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PASSO DOPO PASSO

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

21
DIC
2017

Saper valutare le proprie competenze è a sua volta una competenza. Al di là dei soliti discorsi, alcune riflessioni sull’autostima.

Un mio amico si scoraggia quando deve fare qualcosa diciamo “di nuovo”. Cioè non cose proprio nuove ma piccole variazioni di cose che già fa con l’aggiunta qualche difficoltà o imprevisto in più. Il problema è che lui si scoraggia tanto che in quei momenti arriva a pensare di non poter fare proprio nulla in nessun campo nonostante la verità non è così. Mi dia un consiglio.
Sara


Possedere una competenza significa saper fare qualcosa. Una cosa è fare; ben altra, saper fare. Chi si limita a fare, opera senza particolare perizia, solitamente in un ambito in cui non sono richieste particolari competenze. Chi sa fare ha, invece, acquisito delle conoscenze che gli consentono di portare a termine determinati compiti ben specifici. Tale acquisizione costituisce il risultato di una crescita progressiva in cui i compiti che si impara ad affrontare divengono man mano sempre più numerosi e complessi. Per intenderci, prima si impara l’alfabeto, e dopo aver cominciato a prendere confidenza con la lettura e la scrittura di testi sempre più complessi, ci si può cimentare nella redazione di un elaborato quale il riassunto, ad esempio.
A scuola la misurazione delle competenze acquisite è tradizionalmente affidata a una valutazione esterna, ossia al giudizio dell’insegnante, che può seguire criteri più o meno tendenti all’obiettività. Nel lavoro dovrebbe valere un discorso analogo, dove il profitto inteso in senso scolastico viene sostituito dal criterio della produttività economica.

Capita, però, che in talune circostanze l’interessato debba valutare sé stesso, ossia debba stimare da sé le proprie competenze e potenzialità: ciò che sa già fare e ciò che potrebbe imparare. Risulta evidente che una valutazione di questo tipo possa risentire, più di altre, dell’influenza di fattori soggettivi, che se non opportunamente contenuti da un criterio razionale, rischiano di indurre nell’interessato vere e proprie distorsioni cognitive, corrispondenti all’eccessiva sottostima o sovrastima delle proprie competenze e potenzialità. E quindi veniamo al suo caso.
Quando si sta per affrontare un compito nuovo risulta assai sconveniente convincersi a priori di un dato esito (positivo o negativo) senza aver prima raccolto opportune evidenze che possano risultare utili nella stima delle probabilità di riuscita. Il punto è che, come lei ha sicuramente intuito, saper raccogliere tali evidenze costituisce a sua volta una competenza, che si può imparare solo nell’ambito di una relazione interpersonale: solo una persona terza, come accade a scuola e sul lavoro, può aiutare l’interessato ad adottare criteri di autovalutazione sempre meno soggettivi e sempre più ancorati a delle evidenze misurabili.
D’altro canto bisogna anche considerare che chi si appresta ad affrontare un compito nuovo deve sovente fare i conti con un lavoro di apprendimento preparatorio, che può anche richiedere tempo ed energie. E ciò può costituire un problema sia per l’ottimista che per il pessimista: il primo, sovrastimando il proprio potenziale, può rimanere deluso da eventuali difficoltà non previste; il secondo può, invece, convincersi a priori di non potercela fare, a maggior ragione in un percorso particolarmente impegnativo. Ecco che torna l’utilità di una persona terza, che possa fornire un supporto durante l’intero percorso, definendo traguardi intermedi, misurando gli avanzamenti e dandone riscontro. Una persona terza che possa, inoltre, correggere eventuali modalità valutative distorte, insegnandone altre più adeguate. Questo tipo di intervento non può, però, affatto risolversi in un semplice tutoraggio tecnico o morale: esso risulta giocoforza un lavoro di tipo psicologico in quanto interessa necessariamente l’aspetto cognitivo, emotivo, personologico e comportamentale.
Al netto di ciò rimane sempre la necessità di superare la sterile dicotomia ottimismo-pessimismo, per adottare, anche nei propri confronti, un atteggiamento ragionevolmente più scientifico, improntato sull’auto-osservazione critica, sull’auto-correzione in itinere e sull’ovvia consapevolezza della gradualità di ogni progresso. Lo si impara facendo e non lo si impara da soli.



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