Il 4 novembre del 1940 ebbe inizio il vasto piano operativo inglese MB8, (Mike Bravo Eight) effettuato dalle due squadre navali inglesi di stanza a Gibilterra ed Alessandria, impegnate a scortare importanti e vitali convogli diretti in Grecia. Nella complessa operazione fu inserita e pianificata l’attuazione della Operazione Judgement, (DECISIONE), che prevedeva l’attacco alla base principale della Regia Marina a Taranto. Con questa operazione e con lo schieramento massiccio della due squadre navali, l’Ammiraglio Andrew Cunningham, in base alle direttive emanate dall’Ammiragliato Inglese, doveva e poteva colpire definitivamente il grosso della flotta italiana, assegnando una completa supremazia inglese nel mar Mediterraneo.
L’ammiraglio Cunningham con la sua decisione di impiegare una ridotta formazione d’attacco alla base di Taranto, anche se vittoriosa, non riuscì a paralizzare definitivamente la flotta italiana, in quanto in pochi mesi, grazie allo sforzo cantieristico degli arsenali, si riequilibrarono le forze navali con la consegna di due delle tre corazzate colpite, fra le quali la moderna Corazzata Littorio, ristabilendo la quasi completa operatività d’impiego alla squadra navale italiana. Il Comando della Regia Marina per poter accelerare le riparazioni della moderna corazzata Littorio, richiamò in servizio il Generale del Genio Navale Umberto Pugliese, progettista delle corazzate ed esperto assoluto delle costruzioni, in quanto precedentemente allontanato, causa delle leggi razziali in vigore.
(Il decollo di uno Swordfish)
Note: (Il Fairey Swordfish era un biplano entrato in servizio negli anni trenta ed usato come aerosilurante, imbarcato sulle portaerei inglesi in quanto grazie alle sue capacità tecniche poteva decollare e appontare in brevi spazi. Era armato con una Vickers calibro 7,7 mm e una mitragliatrice posteriore Lewis, bombe da 680 Kg , missili e siluro da 760 Kg. Sviluppava una velocità max di 224 Km/h con una autonomia di 879 Km e costruito in varie versioni.)
Il siluramento delle sole tre corazzate ebbe una significativa vittoria morale, ma causò conseguenze deleterie per gli inglesi in quanto costretti a rischierare nuovamente le forze navali in mediterraneo per sottrarle dagli scenari bellici dell’atlantico e del pacifico. Infatti nei tre anni successivi, la Regia Marina tenne testa alla Mediterranean Fleet in quasi tutto il Mediterraneo, assestandole duri colpi tattici. Sulla base di queste valutazioni, in base alle fonti di valenti storici inglesi ed italiani, l’attacco a Taranto si può considerare un successo tattico ma un fallimento operativo. L’attacco a Taranto con aerosiluranti venne ipotizzato nel lontano 1935 dall’allora Comandante della flotta del mediterraneo, Ammiraglio Sir Dudley Pound, il quale ordinò di studiare un piano d’azione inteso ad attaccare la base di Taranto. Il piano operativo venne ideato ma non venne attuato. Nel 1939 il Capitano di vascello Arthur Lyster, comandante della Portaerei Glorius, riprese il piano operativo aggiornandolo e simulò l’attacco con varie esercitazioni svolte in segreto in zone inglesi similari. Nel settembre del 1940 consegnò il piano d’attacco all’Ammiraglio Cunningham il quale sottopose il piano d’attacco al vaglio dell’Ammiragliato britannico, che approvò il tutto e inserirlo nella vasta Operazione “MB8”. L’operazione denominata “Judgement”, consisteva in un attacco notturno a sorpresa, ad ovest della base, con aerosiluranti e bombardieri Swordfish, da effettuare con luce lunare, nella rada del Mar grande, dove le navi da battaglia della Regia Marina erano ormeggiate. Due ondate di Swordfish, lanciati dalle portaerei inglesi a 170 miglia da Taranto, muniti di serbatoi supplementari, armati con siluri e bombe, dovevano lanciare i razzi bengalieri al magnesio, per illuminare la rada e subito dopo dovevano bombardare le varie installazioni, depositi di combustibili e recarsi successivamente in Mar Piccolo, per bombardare le unità ormeggiate presso la banchina torpediniere.
