MENU

ALLERGIA O INTOLLERANZA? CONFUSIONE E RISCHI DELL´AUTODIAGNOSI

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

8
GEN
2019

Enorme è il dilemma sulla differenza che intercorre tra “allergia” e “intolleranza” ma ancor più grave è l’autodiagnosi di queste malattie.
La scarsa conoscenza dei meccanismi fisiopatologici sottesi alla interruzione del riconoscimento del “self” o della “tolleranza” può provocare conseguenze nefaste


Quante volte si sente utilizzare l’espressione “allergico al lattosio” invece di “intollerante al lattosio”. Molto spesso si incorre nel tipico errore di confondere l'”allergia” con l'”intolleranza”.
È, pertanto, opportuno affrontare l’argomento circa la diversità che intercorre tra loro giacché i presupposti fisiologici, patologici e genetici sono completamente differenti.
L'allergia è una reazione fisiologica ormai diffusissima, non ancora completamente compresa scientificamente, nella quale sono implicate le cellule immunitarie del tipo dei linfociti T-helper 2. Queste ultime permettono di difendere l'organismo dai macroparassiti, dai vermi, dagli insetti, dagli artropodi e dalle tossine ambientali. La risposta allergica, dunque, è il risultato di una forma esagerata di meccanismo adattativo, finalizzato alla sopravvivenza, che prevede una sinergia tra la difesa di barriera e l'espulsione dei parassiti.
Tale processo fisiologico, come già affermato, è mediato dai linfociti T-helper 2, dagli anticorpi della classe delle Immunoglobuline E (IgE) e delle Immunoglobuline G1 (IgG1) e da diverse componenti del sistema immunitario innato.
Come in tutti i processi fisiopatologici, esiste un’origine genetica ed una ambientale. La componente genetica predisponente ha i “locus genici” che mappano sui Cromosomi 5 e 6. Qui sono posizionati i geni preposti alla codifica di molecole proteiche, presenti sulla superficie cellulare, capaci di riconoscere, legare e presentare ai Linfociti T gli antigeni, dove per “antigene” si intende corpo estraneo e potenzialmente pericoloso. Saranno poi le cellule T a disinnescare, con vari processi biochimici, il potenziale sviluppo degli effetti nocivi del corpo estraneo.
La reazione allergica, pur essendo provocata da allergeni differenti, presenta risposte simili. Ciò si verifica perché, ad accomunare la sintomatologia, c'è la finalità di difesa dell'organismo, basata sull'attivazione delle barriere dell'epitelio superficiale (pelle e mucose), della muscolatura liscia e del sistema vascolare, tramite l'intermediazione di Cellule Dendritiche e Mastociti.
Per questo motivo si fa sempre più strada la teoria che, la forma più blanda della manifestazione, starnuti e prurito, serva a provocare l'espulsione dell'allergene e la riduzione dell'esposizione. Se quest'ultima permane, al fine di evitare conseguenze nocive, l'organismo reagisce con rinorrea, rinite, prurito e dermatiti. Come estrema ratio, si potrebbe determinare lo “shock anafilattico”, dovuto all’ipersensibilità allergica.
L'allergia è, dunque, una reazione fisiologica che si è mantenuta nel corso dell'evoluzione per scopi unicamente difensivi, dando seguito e ragione alla concezione darwiniana della “selezione naturale”.
Importante è constatare che l'allergia è una difesa da allergeni, organismi o agenti esterni, che non rientrano in quello che scientificamente viene definito “self”, ossia di propria appartenenza. Il nostro sistema immunitario, infatti, ha la capacità di discriminare il “self” dal “non self”, ossia ciò che gli appartiene da ciò che non gli appartiene. Gli agenti potenzialmente nocivi, ovviamente, rientrano in ciò che non gli appartiene, anche se a volte può capitare che questa “tolleranza al self” si interrompa e, quindi, compaiano le malattie autoimmunitarie.
Un classico esempio è la Celiachia, o intolleranza al glutine, giacché l'agente ambientale scatenante è proprio questa proteina. Ciò che provoca l’interruzione della tolleranza al self, in questo caso, è la predisposizione genetica, precisamente un gene presente sul Cromosoma 6, che fa sì che l'organismo attacchi se stesso, nella fattispecie, l'intestino.
