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Come a Montecristo /Quando Dumas si fermò a Taranto

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

16
GEN
2015
Di certo in famiglia non avevano originalità per i nomi. In ogni caso i tre Dumas si chiamavano tutti Alexandre ma pochi sanno che il primo (il  nonno dell’autore de “La signora delle camelie”) passò nel Castello aragonese due anni di terribile prigionia
 
 
In una delle mie visite alla libreria di corso Messapia a Martina Franca, il 7 novembre 2013, quasi nascosto tra gli scaffali, dietro altri titoli, spuntava una copertina nera con il titolo “Diario segreto del Conte di Montecristo - di Tom Reiss. Incuriosito ho scostato i libri che parzialmente lo coprivano alla vista e ho iniziato a leggere la quarta di copertina, dove gli elogi al libro e all’autore si sprecavano. Passato a sfogliare le prime pagine del libro e assicuratomi che non fosse un romanzo, subito l’ho richiusi. Era tardi e così mi sono avvicinato alla cassa e ho passato il libro e una banconota da 20 euro alla signora che stava dietro al bancone. Dopo aver preso il libro e i soldi, la signora, provvedeva ad infilare il libro in un sacchetto di carta e a restituirmelo con il resto del denaro. – Buon giorno e grazie – mi disse con un sorriso di circostanza. – No lasci stare, per favore, lo porto via così – le risposi, traendo il libro e restituendole il sacchetto. Ho sempre trovato inutile, quasi offensivo, nascondere in pacchi, pacchettini o sacchetti, i libri appena acquistati. Ho anche la convinzione, discutibilissima si intende, che lasciandoli senza involucri aggiuntivi i libri prendano subito vita e quasi ti ringrazino per averli scelti e portati via. Salutata la stupita signora uscii in strada e camminando con il mio libro nuovo sotto il braccio, piano piano, avvertii la sensazione di tenere tra le mani un nuovo amico. Un amico che in seguito, per qualche ora o magari per qualche giorno, mi avrebbe fatto buona compagnia. Raggiunta la mia macchina e pagato il solerte parcheggiatore, che con la sua pettorina gialla si era già accostato al finestrino, misi in moto e tornai a Taranto. Dopo pranzo, come faccio sempre quando acquisto un nuovo libro, ho acceso il computer e ho inserito il nuovo titolo nell’elenco dei libri che ho in casa. Questo pratica, che uso ormai da tempo, mi è necessaria per evitare, come già accaduto in passato, di acquistare lo stesso libro più volte, e questo perché, a volte, le nuove ristampe o le successive edizioni, cambiando i formati o le copertine, non mi consentono, sul momento, di riconoscere il libro che magari da tempo fa arte della mia libreria. 
Ma torniamo al generale Alexandre Dumas. Iniziando a leggere le prime pagine del libro, dal titolo un po’ ambiguo “Diario segreto del Conte di Montecristo”, ho scoperto che il protagonista non era altro che il vero padre dell’autore dei romanzi dei Tre Moschettieri e del Conte di Montecristo: Alexandre Dumas, noto anche come Dumas “pere” (per non confonderlo con il figlio autore della Signora delle camelie). Quello che viene subito da pensare è che nella famiglia Dumas la fantasia per i nomi dei figli e dei nipoti, proprio non esisteva. Ma andiamo con ordine: Alexandre Dumas, generale francese, era nato il 25 marzo 1762 a Jèrèmie, località di Santo Domingo, l’odierna Haiti; ed era il padre di Alexandre Dumas, nato in Francia a Villers-Cotterets nel Soissons il 24 luglio 1802, che a sua volta era il padre di Alexandre Dumas, l’autore della Signora delle Camelie. Qualche storico ipotizza che l’autore del romanzo “Il Conte di Montecristo”, abbia preso spunto proprio dalle vicissitudini storiche sofferte dal padre generale, per raccontare la storia di Edmond Dantes. 
Il generale Alexandre Dumas, come detto, era nato il 25 marzo 1762 a Jèrèmie – Santo Domingo, ed era uno schiavo mulatto, figlio di una schiava nera e del suo padrone bianco. Quando la madre, Marie Cesette morì a Santo Domingo, Alexandre aveva appena 12 anni. Dopo pochi mesi dalla morte della schiava, il proprietario terriero, cioè suo padre, il marchese Davy de la Pailleterie, decise di vendere la piantagione e tutti gli schiavi, compresi i propri figli illegittimi, avuti da schiave diverse, e di ritornare a vivere in Francia. Prima di imbarcarsi per l’Europa però, si riservò il diritto di riscatto per il primogenito, Alexandre. Diritto che dopo due anni esercitò, tornando nelle colonie e riscattando il figlio dalla schiavitù e portandolo con sè a Parigi. Una volta arrivati in Francia Alexandre assunse il cognome del padre e ricevette un’educazione degna di un gentiluomo, quale era suo padre in quell’epoca. Raggiunti i 24 anni, nel 1786, Alexandre si arruolò nella cavalleria francese come semplice soldato, con il nome di Thomas-Alexandre Dumas, assumendo quindi come cognome il soprannome della defunta madre schiava. Le ragioni per cui abbia abbandonato il cognome nobiliare del padre per scegliere quello della madre schiava non sono mai state chiarite, ma è certo che allo scoppio della rivoluzione francese, il suo nome non risultò tra gli elenchi dei nobili da epurare. La sua carriera militare fu invece rapida e folgorante, aiutata dalle circostanze e anche dal suo