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Il presepe/Quando le pecore erano di ovatta

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

2
GEN
2015

 

Taranto ha una grande tradizione presepistica: dal 5 novembre in poi la casa del verace tarantino diventava un autentico cantiere di lavoro. Ora le cose sono un po’ cambiate, e i manufatti si comprano tutti belli e fatti. Ma la magia non si è persa del tutto

Molto frequentemente negli ultimi tempi è dato registrare questo commento da parte della gente: “Il Natale della tradizione forse l’abbiamo messo in soffitta facendo perdere alla stessa festività cristiana quel fascino e quella poesia di un tempo”. Il riferimento in particolare è verso il presepe. 

Oggi i presepi di ogni dimensione e materiale si trovano tutti belli e fatti nei negozi con il corredo delle luminarie e dei pupi che ne caratterizzano la scenografia.

Un tempo non era così. Per questo motivo oggi abbiamo pensato di puntare l’attenzione su quel presepe fatto in casa dai nostri nonni. 

Il capoluogo ionico in questo campo vanta una grande tradizione perché nel passato in ogni casa della città antica si allestiva il presepe con le proprie mani, come anche nelle Chiese. Tutti si prodigavano perché il proprio presepe fosse più bello di quello del vicino, c’era una vera e propria gara. 

A casa mia nonno Francesco non badava soltanto ad allestire il proprio presepe, ma con il polistirolo realizzava veri capolavori che facevano parte della sua collezione privata.

A Taranto, nella sezione “Amici del presepe”, il fondatore, il maestro Corradino Costa, recentemente scomparso, ha lasciato addirittura un Museo che si estende in un intero appartamento visitabile su appuntamento. I suoi sono veri capolavori di arte presepistica di scuola napoletana. 

Sempre a Taranto in via P. Amedeo è ancora operativo un esercizio commerciale intitolato “Casa del presepe”, messo su da Antonio Mazzarano, il decano dei presepisti tarantini che alla venerabile età di 102 anni continua ancora a stupire con i suoi manufatti artigianali costruendo con quelle mani che sembrano un autentico miracolo, castelli, palazzi baronali, ponti, pozzetti, steccati e quanto altro con una certosina pazienza e con una qualità da farli ritenere i migliori che oggi sono presenti sul mercato.

Fu lui stesso il primo a far stampare a Taranto in una tipografia i primi fogli di carta roccia unitamente alla carta stellata e la notte di Natale del 1968, quando venne a Taranto il Beato Paolo VI, fu lui ad illuminare con le sue gigantesche stelle comete la facciata della Concattedrale della Gran Madre di Dio di Giò Ponti, in viale Magna Grecia.

Antonio Mazzarano ha anche ricoperto per molti anni la carica di priore della Confraternita della SS. Trinità dei Pellegrini che aveva sede della abbattuta Chiesa della Trinità in Piazza Castello, dove oggi svettano le colonne del Tempio dorico. Da questa Chiesa la notte di Natale usciva la processione de “‘U Bammine curcate”.

Ma ritorniamo al presepe fatto in casa.

Tutti i membri della famiglia erano impegnati ciascuno con un compito preciso, anche i bambini che dovevano procurare le cassette di legno della frutta, la paglia e i giornali vecchi.

Dal 5 novembre in poi la casa del verace tarantino diventava un autentico cantiere di lavoro. C’era il più esperto al quale era affidata la regia della costruzione ma le varie fasi venivano vissute in intensità di sentimenti. 

In “Natale con i tuoi”, di Fornaro e Sellitti, si apprende che la prima operazione era quella di tappezzare la parete con la scenografia orientale composta da rotoli di tela istoriati. Al di sotto si ponevano ampi rami di pino che profumavano la casa. 

Molto laboriosa la costruzione del presepe, infatti si doveva costruire l’ossatura delle grotte e dare lo scheletro all’intero impianto.

I giornali venivano arrotolati e immersi nell’acqua fredda dove era stata sciolta l’argilla che si trovava gratuitamente ai Tamburi. Questi fogli di giornali venivano sciorinati come panni sulle sagome delle grotte. Poi per venti giorni bisognava attendere che il tutto asciugasse fino a rendere dura come la pietra la carta imbevuta nell’argilla. Era molto difficile dare la giusta colorazione alla roccia perché bisognava miscelare tra loro vari colori.

Come prato si usava il muschio che cresceva sui davanzali delle case della Città Antica; come neve batuffoli di ovatta che, all’occorrenza si trasformavano in finti ruscelli, tanto terriccio, tanti sassi prelevati lungo le rive del mare, luci che mutavano il colore dopo attenta pitturazione perché non c’erano ancora le lampadine multicolore. 

Cosa dire, poi, dei mille pupi che affollavano la scenografia? Era consuetudine, visitando il presepe, portare in dono un pupo di quelli che mancavano. Non potevano mancare la Santa Famiglia, il bue, l’asinello, i pastori, i mestieranti, le pecore, gli animali, i Re Magi a cavallo del cammello, Sant’Anastasìa e Benito, il pastore dormiente.

Il resto della atmosfera veramente straordinaria lo davano il canto dei bambini del “Tu scendi dalle stelle” di Sant’Alfonso e le dolci note delle pastorali unite al calore che sprigionava dal braciere che in quei giorni era il re della casa insieme al presepe e a tutto ciò che riusciva a veicolare un Natale povero, ma certamente vero perché vissuto intensamente nel cuore.

Forse anche per questo il presepe veniva disfatto soltanto il 2 febbraio, festa della Candelora, pensando al detto che si stava per mettere alle spalle l’inverno che aveva ormai i giorni contati.

 



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