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Luana Spadaro/Missione: Cultura

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

19
APR
2013

 

I suoi primi ricordi sono quelli delle prove della compagnia teatrale di cui ora è presidente. Padre attore e madre costumista (e attrice), la giovane stattese sembrava avere già nel dna i geni della recitazione
 
Per alcuni il teatro è un passatempo, un piacere a cui dedicarsi nel tempo libero. Un’arte da amare e da coltivare come una ricchezza personale. Altri lo considerano un vero e proprio lavoro, il pane di tutti i giorni, qualcosa di cui nutrirsi e della quale è impossibile fare a meno. Per altri ancora, invece, oltre a essere tutte queste cose insieme, è una missione. È questo il caso di Luana Spadaro, giovanissima stattese, da un anno Presidente dell’associazione “Spazio Teatro”, un rinomato gruppo teatrale attivo sul nostro territorio sin dai primi anni Ottanta. Per Luana, salire su un palco e calarsi in un personaggio significa farsi fruitori di un messaggio, divenire strumento per la diffusione della cultura; un ambito, questo, da preservare a ogni costo. 
 
Luana, quando nasce la compagnia Spazio Teatro?
«Nasce nel 1983 dall’idea dei tre fondatori: il regista Luigi D’Andria, Mimmo Spadaro e Dino Spadaro, mio padre. Lo scopo era quello di creare una compagnia teatrale messa su per passione, per voglia di riunirsi e divertirsi insieme seguendo le proprie aspirazioni. Inizialmente si mettevano in scena sketch dialettali divertenti, atti a far ridere il pubblico portando sul palco quelle caratteristiche tipiche della nostra provincia, della nostra terra. Quei modi di fare tipicamente pugliesi, insomma. Poi pian piano è cresciuta e sono stati portati in scena anche testi in lingua, per esempio quelli di Brecht o di De Filippo. E finalmente, nel 2002 è diventata un’associazione».
 
E questa crescita ha portato anche a una rassegna teatrale molto nota nel territorio.
«Esatto, come associazione abbiamo organizzato e realizzato la rassegna teatrale del Premio Città di Taranto, “Talìa”. Quest’anno dovrebbe essere la decima edizione. Il nostro compito è quello di contattare le varie compagnie, valutare i copioni e le proposte e scegliere quelle più adatte secondo il regolamento».
 
Come mai avete avuto questa idea?
«Ci siamo resi conto che su Taranto non c’era nessuna rassegna a premi e dunque abbiamo pensato di crearne una noi, premiando sei diverse categorie: miglior attore protagonista, miglior attrice protagonista, miglior attore non protagonista, miglior attrice non protagonista, migliore regia e miglior allestimento. Gli scorsi anni, in alcune edizioni hanno partecipato anche compagnie di Brindisi, Bari e Lecce. Poteva dunque diventare una rassegna regionale, ma purtroppo per un po’ di tempo ci siamo dovuti fermare perché ci manca il “contenitore”, uno spazio dove realizzarla. Ci sono affitti altissimi, ed essendo una associazione che nasce a livello amatoriale non ci possiamo permettere grosse spese. Ci scontriamo contro la non agibilità di alcuni spazi e con l’impossibilità di occuparne altri. Gli enti e le amministrazioni locali, poi, economicamente non ci aiutano molto».
 
Tu ne sei Presidente solo da poco, però.
«Lo sono solo da un anno. Prima di me la carica era ricoperta da Concetta Auricchio, una donna che è presente nella compagnia praticamente da sempre. Nel corso di una riunione in cui si doveva prendere in considerazione il “successore” è stato fatto il mio nome ed eccomi qua. Devo dire che mi ha reso molto felice il fatto che abbiano pensato a me, è una cosa che mi ha riempito di orgoglio. Certo, c’è molta responsabilità ora sulle mie spalle; fare da traino all’intera compagnia, spronare gli altri membri del gruppo ad andare avanti nei momenti difficili e lottare contro mille avversità non è affatto facile. Ma è un compito che svolgo con immenso piacere. Ritengo che diffondere la cultura sia una missione, e noi abbiamo il compito di farlo».
 
E purtroppo nel nostro territorio alla cultura, che dovrebbe essere il motore che fa andare avanti l’umanità, viene sempre data troppo poca importanza.
«È vero. Io penso che però il teatro possa essere un canale molto valido per diffonderla, perché ha il compito di veicolare un messaggio. Un messaggio che arriva a molta gente, essendo le nostre rappresentazioni gratuite, infatti, sono in tanti a vederle».
 
Prima di diventare Presidente facevi comunque parte della compagnia come attrice?
«Assolutamente, e anche ora quando posso salgo sul palco perché la recitazione non voglio abbandonarla. Considera che io sono praticamente nata con la Compagnia, o meglio quando è stata fondata io ero nel grembo di mia madre, che peraltro fa la costumista e ha anche avuto modo di recitare. Mio padre, invece, come ho accennato poc’anzi è uno dei fondatori e naturalmente degli attori. Si può dire che sono cresciuta a pane e teatro. Mi ricordo che dal mio passeggino osservavo le prove e mi divertivo un mondo. Quando poi sono diventata un po’ più grandicella, mi sono state assegnate delle parti e via così. Ho interpretato personaggi seri e altri più comici».
 
