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LA CHIESETTA RUPESTRE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

6
MAG
2016
Quando andai a trovare i miei genitori era una bella giornata di sole. Loro vivono da sempre in campagna, in un casolare ristrutturato, nostro da generazioni. Non si allevano più animali ed anche le campagne, per continuare a essere lavorate, sono state cedute ad altri. Queste attività, in famiglia si sono estinte coi nonni e ora la tenuta è diventata solo una grande casa, con tante stanze vuote, circondata da un ampio giardino e tutt’intorno un’immensa estensione di alberi d'olivo.
Quando vado a trovarli, cerco sempre di fermarmi qualche giorno da loro e non manco mai di fare anche una passeggiata nei dintorni. E c’è un posto in particolare, su una collinetta brulla, che mi piace tornare a visitare. Sono i ruderi medioevali di una chiesetta rupestre, lasciata da sola a lottare contro l’incuria, il tempo e la vegetazione che l’avvolge la penetra e sta ormai diventando un tutt’uno con la chiesetta. Al suo interno l’altare è sempre al suo posto, avviluppato dall’edera che sembra volergli fare da tovaglia e alle pareti si possono ancora notare delle nicchie con qualche macchia di colore e due affreschi raffiguranti immagini sacre. Da bambino, forse perché ci andavo sempre da solo, quelle due immagini, con la loro severità e solitudine, mi facevano paura e ancora adesso mi sembra di sentire l’eco della mia voce quando per farmi coraggio mi mettevo a gridare all’interno della grotta. E aveva un bel chiamare, mia madre: tutto inutile. Quando ero lì, nessuno riusciva a staccarmi da quel luogo.
In particolare ero attratto dall’immagine dei due santi con aureola, un uomo e una donna che sfidando il tempo erano ancora lì ma, inspiegabilmente dipinti con la testa girata dall'altra parte, non si guardavano mai. Sono vicini, si sfiorano ma non si guardano. Sembra addirittura che si ignorino a vicenda. I colori naturalmente sono molto sfumati, sbiaditi e per lunghi tratti mancanti o celati dalla polvere e dalla vegetazione che li ricopre, perciò è pressoché impossibile trarne un insieme dell’affresco, ma quello che da sempre mi ha affascinato, sin da bambino, è quella indifferenza che le due immagini dimostrano l’uno per l’altra e che traspare da quell’assurda ostinazione di volersi ignorare.
E così, ogni volta che vengo qui mi piace addentrarmi all’interno della chiesetta, raggiungere l’altare e poi quel pezzo di muro affrescato e quasi nascosto dai rovi, dove sono stati dipinti i due santi che continuano a sfiorarsi ma non a guardarsi. A volte ho pensato che fossero assorti in preghiera, a volte che avessero litigato. Ma devo ammettere che l’interpretazione che ho dato di loro l’ho cambiata spesso e a volte, tornando in quel luogo, speravo addirittura di trovarli in una posizione diversa, almeno una volta girati a guardarsi e a parlarsi.
Figlio unico, sono cresciuto praticamente da solo, inventandomi i giochi e diventando sempre più timido e introverso e forse perché abitavamo in campagna, isolati dal resto del paese, quelle passeggiate, sino a raggiungere la cima della collina, erano uno dei miei svaghi preferiti. A scuola mi prendevano in giro perché ero sempre silenzioso o parlavo poco e una volta il maestro fece ridere tutta la classe alle mie spalle, e successe quando mi chiese perché me ne stessi sempre da solo e non legassi con nessuno.
«Ah, ho capito…», esordì.
«… Tua madre ti ha raccomandato di fartela sempre con quelli migliori e più bravi di te, ma siccome anche le mamme degli altri ragazzi, ai loro figli hanno detto la stessa cosa, tu sei condannato a rimanere sempre da solo».
Risata generale da parte della classe e grande rabbia da parte mia per quella assurdità che non pensavo proprio che un insegnante potesse dire ad un ragazzino della mia età e, soprattutto, in presenza dei miei compagni.
Poi gli anni passarono. Terminate le scuole elementari e iniziate le medie, lo studio, assieme all’aiuto che davo a mio padre nell’orto e in campagna, mi teneva spesso occupato e su quella collinetta ci andavo sempre meno. Ma quando potevo, la chiesetta diroccata rimaneva la meta preferita delle mie solitarie passeggiate. Ma intanto era arrivato anche il periodo in cui cominciai a guardare le ragazze con occhi diversi. Era il tempo delle prime cotte.