coraggio eccezionale. Quando raggiunse il grado di colonnello, nel 1792, sposò Marie Louse Elisabeth Labbouret, una ragazza di umili origini. A 31 anni raggiunse il grado di generale e con questo grado seguì Napoleone nella campagna d’Italia (1796/1797) e nella Campagna d’Egitto (1798/1800). Proprio durante la campagna d’Egitto, per il generale Alexandre Dumas, cominciarono i guai e con essi il suo declino. Poiché non faceva mistero della sua contrarietà per quella campagna, che lui trovava insensata, si attirò numerose critiche, tra cui quelle di Napoleone. Ma Dumas insistette nella sua convinzione e lo disse apertamente anche a Napoleone stesso: egli sarebbe stato disposto a continuare a combattere solo per la Francia e non per gli interessi personali del generale in capo. Napoleone infuriato accusò apertamente il Géneral Dumas di diserzione e lo fece allontanare e congedare. Nel 1799 il Generale Alexandre Dumas lasciò l’esercito e l’Egitto e si imbarcò su un vascello di fortuna per fare ritorno in Francia, ma una tempesta costrinse la Belle Maltaise, sbandata e con le vele lacerate, a fare vela verso Taranto. Ma quando la nave, con a bordo Dumas, gettò l’ancora nel porto di Taranto l’esercito sanfedista aveva ormai consolidato il suo dominio sui territori dell’estremo sud della penisola. La Repubblica di Taranto era caduta e gli alberi della libertà erano stati sradicati e bruciati e i Tricolori rimpiazzati con le bandiere con le croci e con i gigli delle insegne dei Ruffo e del re di Napoli. Il generale Dumas e tutto l’equipaggio della Belle Maltaise, venne arrestato, interrogato e rinchiuso nella fortezza (l’Attuale castello Aragonese). Il giorno stesso dell’arrivo della nave a Taranto, il marchese Della Schiava, locale delegato della Santa Fede, informò Napoli e il cardinale Ruffo che aveva catturato due generali francesi di alto rango, assieme a un uomo di scienze di fama internazionale. Poi rimase in attesa delle decisioni che sarebbero state preso a Napoli sul da farsi. Ma a quell’epoca le notizie e gli ordini avevano ritmi lenti e irregolari e solo dopo parecchi giorni, senza che il Generale riuscisse a parlare con nessuno, improvvisamente Dumas ricevette la visita di un uomo che si presentò come “principe ereditario Francesco, figlio di Ferdinando, re di Napoli”. Ma mentre Dumas si apprestava a parlargli dei maltrattamenti subiti e della volontà di incontrare l’ambasciatore francese, il principe lo interruppe e se ne andò. Come rivelarono in seguito alcuni verbali italiani, colui che sosteneva di essere il figlio del re di Napoli, non era altro che un impostore di nome Boccheciampe. 
Dumas passò altri giorni terribili, sempre segregato nelle segrete del castello e solo dopo sette settimane gli venne notificato ufficialmente l’ordine che da quel momento lui e il generale Manscourt erano ufficialmente prigionieri dell’esercito della Santa Fede, e che pertanto sarebbero stati tenuti sempre sotto stretta sorveglianza. Negli archivi di Taranto è stato trovato un documento, datato 8 maggio 1799, che precisa che Dumas e Manscourt dovevano restare rinchiusi nella fortezza fino a quando non fossero stati consegnati a <Sua Eminenza il cardinale D. Fabrizio Ruffo, servitore di Sua Maestà Ferdinando IV>. La prigionia del Generale Dumas, nelle celle del castello di Taranto, durò più di due anni, dove fu lasciato a languire con penuria di cibo e senza poter ricevere visite e scrivere missive o petizioni. Sembra che durante la prigionia ci sia stato da parte di Dumas un tentativo di corrompere un carceriere, e che questi gli promettesse, dietro lauto compenso, di aiutarlo ad evadere, non per mare ma via terra; fuggendo di notte e prendendo la strada che saliva verso Martina Franca, per poi cercare un porto dove imbarcarsi per Ancona o Venezia. Ma le cose andarono diversamente e Dumas continuò a languire nella sua cella sino a diventare quasi cieco e sordo. Napoleone, tornato in Francia e diventato nel frattempo primo console, non cercò di negoziare il suo rilascio e non si preoccupò mai della sua prigionia. Al rientro in Patria di Dumas, l’accanimento contro di lui continuò, tanto che non gli venne nemmeno riconosciuta una pensione per i meriti pregressi di guerra e militari. Dumas insistette, scrivendo anche al cittadino generale Berthier, Capo di stato maggiore di Napoleone, per chiedere il riconoscimento della paga arretrata ed il reintegro nell’esercito e un nuovo comando. Ma Napoleone non perdonò mai l’affronto che gli era stato fatto in Egitto e di lui non ne volle più sentire parlare. E minacciò chiunque tentasse di parlargli ancora del Generale Dumas.
Dumas morì di stenti a causa di una grave malattia il 26 febbraio 1806, solo, dimenticato e in povertà. Suo figlio, il futuro autore dei Tre Moschettieri, quando morì il padre aveva poco meno di 4 anni, ma non dimenticò mai le sofferenze, le privazioni e la prigionia che ingiustamente dovette subire suo padre. E forse ha ragione lo storico quando dice che il figlio prese spunto proprio dalle penose vicende sofferte dal padre per rappresentare Edmond Dantes, quale eroe nel suo più celeberrimo romanzo “Il Conte di Montecristo”.
 


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