Gli aerosiluranti, invece dovevano penetrare e planare in rada, eludendo le ostruzioni del porto per colpire con i siluri le corazzate ormeggiate. L’operazione doveva essere attuata il 21 ottobre in occasione del 135°anniversario di Trafalgar ma, causa alcuni incendi nell’hangar della portaerei Eagle, venne ripianificata per il giorno 11 novembre con l’impiego della sola portaerei Illustrious. L’inizio dell’operazione doveva svolgersi, solo dopo una accurata ricognizione aeree quotidiana, per assicurarsi la presenza di tutte le unità in porto. Al Comando della Regia Marina e al Comando della Regia Aeronautica non sfuggì il grosso movimento della flotta inglese in quei giorni. Il movimento delle squadre navali inglesi, segnalato dalla ricognizione aerea italiana, era privo di dati certi sulla reale situazione, consistenza e destinazione. Supermarina, in base alle imprecise informazioni giunte e alle tempistiche per autorizzare una eventuale partenza delle unità da battaglia per intercettare il nemico, ritenne opportuno non far salpare la squadra navale. Inviò invece squadriglie Cacciatorpediniere per rastrellare la zona all’interno del golfo di Taranto e pose alcuni sommergibili in agguato sulla rotta verso Malta, ma senza alcun avvistamento. Precedentemente, nel maggio del 1940, Supermarina, con un concetto protettivo verso la flotta, (Fleet in Being), attuava un piano operativo inteso a difendere le coste nazionali, la protezione dei bacini orientali e occidentali del mediterraneo, stabilendo che lo scenario bellico doveva essere prevalentemente effettuato nel canale di Sicilia, con la copertura aerea fornita dalle basi della Regia Aeronautica. Il compito principale della flotta italiana, in cooperazione con Superaereo, (Comando Regia Aeronautica), era quello di scortare in forze i grossi convogli mercantili, carichi di truppe e rifornimenti vari, verso le rotte di comunicazione dirette verso l’Albania, la Grecia e il Nord Africa, considerando principalmente anche le riserve del combustibile a disposizione della flotta.
Foto 1: Il piano d’attacco inglese
Foto 2: la foto mostra le reti para siluro collocate in Mar Grande
La base di Taranto era difesa nel seguente modo:
Supermarina, considerava la difesa dei porti abbastanza sicuri da eventuali attacchi aerei nemici.
Tutte le difese erano alle dipendenze della DICAT (difesa contraerea territoriale) che disponeva di N°21 Batterie con 101 cannoni di vario calibro ma prive di sistemi per il tiro notturno, pertanto, effettuavano solo tiro di sbarramento in alta quota. Per il tiro di puntamento diretto, erano installate N°68 complessi di mitragliatrici binate, N°84 mitragliere pesanti in canna singola e 109 mitragliere leggeri dislocate in varie settori a gruppi multipli. Erano presenti tredici stazioni di aerofoni, due di esse collegate ai 22 proiettori, situati lungo l’intera base navale. La difesa del porto era munita di 87 palloni di sbarramento ma quel giorno causa il maltempo dei giorni precedenti, erano presenti solo 27 palloni e per mancanza di idrogeno non furono rimpiazzati. Le unità da battaglia erano protette da reti metalliche para siluro e le stesse erano collocate a protezione delle corazzate, considerando gli equi compromessi fra sicurezza e uscita dalle ostruzioni con facilità, in caso di immediato attacco aereo. Erano previste 12.800 metri di reti ma in quei giorni erano presenti solo 4.200 metri. La Regia marina era convinta dell’efficacia delle sue reti ma, non era al corrente dei nuovi siluri inglesi, Mark XII da 457 mm. I siluri sviluppavano una velocità di lancio di 27 nodi ad una profondità di 10 metri ed erano muniti di un doppio acciarino,” Duplex “che si innescava sia per urto e sia per effetto del campo magnetico, influenzato dallo scafo della nave al passaggio del siluro sotto la carena, innescando l’esplosione. Infatti le reti collocate proteggevano le corazzate dal pelo dell’acqua fino al termine della carena, il nuovo siluro al di là della profondità, passava sotto le reti ed esplodeva sotto la grossa carena della nave. Alla difesa della base si aggiungevano il massiccio numero di artiglierie di vario calibro, presenti a bordo delle unità navali ormeggiate in porto e in rada.
