché lo trasforma in sensazione, in ritmo, in immagine, in suono… Quanto al termine “spirito”, termine molto discusso di chiara marca filosofica, possiamo senz’altro adottarlo quantomeno come metafora di un vissuto non carnale né attestato al solo data materiale. La poesia senz’altro si rivolge a quello che, da secoli se non millenni, alcune civiltà chiamano con quel termine: lì la poesia è sempre a casa propria».

Lei ritiene possibile fare uscire la poesia dalla sua nicchia ed educare il grande pubblico all’amore per l’esperienza estetica e generativa della bellezza insita nella poesia? Essere poeti ha senso dal punto di vista sociale, umano e letterario? Ritiene sia utile e urgente manifestarsi attraverso l’espressione palpitante insita nella poesia?

«Cara Mina, la poesia di per sé non si chiude in una nicchia: spesso sono i poeti che si chiudono e assumono atteggiamenti elitari. Ma pensiamo a Antonio Verri che non aveva riserve a chiedere a noi amici aiuti economici perché la poesia non paga, a Salvatore Toma la cui morte alcuni attribuiscono a suicidio, a Claudia Ruggeri, leccese, che morì suicida lanciandosi dal balcone. La poesia è, quindi, anche sfogo di malessere esistenziale, quasi un segnale inviato a tutto il mondo non in una forma pietistica ed elemosiniera, ma con grande dignità umana. Questo per dire che la poesia riguarda sì il poeta ma riguarda tutti noi perché dobbiamo progressivamente capire che la vita più essere tradotta non solo in latenti fanatismi (politica, sport ecc.), ma anche nelle vite di uomini trasmesse in versi».

La poetessa Claudia Ruggeri sosteneva che i poeti combattono, sudano per adattare l'atona vita al ritmo dei versi. Alla luce di tale considerazione, ha un augurio da rivolgere alla poesia dei nostri tempi e all’editoria che coraggiosamente se ne occupa?

«Quella sua attesa e quel suo impegno, lei li ha ritenuti insoddisfacenti e insufficienti per cambiare il modello di vita, i suoi colori, i suoi valori. Certamente in questi ultimi anni, molti hanno superato pudori e modestie e hanno pubblicato libri di poesie. Quanto al coraggio degli editori, avrei alcune perplessità. Io vedo nella nostra realtà – a proposito della poesia – più stampatori che editori. Lo stampatore è uno che fa il suo lavoro dietro retribuzione; l’editore è colui che vaglia il materiale che gli hanno proposto e calibra edizione e costi sulla base di una sua competenza specifica e, possibilmente, di una sua forte attenzione alla produzione poetica».

Ci può dare un’anticipazione sul suo ultimo lavoro, “Il contadino, l’uomo, il filosofo. Forme del sapere”?

«Si tratta di una raccolta di saggi, su vari temi, che parte da una frase di Merleau-Ponty in cui il filosofo francese dice che, in fin dei conti, il filosofo sulla vita e sulla morte non sa più di quanto sappia il contadino. È, quindi, una laicizzazione della filosofia, che non cambia la vita del filosofo ma ne ridimensiona il ruolo sociale ed anche la sua capacità di modificare atteggiamenti umani che varie culture hanno consolidato».



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