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Il racconto/ La mia più bella vacanza

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

11
SET
2015
Con mia figlia Adriana ho sempre avuto un ottimo rapporto: aperto, cordiale e quasi d’amicizia, se si può definire amicizia il bel rapporto tra un padre e la figlia. Quell’anno frequentava ancora il classico e una mattina, che in tribunale avevano rinviato le udienze, pensai di andarla a prendere a scuola per poi pranzare assieme...
 
 
Arrivato davanti all’istituto mi accorsi di essere il solo ad aspettare, non c’erano genitori o nonni in attesa della campanella. Un po’ a disagio quando la vidi uscire dal portone, le feci cenno. Lei per un attimo si irrigidì stupita, poi mi venne incontro e mi dette un bacio sulla guancia. Sembrava agitata, si guardava in intorno ed io ebbi l’impressione che si sentisse in imbarazzo e che cercasse con lo sguardo qualcuno. “Che ci fai qui”. Mi chiese, continuando a guardare verso la scuola. “Ti secca che sia venuto a prenderti? Ti vergogni?”, le chiesi. Lei mi rispose di no, che anzi era…. era contenta, solo non se lo aspettava. Ma attraversando la strada capii cosa stessero cercando i suoi occhi persi nel vuoto: scrutavano quel ragazzo che stralunato si era desolatamente abbandonato al cancello dell’istituto. Quando finalmente lo individuò si volse verso di lui, irrigidì le braccia lungo i fianchi, rivolse all’esterno il palmo delle mani e insaccando il collo nelle spalle, gli rivolse un veloce cenno con la mano. “Se hai qualche altro impegno ci salutiamo qui”. Le dissi aprendo lo sportello della macchina. “No. No. Vengo con te”, mi rispose. Mentre aveva già iniziato a tormentare la tastiera del suo cellulare. Pranzando le strappai la promessa che avremmo trascorso qualche giorno di vacanza insieme quell’estate. “Impegni permettendo”, aggiunse lei. Poi la riaccompagnai a casa e tornai in studio.
Arrivato agosto avrei dovuto passare una settimana con lei. Avevamo concordato di soggiornare a Verona, visitare la città, la casa di Giulietta e poi andare sul lago di Garda e a Gardaland. E visto che lei studiava pianoforte avremmo fatto un salto a Busseto, a visitare la casa natale di Giuseppe Verdi. Ma le cose non andarono così. Verso il 20 luglio mi telefonò la mia ex moglie per dirmi, con un velato giro di parole, che nostra figlia avrebbe preferito passare tutto il mese d’agosto in Belgio, in una località vicino a Brugge, ospite di una famiglia di musicisti che l’avrebbero ospitata e fatta suonare con loro nelle serate dedicate a Mozart. Io cercai timidamente di replicare che la vacanza era già stata programmata e anche pagata, e che magari gli amici di Mozart se ne sarebbero fatti una ragione se una ragazza di 16 anni, al secondo anno di pianoforte, non fosse stata presente alle loro serate dedicate al musicista salisburghese. Lei replicò che siccome studiava la lingua, le sarebbe stato utile anche per perfezionare il suo francese. Alla fine, capendo che era un desiderio di nostra figlia, chiamai l’agenzia e disdissi tutto. 
Da quando Adriana era partita per il Belgio io non l’avevo ancora chiamata: per non distrarla e soprattutto per lasciarla tranquilla. Dopo averla accompagnata all’aeroporto la noia mi stava assorbendo sino al midollo, i giorni passavano così lentamente da sembrare secoli e non riuscivo a scuotermi dal torpore. Il giorno 14, verso le sei del mattino mentre, già sveglio, poltrivo a letto e mi arrovellavo sul cosa avrei potuto fare in quella giornata canicolare, in quella città con tutte le saracinesche abbassate e che esibivano il cartello < Chiuso per Ferie >, sentii il cellulare che vibrava sul comodino. Era mia figlia che mi stava facendo degli squilli. Mi stupii per quell’ora insolita, troppo mattutina per le sue abitudini. Preoccupato la richiamai. Mi disse, tra le lacrime, che si era stufata; il tempo non era mai bello, che pioveva sempre e che non abitavano a Brugge, la Venezia del nord, come la definivano i depliant, ma che risiedeva in una casa di campagna più vicino ad Ostenda che a Bruxelles. No, del pianoforte non aveva nemmeno alzato il coperchio della tastiera; sì, c’era in casa, ma stava facendo solo bella mostra di sè in salotto. E non parliamo del mangiare: uova strapazzate con bacon, cereali e cetrioli sott’aceto a colazione. La moglie