“Un vero muro di fuoco ma cieco in quanto la base era sprovvista di radar per intercettare il nemico a distanza”.
Dalla mattina dell’11 novembre fino al tardo pomeriggio i Maryland inglesi, ricognitori ad alta quota, effettuarono diverse ricognizioni, allarmando le contraeree della base e l’ultima ricognizione rilevò l’ingresso della Corazzata Andrea Doria che rientrava da una esercitazione. Le corazzate della regia Marina erano tutte ancorate in mar Grande. A questo punto l’Ammiraglio Cunningham citò la frase: “Tutti i fagiani sono nel nido”.
(Una foto scattata da un ricognitore Maryland inglese )
(La portaerei Illustrious in navigazione verso Taranto)
Alle 20,05 circa le sirene suonarono l’allarme aereo, e la popolazione raggiunse impaurita i rifugi antiaerei. Alle 22,00 circa un nuovo allarme aereo e subito dopo le batterie di San Vito aprirono un pesante fuoco di sbarramento aereo. Alle 23,00 circa, l’intera piazzaforte era in allarme per le incursioni precedentemente svolte dagli aerei inglesi e la prima ondata composta da 12 Swordfish, penetra in rada sul lato ovest. Gli aerei bombardieri lanciarono una fila di bengala al magnesio, (n°16 razzi), illuminando a giorno la rada e subito dopo bombardarono i depositi di carburante di Chiapparo, attirando il fuoco della contraerea per poi dirigere successivamente in mar piccolo. Le sagome delle corazzate erano ormai ben visibili e i primi aerosiluranti entrarono attraverso le bisettrici d’attacco, studiate per eludere le ostruzioni ben difese. Accolti da un terribile fuoco contraereo ravvicinato, gli aerosiluranti da 13.000 metri planarono fino 9 metri dal pelo dell’acqua a motore spento e l’aereo del Caposquadriglia, intravide la grossa sagoma della Corazzata Cavour. Da soli quattrocento metri sfidando le contraeree dirette delle unità navali, sganciò il siluro il quale colpì la prora sinistra della corazzata, aprendo un grosso squarcio.
L’aereo venne colpito dalla contraerea e precipitò in mare. Altri due aerosiluranti attaccarono le corazzate Vittorio Veneto e Andrea Doria, ma i siluri mancarono il bersaglio. Alle 23,20 circa due Swordfish aerosiluranti, attaccarono simultaneamente la moderna corazzata Littorio e colpirono la nave a prora dritta con due siluri.
(il punto d’impatto dei siluri sulla moderna Corazzata Littorio)
Alle 23,30 circa dopo pochi minuti di intervallo la seconda ondata composta da nove Swordfish, incominciò l’attacco. Vennero lanciati i bengala, ricreando lo stesso scenario e a pelo d’acqua gli aerosiluranti attaccarono le corazzate alla fonda. Due aerosiluranti attaccarono nuovamente la Littorio, da solo trecento metri, un siluro colpì la corazzata a poppa via, il secondo si arrenò senza esplodere nel fondale fangoso sotto la chiglia della corazzata. Un altro aerosilurante verso le 00,01 sganciò il suo siluro verso la Corazzata Caio Duilio, colpendola sul lato di dritta in corrispondenza della torre prodiera n°2.
I rimanenti aerosiluranti tentarono di silurare le corazzate Vittorio Veneto e Andrea Doria, ma fortunatamente un siluro esplose sul fondale, il secondo si arrenò nel fango. L’ultimo Swordfish, tentò di silurare l’Incrociatore pesante Gorizia ormeggiato fra le ostruzioni del primo settore, lanciò il siluro senza colpire l’incrociatore ma venne abbattuto dal violento tiro incrociato della contraerea. In Mar piccolo gli aerei lanciarono le bombe perforanti sull’’Incrociatore pesante Trento e sul Caccia Torpediniere Libeccio, provocando leggeri danni.
