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Altri tempi/ Miracolo di Natale

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

29
DIC
2016
La storia di Saverio, un pescatore tarantino, si intreccia e si confonde con quella di tanti altri che come lui lasciarono tutto per andare a morire al fronte della Grande Guerra
 
 
Una infermiera al fronte durante la Grande Guerra dovrebbe ricordare e tenere cara la propria divisa perché legata a un'attività che l’ha vista protagonista crocerossina in una guerra che non risparmiò niente e nessuno.
Eppure per me crocerossina così non fu, o meglio, la divisa è sempre testimone di qualcosa di importante, ma quella lettera, recapitatami subito dopo l’ultimo Natale di guerra da Saverio, un tarantino straordinario che riuscì a trasformare la mia missione di infermiera in una storia ricca di emozioni e di brividi, è diventata per me una testimonianza di grandissima importanza perché mi ha cambiato la vita.
Un giorno conobbi il soldato tarantino Saverio che sapeva tutto sulle cozze perché era mitilicoltore, felicemente spostato e con prole.
Richiamato alle armi era stato inviato subito in trincea dove noi crocerossine prestavamo la nostra opera. Quel giorno era il 22 novembre, festa di Santa Cecilia, e Saverio mi parlò della bella tradizione tarantina con cui iniziavano le festività natalizie al suono delle bande che proponevano le pastorali alle prime luci dell’alba, mentre nelle cucine si friggevano e si mangiavano le pettole.
Ritornai nella sua trincea il giorno di Natale, l’ultimo della Grande Guerra, ma Saverio non c’era. Chiesi informazioni e seppi che aveva ricevuto il più bello e inatteso regalo di Natale: era stato congedato e rimandato nella sua famiglia d’origine a Taranto perché nel corso di un bombardamento una mina vagante gli aveva perforato una gamba e i sanitari avevano suggerito al Comando Militare che sarebbe stato più opportuno privarsi del soldato Saverio piuttosto che curarlo.
Saverio mi descrisse in una lunga e bella lettera che ancora conservo tutti i particolari del suo rientro nella città bimare. Il viaggio fu lungo ed estenuante. Giunse a Taranto intorno a mezzogiorno del 25 dicembre.
Con lo zaino sulle spalle Saverio deviò dalla parte del Ponte di Pietra verso la regia azienda dove aveva lavorato come mitilicoltore prima della sua avventura bellica. Chiese ed ottenne, senza pagare un solo centesimo, una “zoca” di cozze; era la strenna che si accingeva a portare nella sua casa di via Duomo. Arrivato dietro la porta di casa bussò e subito ascoltò una voce femminile, era quella di Grazia, l’amata moglie che, avendo riconosciuto nel ticchettio della porta lo stesso degli zampognari, così si esprimeva: “Andate via, in questa casa da 4 anni non è più Natale, non c’è più il presepe, si raccolgono soltanto lacrime nel fazzoletto. Quest’anno, poi, più degli altri perché non abbiamo notizie del capofamiglia impegnato in guerra”. 
Il miracolo di Natale stava per avverarsi. 
Saverio raccolse le sue residue forze e con flebile voce sussurrò attraverso la fessura della vecchia serratura di casa: “Apri, Grazia, sono Saverio, Gesù Bambino, portandomi per mano, mi ha riportato da te e dai miei diletti figli. Adesso per noi è di nuovo Natale. Aprimi, non ce la faccio più ad aspettare nemmeno un secondo ancora”. 
Grazia spalancò l’uscio, aprì le braccia, le strinse forte al collo del suo Saverio mentre i figli facevano a gara per avere anche un primo minimo contatto fisico con quel dono disceso dal cielo.