del maestro di musica era anche caduta e si era rotto un femore. Il marito l’aveva accompagnata con l’ambulanza in ospedale e da allora non si erano più fatti vivi e lei era rimasta da sola in quel postaccio. “Per favore papà vienimi a prendere, ti prego. Ho paura. Piove sempre, sono sola e non ce la faccio più”. Chiusi, rassicurandola e pregandola di stare calma, poi chiamai la madre. La mia ex moglie mi disse che sì, Adriana l’aveva già informata che non si trovava bene e che stava mangiando poco perché il cibo non le piaceva, ma non mi aveva detto nulla per non farmi preoccupare. “Preoccupare o imbestialire?” Chiesi. E senza aspettare la risposta e senza mandarla dove avrei voluto, chiusi la comunicazione. Richiamai mia figlia per assicurarla che sarei partito subito, il tempo di organizzarmi e che entro la giornata successiva sarei stato di sicuro da lei. Doveva stare calma e avere solo un po’ di pazienza. Dopo aver perso buona parte della mattinata, senza fortuna, a cercare una agenzia aperta, mi recai in aeroporto: “Non ci dovrebbero essere problemi per il volo, in questa data o tutti hanno già raggiunto i posti di villeggiatura o non partono più”. Mi rassicurò sorridendo l’hostess l’addetta alle partenze. Partii nella tarda serata di quello stesso 14 agosto, su un areo quasi vuoto. Verso mezzanotte atterrammo a Charleroi e sotto una pioggia torrenziale corsi al pullman che stava partendo per Bruxelles. Intanto, ad ogni scalo, ad ogni sosta, chiamavo mia figlia per chiederle come stava, come si sentisse e per assicurarla che stavo per raggiungerla. Arrivato a Bruxelles entrai nella Gar du Midi e salii sul primo treno che partiva per Ostenda, con fermata intermedia a Brugge. Il tragitto tra Brugge e Jabbeke, la località dove si trovava Adriana, distava una quindicina di chilometri e la coprii in taxi. Erano passate le tre di notte quando l’autista mi lasciò davanti all’indirizzo che gli avevo indicato. Come suonai il campanello Adriana aprì la porta e mi saltò al collo. Era ancora scossa, tremava e faceva fatica a trattenere le lacrime, ma riuscì a dirmi, con un sorriso che le illuminò il viso: “Grazie papà”. La coppia che la ospitava non era ancora rientrata e così ci sistemammo alla meglio: svanita la tensione, sentivamo solo un gran bisogno di rilassarci. Il mattino successivo, verso le nove, la svegliai e l’aiutai a fare le valige; ci chiudemmo alle spalle la porta d’ingresso e andammo all’ospedale a lasciare le chiavi al signor Martens, il padrone di casa, il quale, come ci vide, si profuse in mille scuse e rincrescimenti. Salutato il signor Martens proseguimmo in taxi per Brugge, da dove prendemmo il treno per Bruxelles. Era una limpida e bellissima giornata di sole e mentre stavamo uscendo dalla Gard du Midi, mia figlia guardando verso l’alto disse, più a se stessa che a me: “Adesso che dobbiamo partire, guarda che sole è uscito”. Allora le chiesi: “Ti andrebbe di fermarti qui per qualche giorno? Potremmo visitare la città e i dintorni. E anche il tuo francese ne gioverebbe. Che ne dici?”. Lei annuì e così soggiornammo cinque giorni a Bruxelles. Tornammo a visitare anche Brugge, che di Venezia non aveva proprio niente, e visto che distava solo una trentina di chilometri dal centro della città, andammo anche sul campo di battaglia di Waterloo. Finita la vacanza in Belgio, in treno attraversammo la frontiera e raggiungemmo Parigi, e lì ci fermammo fino alla fine del mese. Con una macchina a nolo vistammo anche Versailles, Fontainebleau e Disneyland. Non l’avevo mai visto così serena e felice. Se la cavava bene anche con il francese e si divertiva a prendermi in giro dicendo che mi stava facendo da cicerone, da guida e io quello che provavo non riesco a descriverlo. Quando, spesso per la verità, la vedevo appartarsi e estraniarsi con il suo telefonino, capivo e mi allontanavo. 
Rientrammo in Italia con un volo diretto Orly/Roma, la sera del 31 agosto. Appena in tempo per essere pronti, il mattino successivo: lei ad andare a scuola e magari a cercare quel suo amico che era rimasto sconsolatamente appoggiato al cancello, ed io in studio per riprendere il mio lavoro di sempre, ma con il ricordo di quelle stupende giornate trascorse con mia figlia che sono state le vacanze più belle della mia vita…
 


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