Altri bombardarono l’hangar dell’idroscalo, distruggendo due idrovolanti, bombardarono altre installazioni all’interno dell’arsenale militare ed i quartieri cittadini adiacenti alle installazioni militari. I diciannove Swordfish, indisturbati proseguirono verso la rotta del ritorno e alle 02,50 appontarono sulla portaerei Illustrious, la quale raggiunse con la sua scorta il grosso della squadra navale inglese, al punto di ritorno stabilito dal piano.
L’attacco a sorpresa causò i seguenti danni:
La Corazzata Conte di Cavour, silurata a centro nave. L’esplosione provocò uno squarcio di dodici metri sotto la chiglia e la nave portata sui fondali bassi si adagiò sul fondale.
La moderna Corazzata Littorio, colpita da tre siluri, due a prua ed uno a poppa. L’unità si appruo sul fondale ma venne risollevata e condotta in bacino per le riparazioni.
La Corazzata Caio Duilio, colpita da un siluro a prora via, venne rimorchiata in bacino e riparata.
Diversi siluri rimasero sul fondo sabbioso inesplosi.
L’Incrociatore pesante Trento, colpito da una bomba perforante sul ponte. La bomba non esplose
il Cacciatorpediniere Libeccio e due navi ausiliare di squadra furono colpiti leggermente da bombe perforanti. Alla base idrovolanti fu colpito l’hangar e distrutti due aerei Cant Z 506. Lievi danni all’interno dell’Arsenale Militare. Il giorno successivo le corazzate furono trasferite in altri porti per motivi di sicurezza.
Perdite Inglesi: N°2 Aerosiluranti Swordfish, appartenenti alla prima e alla seconda ondata e un equipaggio deceduti.
(Il grafico indica le bisettrici d’attacco percorse dagli aerosiluranti e le unità colpite. Le direzioni indicano il posto dove le unità si arrenarono in rada. Subito dopo l’attacco giunsero i soccorsi al personale delle navi colpite e centinaia di tecnici e operai delle maestranze arsenalizie accorsi con i mezzi per riparare le falle a bordo delle corazzate colpite).
- (Le foto mostrano la Corazzata Conte di Cavour semi affondata presso la secca della Tarantola. Successivamente venne sollevata e portata in bacino per i lavori. Non entrò più in servizio attivo.)
(La Littorio completamente appruata, venne sollevata dal fondale con dei cassoni applicati a prua dello scafo ed altri collocati a poppa per controbilanciare il peso della corazzata).
(La Corazzata Littorio dopo aver transitato a rimorchio il canale navigabile raggiungere il bacino Ferrati. (foto G.Alfano)
(La Corazzata Conte di Cavour a rimorchio transita il canale navigabile, privata dei cannoni e di altre apparecchiature).
La mattina del 12 Novembre 1940, la popolazione tarantina dopo pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia, provò i terribili effetti del bombardamento aereo. Gli stati d’animo erano molto provati e preoccupati anche per i loro cari imbarcati sulle navi presenti in porto. Dopo quasi cinque ore rinchiusi nei rifugi, alle 01,30 al suono del cessato allarme aereo, la gente uscì e si recò presso le proprie abitazioni in quanto i quartieri della città situati nei pressi dell’Arsenale, Via Berardi, Via d’Aquino, Via Pitagora, Via Pisanella e il lontano Rione Tamburi, furono bombardati dalle ondate degli aerei, che riversarono grappoli di bombe, distruggendo fabbricati e molta gente che non scese nei rifugi, rimase imprigionata sotto le macerie. La mattina del 12 novembre ai tanti tarantini accorsi sul lungomare, appariva ai loro occhi, un desolante e triste spettacolo. Le potenti corazzate, orgoglio della nazione e della Regia Marina, colpite e semiaffondate. L’attacco oltre ai danni arrecati alle unità e alle infrastrutture, causò in totale 43 militari deceduti a bordo delle unità colpite più due militari deceduti presso il Maridipart e circa 580 feriti fra la popolazione.
Una triste e giornata nera colma di riflessioni ad oggi ancora notevolmente discusse.
Una giorno ricordato come: “La Notte di Taranto”.