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San Giuseppe/Fra zeppole, falò e solidarietà

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

17
MAR
2016
Non è soltanto il capoluogo ionico ma l’intera regione pugliese ad essere impegnata nei solenni festeggiamenti in onore del Padre Putativo di Gesù, in particolare l’area del settore orientale della provincia jonica vanta una tradizione antica e secolare. Si rifà all’insegnamento del Santo Patriarca il ruolo che è chiamato ad assumere la “nuova” paternità: la festa del Papà fra amarcord e emergenze
 
 
Quest’anno la festività liturgica di San Giuseppe, patrono universale della Chiesa, cade di sabato, ma si tratta di un giorno particolare perché è quello che precede la Domenica delle Palme che ci introdurrà in maniera “forte” nel clima della Settimana Santa.
Taranto da secoli si è sempre distinta nel culto verso San Giuseppe e intorno allo stesso culto si sono sviluppate manifestazioni folcloristiche e popolari che mettono in risalto alcune peculiarità di questa festa.
Non è soltanto il capoluogo ionico ma l’intera regione pugliese ad essere impegnata nei solenni festeggiamenti in onore del Padre Putativo di Gesù, in particolare l’area del settore orientale della provincia jonica vanta una tradizione antica e secolare il cui fascino riesce a far breccia anche nei giovani del XXI secolo.
Nella città di Taranto una sola Chiesa è dedicata a San Giuseppe ed è quella posta su via Garibaldi prima della discesa Vianuova. I nostri padri avevano un culto per il Santo e per la sua Chiesa tanto da frequentarla per l’intero anno, ma erano in particolare i pescatori, i falegnami e i derelitti coloro che quotidianamente si inginocchiavano ai piedi di uno dei due simulacri di cui è dotata la Chiesa. Un tempo si portava in processione il pesantissimo simulacro ligneo, oggi si porta quello meno pesante in cartapesta.
Sono i confratelli dell’Arciconfraternita di San  Giuseppe, fondata nel 1639, e che indossano la mozzetta violacea, a curare la processione che attraversa le principali strade della città antica.
L’iconografia sacra di Giuseppe lo rappresenta con una mazza alla cui sommità c’è un fiore. Ebbene, secondo una leggenda Maria scelse Giuseppe come suo sposo proprio in funzione di tale leggenda miracolosa.
Ancora oggi i tarantini rispettano la tradizione culinaria per la festa del Santo mangiando la “pasta riccia di San Giuseppe” con le cozze e frittura di pesce, di cozze e di gamberi. Non possono mancare le squisite zeppole che, per la storia, furono inventate nel 1840 dal pasticcere napoletano Pasquale Pintauro.
San Giuseppe nel tempo ha visto molte famiglie impegnate nel preparare il pranzo per i poveri e le stesse famiglie che non se la passavano bene economicamente il giorno di San Giuseppe si accontentavano di un piatto di lasagne di San Giuseppe con  i ceci. Erano in festa i poveri che per l’occasione venivano invitati dall’Arcivescovo a partecipare al grande pranzo che si teneva nel cortile del Palazzo Arcivescovile.
Nei giorni che precedevano la festa i ragazzi della Città Antica facevano incetta di legname che nascondevano nei sottoscala e nelle cantine per illuminare la città antica con i falò scoppiettanti che a centinaia riscaldavano vicoli e piazze.
Non solo i ragazzi ma anche le famiglie facevano a gara per allestire il falò più grande e più bello. Oggi i rischi per l’accensione di un falò sono aumentati a dismisura ed è per questo motivo che nei quartieri popolari di Taranto vengono spenti, sia pur tra le proteste, dai Vigili del Fuoco.
Un tempo i ragazzi facevano gare tra di loro saltando pur tra pericoli da una parte all’altra del falò. Sul falò i pescatori mettevano anche come legna da ardere le vecchie barche che non potevano più essere usate per la pesca. Intanto ancora oggi sul far della sera del 19 marzo si alza un venticello, quasi un anticipo dell’imminente primavera portando in cielo lingue di fuoco e “farfugghie”, riccioli di legname messi su falò.