E quali prediligi?
«Sono belli tutti, l’importante è trasmettere un’emozione. Riuscire a far commuovere attraverso una parte seria e introspettiva, o a far ridere in un ruolo comico. Quando c’è l’amore per la recitazione, ti posso assicurare che ogni volta che si sale sul palco è un’emozione unica, come fosse la prima volta».
 
Se dovessi dirmi una cosa bella del teatro, il lato più piacevole, quale sarebbe?
«Sicuramente il contatto con il pubblico, e soprattutto sapere che ti stai facendo portatore di un messaggio che gli spettatori recepiscono. L’importanza di trasmettere un concetto, ecco. Sapere di essere uno strumento per smuovere le coscienze, per sensibilizzare la cittadinanza verso una tematica in particolare. Credo che quella sia la parte migliore, anche se si è una piccola goccia in un mare infinito».
 
E invece l’aspetto più brutto, ammesso che ci sia?
«Nell’ambiente amatoriale non ci sono aspetti negativi, è tutto molto gradevole».
 
Essendo cresciuta all’interno della compagnia avrai un mucchio di aneddoti divertenti. Cosa accade dietro le quinte di un gruppo teatrale?
«Ah, di tutto. Si assiste, poco prima della rappresentazione, alla preparazione degli interpreti che cercano di calarsi nel personaggio, ognuno con il proprio metodo. Dunque se ne stanno lì concentrati a respirare profondamente e a ripetere le battute. A volte, però, capita di assistere a qualcosa di veramente buffo. Uno degli episodi che ricordo con più piacere è stato durante le prove di “Taxi a due piazze”. Eravamo a mare, perché la rappresentazione doveva avere luogo al “Sun bay” e uno degli attori, Antonio, doveva interpretare la parte di un ragazzo omosessuale. Indimenticabile la visione di lui, con il mare da un lato e il palco dall’altro, fermo con una borsetta e intento a parlare a bassa voce. È stata davvero una scena molto divertente. Oppure quando si cerca di non fare rumore e invece si sente di tutto».
 
Hai mai pensato di recitare da professionista?
«Mi piacerebbe e ho fatto anche qualche provino in passato. Ma per farlo a livelli più elevati c’è bisogno di tempo che io non ho, poiché oltre a occuparmi della compagnia lavoro come educatore della prima infanzia. Inoltre occorre dedicarsi molto; non è qualcosa che si può improvvisare, è necessario studiare dizione, cosa però che mi riprometto di fare a breve. Per i miei ritmi quotidiani e gli impegni che ho, sono contenta di farlo solo a livello amatoriale».
 
Avrai delle attrici a cui ti ispiri o che apprezzi particolarmente…
«Due su tutte: Cinzia Leone e Anna Mazzamauro. Sono sensazionali. La prima poi ho avuto la grande fortuna di incontrarla personalmente a Castrocaro».
 
Al momento, quale lavori state portando in scena?
«Ce ne sono diversi. Gli ultimi in ordine cronologico sono due. La prima è un’opera in dialetto tarantino sulla storia della città vecchia, interamente scritta da Luigi D’Andria. Parla appunto dell’emigrazione che c’è stata da parte dei tarantini a cavallo fra Otto e Novecento, i quali hanno abbandonato il centro storico per spostarsi nel borgo nuovo. È stata realizzata in realtà circa dieci anni fa, ed è stata rispolverata l’anno scorso, visto il grande successo che aveva ottenuto. L’altra invece è di un regista americano, Ray Cooney, dal titolo “Taxi a due piazze”, che ho già avuto modo di citare. Quest’ultima è stata portata anche a Castrocaro, in quanto siamo associati alla  Fitel, la Federazione Italiana Tempo Libero che organizza questa rassegna a livello nazionale. Ci siamo presentati con la nostra rappresentazione lo scorso settembre e abbiamo vinto ben tre premi: miglior attrice non protagonista a Sonia Mariella, migliore regia a Luigi D’Andria e miglior attore non protagonista a Franco Amandonico. Una gran bella soddisfazione».
 
E ora state lavorando su qualcos’altro?
«Sì, il regista ha in cantiere diversi progetti e a ogni riunione li espone a tutto il gruppo, per parlarne e discuterne. La realizzazione, tuttavia, dipende da diversi fattori: primo fra tutti la disponibilità degli attori. Quando si valuta un progetto, infatti, occorre tener conto delle nostre risorse e un problema comune è quello della carenza di attori maschi».
 
Come mai i ragazzi non si avvicinano molto al teatro? La considerano forse un’arte più femminile?
«No, io credo che sviluppino un maggiore pudore. Le donne sul palco si sentono più a proprio agio, mentre gli uomini non amano stare molto al centro dell’attenzione e dunque tendono ad allontanarsi o in ogni caso sono un po’ più restii a intraprendere questa passione. Ci si avvicinano da grandi. Mi capita spesso di parlare con i ragazzi e di sentire il loro imbarazzo nello stare sotto i riflettori. Io invece ritengo che il teatro sia un ottimo modo per vincere la timidezza e per lasciarsi andare. La recitazione aiuta molto a vincere le paure e le inibizioni».
 
Tra l’altro, se pensiamo che qualche secolo fa la recitazione era una prerogativa prettamente maschile poiché alla donna non era concessa la partecipazione a questo genere di attività, è davvero un paradosso. 
«Già, è vero. Mi auguro che gli uomini imparino a gestire meglio le loro emozioni e capiscano che il teatro può essere molto stimolante. È un’arte che ti riempie la vita. Provare per credere».
 


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