Ricordo che a me piaceva Viola, una compagna di classe. Non lo avevo detto a nessuno, perché ero sicuro che se mi fossi lasciato andare a raccontarlo a qualcuno il mio sentimento sarebbe diventato di dominio pubblico e lo avrebbero detto anche a lei. Mi vergognavo troppo e speravo che Viola si accorgesse da sola di me e non perché qualcuno fosse andato a riferirle che mi piaceva. Quello era un mio segreto che mi tenevo stretto, tutto per me. Lo confidavo solo ai miei quaderni che avevo trasformato in una sorta di diario dove scrivevo di quella ragazza con gli occhi azzurri, i capelli lunghi e castani. Iniziavo sempre i miei resoconti, i miei pensieri, disegnando una stellina e poi subito “IvVi”, cioè Ivano e Viola. Ma Viola purtroppo non si accorse mai di me e la mia timidezza mi impedì di farle capire che mi ero proprio preso una cotta per lei.
Terminate le scuole medie, a causa del lavoro del padre, ufficiale dei carabinieri, si trasferì in un’altra città e non la rividi mai più. E le mie prime lacrime d’amore le versai proprio per lei, all’interno della chiesetta diroccata, il giorno che partì. Ricordo che inoltrandomi tra le rovine arrivai davanti all'affresco dei due santi e che da quel giorno cominciai a considerare quella chiesetta come un luogo di raccoglimento. “Giuro che non mi innamorerò più”, sussurrai convinto a me stesso, mentre le lacrime continuavano a bagnarmi il viso. E in quell'occasione ebbi anche l’impressione che i due santi, per una volta, avessero girato la testa e mi stessero guardando.
Naturalmente quel giuramento non lo mantenni perché nel corso degli anni mi innamorai di altre ragazze e due di loro ricambiarono anche il mio sentimento. Ma l’amore vero, quello che ti stravolge la vita e ti fa sentire le farfalle nello stomaco, arrivò solo più tardi, dopo che mi ero laureato e avevo iniziato a lavorare in uno studio legale. E ancora una volta, gli avvenimenti successivi si intrecciarono con quella chiesetta e quegli affreschi.
La vita sedentaria mi aveva fatto mettere su qualche chilo e allora presi l'abitudine, un paio di volte alla settimana, di andare a correre. Ci andavo anche la domenica mattina e arrivato in collina mi fermavo a fare qualche esercizio poi, come d’abitudine, entravo nella chiesetta persalutare i miei amici santi, anche se loro continuavano a ignorarmi e a ignorarsi, poi tornavo a casa.
«Mi hai spaventata», mi sentii dire un giorno uscendo dalla grotta. Mi girai di scatto. Una ragazza bella come il sole, con una fascia sulla fronte e un completo da ginnastica che evidenziava il suo corpo perfetto, era dietro di me e mi stava guardando.
«Scusami, ma da dove sbuchi?», le chiesi.
«Percorrendo quel sentiero», mi rispose, indicandomi il viottolo che scendeva dalla parte opposta della collinetta. Ci mettemmo a parlare e così seppi che si chiamava Asia e che era venuta ad abitare da poco in un paese vicino. Mi disse che le piaceva correre, fare dello sport, che era un’insegnante di educazione fisica e che amava la musica. Quanto mi piaceva quella ragazza. Era davvero bella e quando mi guardava, con quei suoi grandi occhi verdi, mi metteva in imbarazzo.
«Anch’io vengo qui a correre un paio di volte alla settimana e quasi sempre la domenica», riuscii a balbettare.
«Allora domenica prossima, se ti va, possiamo fare una corsetta assieme»
Mi chiese. Naturalmente accettai subito la sua proposta e da allora le domeniche mattina diventarono una sorta di appuntamento fisso. A volte capitava che correndo ci sfiorassimo, ci prendessimo per mano e allora era come se una scossa elettrica stesse attraversandoil mio corpo. Anche lei, comunque, mi sembrava non fosse indifferente alla mia vicinanza e una volta, raggiunta la cima della collina, senza nemmeno rendercene conto, finimmo uno nelle braccia dell’altra. E così, all’ingresso di quella chiesetta diroccata, la nostra storia ebbe inizio e fu travolgente. Da quel giorno cominciammo ad incontraci anche altrove. Andavo a prenderla all’uscita della scuola, spesso pranzavamo assieme e poi finivamo travolti dalla passione, che ci lasciava senza fiato.
Per me Asia era diventata qualcosa di speciale, una cosa unica.
«Vieni. Voglio farti vedere una cosa》le dissi, una domenica mattina, mentre stavamo correndo.
