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FRANCESCO/ BELLO PASSATO, PRETI E… PAURA!

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

15
MAG
2015
Una storia antica, un personaggio ambiguo e un demone senza scrupoli. I tre elementi chiave del romanzo, che lo scrittore crispianese ha pubblicato con lo pseudonimo Deva Silence, si intrecciano dando luogo a una storia che mette i brividi
 
Ambientazioni simili a quelle del “Crollo della casa Usher” di Poe; personaggi deboli, a volte subdoli, sicuramente controversi, come quelli di King. 
“L’ombrello nero del prete” è il romanzo del giovane Francesco Bello, in arte Deva Silence, scrittore crispianese, e gli elementi orrorifici li ha proprio tutti. Scritto quasi come se fosse una sorta di sceneggiatura, racconta di riti magici, presenze demoniache e uomini che come burattini si lasciano guidare dai loro peggiori istinti. 
Se già il titolo del libro e la breve descrizione vi hanno messo addosso qualche brivido, non resta che leggervi l’intervista ed entrare in possesso del romanzo, da leggere – se siete piuttosto impressionabili – in una stanza ben illuminata e, possibilmente, con qualcuno intorno. 
 
Hai una passione per l’horror a 360° gradi, dalla musica ai libri, ai film.
«La musica che possiede quel fattore horror ha fatto da padrone nella mia vita per tutta l’adolescenza. Mi sono appassionato subito alle band e ai cantanti che eseguivano questo genere, da King Diamond a molti altri. Mi ha sempre affascinato, e contrariamente a quanto si possa pensare è molto distante dal satanismo, anzi non c’entra affatto. Da ragazzo mi sono avvicinato molto ai film e ai romanzi, in particolare quelli di Lovecraft e di Edgar Allan Poe. Amavo anche i fumetti, dei volumi quasi sconosciuti che adocchiavo nelle vecchie bancarelle e che ora sono quasi introvabili. È vero: amo l’horror a 360° gradi, ma considero la musica come un hobby serio, mentre la vera passione è la scrittura».
 
Come mai proprio il genere horror. Cosa ti affascina in particolare?
«Mi piace quello che fa paura e soprattutto mi incuriosisce il modo in cui viene raccontato. Non è facile incutere paura attraverso le parole, raccontare qualcosa mettendo i brividi. Ed è ancora più difficile per la musica».
 
Avrei detto il contrario: esprimere la paura con le parole mi sembra più difficile che trasmetterla con la musica. Per esempio quando si guarda un film horror è la colonna sonora che svolge il ruolo più importante.
«È vero, se per musica intendiamo solo i suoni, le note. Io penso alla musica nel suo insieme, quindi parlo anche di canto. E cantare la paura è qualcosa di molto, molto difficile. Attraverso la scrittura, invece, si possono creare delle situazioni che poi convergono tutte nel momento clou, quello più spaventoso».
 
Che è quello che accade nel tuo libro, “L’ombrello nero del prete”. Quando nasce il tuo romanzo?
«L’idea inizia a sbocciare molti anni fa. Andavo ancora a scuola e ricordo che uno dei miei professori scriveva racconti gialli e me li faceva leggere. Il titolo di uno di quei racconti era proprio “L’ombrello nero del prete” e mi è rimasto impresso nel corso degli anni, al punto da farlo divenire il nome della mia band e il titolo del mio primo romanzo».
 
La storia, che intreccia passato e presente, è piena di riferimenti a fatti realmente accaduti.
«Si tratta di storie che mi venivano raccontate dai nonni, leggende che si tramandano di generazione in generazione e di cui i paesi sono pieni. Ho fatto molte ricerche e raccolto anche delle testimonianze semidirette, trascrivendo gli eventi che gli altri avevano vissuto. Alcuni personaggi del mio romanzo sono realmente esistiti, il resto è stato condito dalla mia fantasia».
 
Se la storia e i personaggi sono quasi reali, come si spiega il fatto che il protagonista si chiami Francesco, proprio come te? Ci sei anche tu nel romanzo?
«Tutte le persone del romanzo sono io! Basti pensare che il nome del demone Vansil D’Ecèè non è che l’anagramma del mio pseudonimo, Deva Silence».
 
Ecco, come mai hai deciso di mascherarti dietro uno pseudonimo?
«Deva Silence è una trasposizione di Devil of Silence, ossia Diavolo del Silenzio, che mi è stato ispirato dalla poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. È un tributo a Cesare Pavese».
 
Leggendo il tuo romanzo, mi è sembrato di intravedere oltre a una dichiarata avversione per la Chiesa, anche una sorta di riferimento ai sette vizi capitali. I personaggi in qualche modo vengono puniti per la loro lussuria, per l’avarizia e in generale per le loro debolezze.
«Esatto. Nonostante la storia narrata risalga alla prima metà del Novecento, in realtà si può considerare molto attuale, poiché la strada del male è dietro ogni angolo, anche o forse soprattutto oggi. Per quanto riguarda la Chiesa, è vero: ho voluto raccontare in qualche modo la mia avversione, ma è un rifiuto dell’istituzione, che considero fasulla e assolutamente non integerrima, non della religione».
 
“La strada del male è quella laggiù”, dici nel tuo libro. E la strada del riscatto, invece? Esiste anche quella?
«Certo, e la si intraprende quando non si è disposti a scendere a compromessi, quando si decide di non stringere patti con nessuno. Il segreto è quello di restare sempre fedeli a se stessi».
 
 
 
 
 
 


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