Si chiama Echi di vita ed è la raccolta di poesie che Gioacchino Leone ha recentemente consegnato alle stampe come a voler racchiudere la propria esistenza in un libro dando un senso compiuto ad una vita di versi, dando un ordine quasi razionale ad una serie di sentimenti sparsi su carta e lasciati fluire così come sgorgavano.
Lo scorrere del tempo, l’infanzia dura ma felice trascorsa nella sua campagna lucana, l’adolescenza passata nella grande città, poi una breve parentesi da emigrante al nord, il lavoro, la famiglia ed infine il ritorno, l’eterno ritorno alle radici come a voler dimostrare che da quelle non si fugge.
Il tema sono i sentimenti dipinti come macchie sulla tela bianca della vita ed espressi con un linguaggio diretto, senza fronzoli, quasi arso come la terra della sua Pisticci.
Le immagini sono plasmate così come si plasma l’argilla lucana e immortalano i luoghi dell’anima, le persone incontrate lungo il cammino come se attraverso il ricordo l’intenzione fosse quella di ritrovare sé stesso, di riannodare i fili dell’esistenza cercando il senso logico, le risposte agli interrogativi incombenti, la linea sottile che unisce i punti distanti nel tempo e nello spazio.
Lo stile è volutamente essenziale così come lo sono le immagini a volte quasi accennate, tratteggiate in fretta per lasciare al lettore la sensazione, l’essenza delle cose più che la forma nitida.
Si avverte chiaramente che la poesia per Leone è occasione di introspezione, di analisi esistenziale e spirituale, un momento personale che associa alla nostalgia della fanciullezza i drammi del lavoro e lo scorrere della vita con quel suo sapore agrodolce.
E la ricerca più struggente, l’urgenza più prepotente è quella di intridere di sentimento ogni persona e ogni paesaggio raccontato nell’intento di dimostrare che nulla è inutile ma tutto è parte del complesso mosaico chiamato vita in cui tutti gli echi, tutti i riverberi giacciono lì a comporre il quadro esistenziale.