Portandola nella grotta era come se inconsciamente avessi voluto rendere partecipe l’affresco della nostra unione, del nostro amarci. Non so perché ma ero contento di averla portata lì. Lo ritenevo come il sigillo che doveva decretare la nostra unione. Ero felice e stavo sognando un futuro solo con lei. Ma quando fummo davanti ai due santi e le feci notare la particolarità dei loro volti girati, lei abbassò gli occhi.
«Speriamo che un giorno non accada anche a noi di non guardarci più in faccia, come stanno facendo loro», disse, ma io non detti peso a quelle sue parole sibilline e traendola a me le chiesi: «Che ne dici di venire a pranzo da me, uno di questi giorni? Mi farebbe piacere farti conoscere i miei». Ormai erano mesi che stavamo assieme e mi sembrava una cosa naturale invitarla a casa, ma lei avanzò delle scuse. E in seguito, quando tornai a chiederglielo, lei rinviò ancora e poi ancora.
«Guarda che ho intenzioni serie, sai. Molto serie», le dissi un giorno, dopo il suo ennesimo rifiuto, ma lei non sorrise della mia battuta. Anzi, si irrigidì, divenne molto seria, e poi esordì: «Ivano, credo sia arrivato il momento di dirti tutto. Non posso venire a conoscere i tuoi. La verità… La verità è che io sono fidanzata da otto anni con un ragazzo che vive e lavora a Londra ed è una cosa seria. Lui è sempre via e torna di rado e io posso raggiungerlo solo a Natale e in estate. Con te ci sto bene, Ivano. Neanche immagini quanto. Devo ammettere che all’inizio pensavo fosse solo una piacevole parentesi, ma poi le cose si sono complicate e quando ho capito che eri un ragazzo speciale non sono più riuscita a trovare la forza per troncare la nostra relazione. A te mi legano molte più cose che a lui, ma ormai le nostre famiglie sono coinvolte e abbiamo deciso di sposarci. Non posso tirarmi indietro. Non me la sento. Ti prego continuiamo così, fin quando sarà possibile, perché non voglio perderti…»
Mentre lei parlava io sentii una lama trafiggermi lo stomaco, e intanto realizzai quanto fossi stato stupido a non averlo capito prima, a non aver mai sospettato nulla. Tutte quelle assenze improvvise, quelle telefonate ambigue, quella sua ritrosia a parlare di sè, del suo passato.
Ero devastato e non volli accettare la sua assurda proposta e le dissi che era meglio finirla li e non vederci più. Ma stavo malissimo e con il passare dei giorni mi resi conto che non potevo fare a meno di lei. Mi mancava da morire. Asia mi era entrata nell’anima con tale intensità che non riuscivopiù a stare senza di lei, e così finii per accettare le sue condizioni. In fondo avevo sempre la speranza che si decidesse a lasciare il fidanzato per stare solo con me, ma mi sbagliavo. Dopo un anno di questi incontri furtivi fu Asia a lasciarmi. Avevano già fissato la data delle nozze e così decise di troncare la nostra relazione.
«Ivano, resterai per sempre l’uomo che ho amato di più. Non ti dimenticherò mai», mi disse l’ultima volta che ci vedemmo. Bellissime parole, ma intanto era con un altro che aveva deciso di costruirsi la famiglia. Dopo il nostro addio caddi in profonda depressione e vivevo nel terrore di incontrarla casualmente in compagnia di suo marito: ero sicuro che non sarei riuscito a reggere a quell’impatto. Decisi di scappare.
Lasciai la casa dove ero nato, il lavoro, le amicizie e mi trasferii in un’altra città. Li conobbi Stefania e nel giro di un anno ci sposammo e dopo qualche tempo nacque Davide e la mia vita sembrò tornata ad avere un senso, una parvenza di serenità, anche se le ferite inflittemi da Asia erano talmente profonde che non guarirono più.
La vita intanto ha continuato ad andare avanti e sono tornato spesso al mio paese per trascorrere qualche giorno con i miei genitori. E torno volentieri anche sulla collina a visitare la chiesetta rupestre con l’affresco dei i due santi, che testardamente continuano ad ignorarsi. Ora ci porto anche Davide, ma lui non sembra attratto da quelle immagini scrostate e ormai quasi invisibili, remote, ma miracolosamente sopravvissute allo scorrere del tempo.
Adesso quando penso ad Asia non soffro più. Anzi, comunque siano andate le cose, sono contento e ringrazio il destino di avermi fatto vivere quel periodo, quei momenti indimenticabili.
Come ho detto, nel corso della mia vita ho dato varie interpretazioni a quelle due immagini sacre. Ora non mi dispiace nemmeno più se continuano a non volersi guardare. E penso che forse anche a loro siano state inferte delle ferite tanto profonde, che non si sono ancora rimarginate.
 


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