La storia di un villaggio fantasma in provincia di Lecce sepolto dall'oblio e di una bambina – ora donna e scrittrice - che lo ha risvegliato attraverso i suoi frammenti di memoria. Aspettando un intervento di recupero del borgo
La storia di questo borgo potrebbe iniziare con “C’era una volta e adesso non c’è più”…
ci accingiamo infatti a parlare di un piccolo villaggio diventato un luogo abbandonato e spettrale ma che conserva e racconta ancora frammenti di memoria, momenti di vita vissuta e mai dimenticata.
A Monteruga oggi il tempo sembra essersi fermato davvero, nonostante il degrado dovuto all’abbandono e all’incuria. Un degrado che ha trasformato un fiorente insediamento agricola, sorta in epoca fascista, in un borgo fantasma. Perché, non dimentichiamo che a Monteruga c'era tutto il necessario perché si parlasse di un vero e proprio paese: la scuola, la caserma, la chiesa, il dopolavoro, la piazza e il campo da bocce.
Qui la gente si trasferiva per lavorare nei campi, si sposava nella chiesa, nasceva, viveva e una volta morta, ritornava nei luoghi d’origine, perché in questo borgo non c’era il cimitero… chiaro segnale di un paese che non avrebbe avuto futuro e infatti, a partire dai primi anni ’80, le ultime famiglie lasciarono quel borgo e iniziò a fare ingresso il silenzio e l’abbandono.
La storia di Monteruga come luogo popolato terminò in seguito alla privatizzazione dell’azienda agricola omonima e il silenzio iniziò a calare a partire dagli anni ‘80. Il borgo adesso è una sorta di ghost town con la sua scuola, la sua chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate, la sua piazza centrale, lo stabilimento vitivinicolo, il frantoio, il deposito tabacchi, le case dei contadini: tutto abbandonato al degrado e alla più cupa desolazione.
Noi vogliamo ripercorrere la vita in questo borgo attraverso i ricordi di Adriana Diso, autrice di “Frammenti di memoria”edito da Edizioni Esperidi, con introduzione storico-critica curata dal Prof. Eugenio Imbriani.
In questo piccolo borgo di Monteruga Adriana Diso ha trascorso fanciullezza e adolescenza
fino al matrimonio con il suo Biagio.
Attraverso le sue parole riusciamo a ricostruire appieno la vita in un comunità rurale, scandita dai soliti e rassicuranti ritmi, da abitudini e tradizioni, come l’istruzione scolastica basata sulle punizioni e metodi duri con le classiche bacchettate sulle mani. Riviviamo il ricamo del corredo, indispensabile dote per ogni donna; l’educazione familiare severa ma fondata su valori veri, saldi, onesti; la poesia insita nel ricordo dei banchi forniti di calamaio e pennino, i giochi a carte nella tanto attesa pausa dopo lavoro; il lavoro faticoso nei campi, la raccolta del tabacco, il periodo della mietitura, l’attesa delle feste intrise della sacralità della famiglia, le filastrocche della nonna e tanto altro.
Insomma, la vita semplice, onesta, pulita e i tratti storici importanti che emergono anche dalla chiesa di sant’Antonio abate, la fabbrica del tabacco, macchinari e attrezzi di lavoro, l’aula scolastica con la lavagna sulla quale si incideva “viva il duce”
E sembra di vederla Adriana con la sua aria sognante da bambina con la “testa tra le nuvole”, circondata dal senso di solitudine e malinconia di chi “ sente e percepisce troppo” , lei… con la sua etichetta da “bambina senza rumore, tranquilla e silenziosa” ma che dentro aveva un mondo che cercava il modo di esplodere, lei…che aveva come grande amica la sua immaginazione che le permetteva di vivere tante vite senza spostarsi da quel borgo, lei …nella sua casa diventata tanto fredda dopo la morte della mamma.
E ancora lei mentre cercava in ogni modo di avere l’approvazione e l’affetto della “nuova” mamma. La ringraziamo per averci regalato i suoi frammenti di memoria intrisi di sentimento e anima. Attraverso i ricordi di Adriana cerchiamo di lanciare la solita domanda: perché nessuno si occupa della riqualificazione di questo meraviglioso sito, un centro che potrebbe essere annoverato tra i borghi più belli d’Italia?