A tarda sera le nostre nonne si recavano con il braciere per raccogliere la cenere dal falò che conservavano in caso di tempeste o che cospargevano tra la biancheria nei cassetti del comò.
Per tutta la giornata i ragazzi facevano un gran rumore con le raganelle (ruezzele in dialetto) che venivano loro regalate dai papà o dai falegnami che in quel giorno erano in festa per il loro santo Patrono.
Vantano, infatti, il patrocinio di San Giuseppe i falegnami, i poveri, gli indifesi, gi orfani, i derelitti, le fanciulle da marito e i moribondi che invocano la Buona Morte.
Il culto di San Giuseppe è presente in Austria, Boemia, Baviera, ad Altamura, a Capurso, Sannicandro, Tuglie, Faggiano, San Marzano di San Giuseppe, Monteparano, Monteiasi, Lizzano, Avetrana, San Giorgio Ionico, Palagiano, Palagianello e Sava.
Particolarmente suggestivo il culto a San  Marzano, Monteparano e Lizzano dove si preparano le “matre” o tavolate per i poveri che vengono messe in bella mostra il 18 ma consumate il 19. Il pane di San Giuseppe è disponibile anche dal 18.
Da tre anni alla Salinella, nella Parrocchia della Santa Famiglia, si festeggia solennemente San Giuseppe con processione, banda e fuochi d’artificio e sagra della lasagna con le cozze.
Quest’anno San Giuseppe si festeggia nel segno della solidarietà perché la Confraternita di San Giuseppe di San Marzano ha chiesto ed ottenuto di poter portare la statua del Santo nella Casa Circondariale di Taranto e ha ottenuto dal direttore della stessa che un gruppo di detenuti il giorno della festa sia presente a San Marzano per prendere parte ai festeggiamenti che richiamano nel paesino ionico migliaia di fedeli e di turisti.
Da diversi anni la società civile ha introdotto per il 19 marzo la Festa del Papà”, una festa in gran parte consumistica ma anche grazie alle scuole vissuta all’insegna dei valori presenti nel ruolo del padre moderno. Vero  è che si tratta di una festa discriminante che non potrà mai esser tale da parte di chi un papà non ha mai conosciuto, da parte di un papà che ha lasciato la famiglia per crearsene una nuova e da parte di chi è orfano di padre.
Oggi è di moda la convivenza ma spesso in  seno alla stessa ci può scappare una paternità. Qui i discorsi incominciano a diventare impegnativi soprattutto se si allarga il discorso ad altre “forme di paternità” che anche la legislazione italiana ha introdotto di recente nel nostro Paese.
Oggi si diventa papà anche prima di superare la maggiore età e la differenza anagrafica tra un padre e un nonno non è più abissale come accadeva un tempo. Oggi il papà deve vestire anche il ruolo di baby sitter o di cuoco improvvisato tanto che la legislazione consente al genitore di fruire del beneficio della riduzione dell’orario di lavoro per assistere il figlio minore.
Oggi il rapporto tra padre e figlio si vive più all’insegna dell’amicizia e non della subordinazione come accadeva un tempo.
Oggi sono diventati delicatissimi i compiti di un papà nella formazione del proprio figlio perché sono  cresciute le insidie dall’esterno e contro le quali spesso nulla si può fare.
Allargando l’orizzonte alla paternità in senso universale riusciamo a trovare analogie tra la paternità di Giuseppe e quella di oggi.
Non sono forse papà tutti coloro che fuggono sui barconi cercando asilo come fece Giuseppe quando dovette sottrarre Gesù alla furia assassina di Erode?
Anche Giuseppe dovette insegnare il mestiere di falegname al figlio Gesù dal quale ricevette grandi dispiaceri e preoccupazioni quando Gesù, senza avvisare i genitori, si recò nel tempio di Gerusalemme e i poveri Giuseppe e Maria angosciati lo cercavano. 
Ma domani è la festa onomastica di chi si chiama Giuseppe, Giuseppina e diminutivi derivati.
E’ anche la Festa dei Papà.
Auguri!
 


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