Grazia chiese subito una mano alle figlie Chiarina, Lelletta, Lucia e Melina. Ognuno aveva ricevuto un compito: una doveva mettere la pentola con l’acqua sul fuoco nella cucina a carbone, l’altra doveva apparecchiare la tavola, l’altra doveva preparare il letto per papà Saverio, l’altra doveva accendere il fuoco nel braciere per riscaldare la casa.
Saverio dette subito uno sguardo veloce come se fosse una telecamera pronta a zoomare su qualcosa che non riusciva però a trovare: nella sua casa, stranamente, ma non troppo, non c’era il presepe. Chiese spiegazioni al figlio Nicolino che gli disse che da quando lui era partito al fronte nella loro casa non si era allestito più alcun presepe. 
Saverio non si perse d’animo e invitò il figlio Mino a salire sul tramezzo e a portare giù lo scatolone in cui erano conservate le statuine riproducenti la Madonna, San Giuseppe, Gesù Bambino, il bue e l’asinello. 
Furono bravi i figli di Saverio e in un batter d’occhio portarono al padre le statuine della Natività. 
Prima di mettersi a tavola Grazia invitò Saverio a benedire il cibo come era solito fare prima che partisse soldato. Saverio non volle dare alcuna benedizione perché diceva che la benedizione era l’improvvisata Natività e che si doveva fare insieme una sola cosa: cantare a squarciagola il “Tu scendi dalle stelle” e aggiungeva: “Cantatatelo con tutta la forza che avete in voi perché questo canto lo possa ascoltare il vicinato e capire che a casa di Saverio c’è stato il miracolo di Natale”.
Il canto fu eseguito alla perfezione, ma il bello doveva ancora venire. Nicolino si mise sullo sgabello e improvvisò la poesia di Natale per il suo papà tornato dalla trincea e così recitò: “Caro babbo, sei tornato, ti ha lasciato il gran nemico con la cara mia mammina quante notti ho pianto per te”.
Papà Saverio, trattenendo la commozione, rivolto a Nicolino disse: “Per quest’anno, figlio mio, non ho un centesimo in tasca, ma questo bacio, che adesso lascio sulla tua rosea guancia, nel tempo avrà più valore di una montagna di denaro”.
Si fece tardi e qualcuno dei figli osò proporre una improvvisata tombolata, la proposta cadde sul nascere. Erano tutti stanchi, ma felici, in quella casa.
Un altro figlio propose, invece, il gioco delle carte. Saverio ebbe il tempo soltanto di darsi una rinfrescata per la barba e per il resto si poteva anche aspettare. 
Stranamente nessuno aveva notato la ferita che Saverio si era portato dal fronte e impressa nella sanguinante gamba. Prima di trovare posto nella branda insieme agli altri fratelli Nicolino ebbe quasi come una illuminazione divina, volle salutare il papà non come faceva ogni sera con il bacio sulla guancia ma baciandogli questa volta quel piede che aveva avuto la forza di far ritorno a casa tra mille difficoltà. E fu allora che accorse che grondava sangue e scoppiò in un pianto dirotto gridando: “Salvate papà, è ferito!”. 
Saverio cercò di calmare gli animi e chiese soltanto una bacinella con una pezzuola bianca e un mix di acqua ed aceto, disinfettò la ferita, la fasciò e diede la buona notte all’intera famiglia.
Nel cuore della notte Saverio si svegliò all’improvviso e invitò Grazia a preparare la macchinetta napoletana del caffè. Grazia gli chiese perché tanta fretta e lui rispose: “Domani mattina alle 5 ritorno alla regia azienda, è quello il mio posto di lavoro. Anche le cozze aspettano il mio abbraccio così come ho fatto con voi”.
Qui si chiude la storia di Saverio, una storia non inventata, una storia vissuta, e io, crocerossina anonima, posso assicurare ogni lettore che fra tutti gli encomi, i diplomi, le medaglie e i costosi doni ricevuti, ribadisco che la lunga lettera di Saverio è il ricordo più bello, più umano, più commovente, più natalizio che tengo chiuso a doppia mandata nello scrigno del mio cuore. 
 
 


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