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Amarcord /Quell'odore di fiammifero che brucia

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

5
GEN
2017
Ricordi d'infanzia, quando oltrepassare l'Orimini era un viaggio avventuroso e quando le grandi bocche di fuoco dell'industria non facevano paura
 
 
Oggi, al risveglio, mi è tornato alla mente un ricordo d'infanzia.
Vivevo a Martina ma non ne ero molto contento forse perché non lo era mia madre e mio padre lavorava a Taranto da sempre. Lui si svegliava presto, riscaldava il motore della sua auto e ritornava di sera. Proprio non capivo perché se tutti volevamo vivere a Taranto, dovevamo stare a Martina.
Mia sorella no, lei era martinese sino in fondo e a Martina ci viveva contenta.
Taranto. La adoravo, riusciva a suscitarmi solo sensazioni gradevoli, era la mia città dei balocchi, piena di luci e negozi che mi riempivano di ottimismo.
La gente passeggiava, andava in giro in bicicletta, c'erano i bus, la centrale del latte.
E poi adoravo i miei nonni e incontrarli mi faceva felice.
Durante il mese, però, a Taranto ci andavo e, già qualche giorno prima, diventavo allegro e eccitato.
Il mattino del trasferimento, mi svegliavo presto, preparavo il mio fagottino di abitini di ricambio, prendevo la mia copertina tartan e, dopo l'ultima verifica generale, la famiglia Bruni partiva per Taranto.
Prima tappa di rito era il distributore di carburanti dove mio padre riforniva l'auto con la fatidica frase: "5000, metà e metà", riferendosi alle benzine normale e super.
Si partiva su quella strada che per me portava a una nuova avventura. Allora la statale era un lungo nastro pieno di curve e dossi che, all'altezza della Masseria Orimini diventavano una vera prova di resistenza per il mio stomaco. Quando ormai pensavo che tutto fosse perduto, a partire dalla mia colazione, l'andatura diventava rettilinea.
Io mi prestabilivo delle tappe per cadenzare il viaggio così, dopo aver superato la lunga fila di eucalipti che delimitavano i cigli stradali, attendevo gli ulivi millenari, le maestose palme presso una casetta diroccata, la pista dei go-kart, a cui seguiva l'immenso, stupendo panorama del golfo.
In realtà Taranto non si vedeva quasi mai e quando io chiedevo ai miei genitori perché, ricordo il silenzio di mio padre e la fatidica frase di mia madre: "Oggi c'è foschia".
A me non importava molto della foschia perché a breve Taranto l'avrei vista da vicino.
E poi c'era quell'odore sempre più intenso e pungente che mi ricordava che ormai mancava poco.
Un strano miscuglio di uova marce e fiammiferi bruciati che mi faceva tossire ma che amavo perché apparteneva alla mia città preferita.
Superato il Seminario, la Centrale del Latte, il ristorante Rosso-Blu, eri a Taranto. E quello strano odore sembrava perfino più sopportabile.
Dopo il ponte di pietra mi sentivo in pieno spirito natalizio anche a giugno. Negozietti, pescatori con le reti, gente che si chiamava ad alta voce, quella signora alla finestra come un quadro, il castello, il ponte girevole. Ormai era fatta, c'era solo da guardare la città che si svegliava. La mia città.
La bottiglieria, forni e bar, l'Upim, ancora due svolte, arrivati.
La sirena cominciava il suo lungo lamento e noi eravamo in casa dei nonni.
Chi terminava la colazione, chi correva a vestirsi, chi salutava discendendo le scale.
Loro, i miei adorati nonni svegli ma ancora a letto ad attenderci.
Bussavo, aspettavo e aprivo la porta. Lo squardo serio di mio nonno si distendeva in un sorriso compito che io prolungavo con il mio abbraccio e i baci piccoli e rispettosi che davo al suo viso scavato. Poi correvo dalla nonna per affondare le mie labbra nel suo viso gioviale e paffutello. Quanto li amavo quei due corpi distesi su quel lettone liberty sotto lo sguardo di S. Giuseppe che accompagna il Bambinello. Non scorderò mai quella stanza, quella luce soffusa, quel quadro di S. Giuseppe, le fotografie dei miei nonni promessi sposi con le dediche.
Quello che avveniva dopo era la storia della mia vita.
Ci ho messo qualche anno per capire perché vivevo a Martina, perché il nonno aveva i polmoni di un fumatore se non aveva mai fumato, perché mio padre ci portasse sempre in campagna anche se avevo freddo.
Ora è proprio cambiato tutto. "5000, metà e metà", niente più curve per il mio stomaco, niente più eucalipti, palme, olivi millenari, centrale del latte con quelle strane buste a punta.
I nonni non ci sono più così come i miei genitori. Niente più stanza liberty con S. Giuseppe che accompagna il Bambinello.
Solo una cosa è ancora lì. La fabbrica che produceva quell'odore che mi faceva felice.
 


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