Il complesso proteico del glutine, dopo aver subito l’azione di enzimi che spezzettano le molecole, dà origine a diversi peptidi, piccole proteine in grado di stimolare la risposta immunitaria innata, e adattativa, rappresentata dai linfociti B e T. L’origine sembra essere una aumentata permeabilità dell'epitelio intestinale, che consente il passaggio dei peptidi all’interno lamina propria, ovvero della mucosa intestinale. In questa sede, in seguito a complessi processi biochimici, enzimatici e immunologici, tali peptidi attivano le difese immunitarie che, a loro volta, innescano un processo infiammatorio. Quest’ultimo danneggia le cellule della mucosa e distrugge i villi intestinali, alterando non solo l’architettura enterica ma anche la sua funzionalità.
Attualmente, uno dei tanti problemi è comprendere chi sia realmente affetto da Celiachia e chi, pur presentando sintomi analoghi, in realtà non manifesti l'intolleranza al glutine. In questi casi si parla semplicemente di “sensibilità”.
Queste manifestazioni rappresentano il sottile filo che divide l'intolleranza dalla tolleranza al glutine, sul quale non c’è ancora chiarezza scientifica. I diversi esperimenti condotti in “doppio cieco”, utilizzando popolazioni di individui ignari se stessero assumendo il glutine o il “placebo”, non hanno condotto a conclusioni attendibili, a causa delle molteplici variabili che sono intervenute, distorcendo e alterando l’oggettività dei risultati.
Ormai la dieta priva di glutine è diventata per alcuni una moda alimentare, mentre per altri l'intolleranza al glutine è solo una delle tante patologie sovra-diagnosticate. La realtà è ben diversa, perché la Celiachia esiste sin dai tempi di Areteo di Cappadocia, I secolo D.C., che ne parla addirittura in un suo scritto.
Ad oggi, il morbo celiaco è stato diagnosticato solo ad una piccola parte degli individui affetti. Il dott. Carlo Catassi, infatti, ha introdotto il “modello dell’iceberg”, sostenendo che la parte emersa rappresenterebbe i soggetti con diagnosi certa di malattia, mentre la parte sommersa gli individui celiaci non diagnosticati.
Non è, dunque, una moda né il morbo né la dieta priva di glutine; sicuramente non bisogna incorrere nell'errore di decenni fa, quando la pasta veniva, addirittura, addizionata con il glutine. Al contempo sarebbe inopportuno eliminare dalla nostra dieta questa proteina, salvo che non vi sia una reale intolleranza che potrebbe provocare conseguenze nefaste, dalla semplice distensione addominale e aerofagia, ai tumori, disturbi neuropsichiatrici e via discorrendo un'ampia gamma di sintomi. Questi ultimi sono talmente variegati da rendere difficile la diagnosi stessa della malattia.
Si definiscono “celiaci” coloro i quali presentano lesioni intestinali, anche se potrebbero essere asintomatici; invece, si definiscono “sensibili al glutine” coloro i quali hanno una sintomatologia analoga a quella del celiaco tipico, ma non presentano predisposizione genetica o lesioni intestinali.
Questi ultimi potrebbero sospendere l'assunzione di glutine e migliorare il quadro generale, ma non si può comprendere quale sia la causa dei sintomi, perché potrebbero sussistere problemi collaterali nei confronti di altre sostanze contenute nel frumento. Ovviamente la pubblicità in campo alimentare interviene, propagandando i benefici degli alimenti privi di glutine e inducendo i non addetti al mestiere ad autodiagnosticarsi intolleranze, forse, inesistenti.
Attualmente c'è una grande confusione, spesso generata anche dalla disinformazione e dal suddetto bombardamento pubblicitario. La conseguenza è che ci sono soggetti celiaci non diagnosticati, che corrono il rischio di riportare gravi danni, e milioni di persone che aderiscono a diete prive di glutine sulla base di ipotesi.
Tutto ciò è estremamente pericoloso ed è importante sapere che, per una corretta diagnosi e conoscenza del trattamento da seguire, bisogna ricorrere necessariamente ai test di tipo sierologico, genetico e, come previsto dall’algoritmo diagnostico, alla biopsia intestinale.
Molto diffusa è anche l'intolleranza al lattosio, lo zucchero presente nel latte, un disaccaride costituito da glucosio e galattosio.
Nel nostro intestino esiste un enzima noto come “lattasi” che, nel duodeno, svolge il compito di scindere il lattosio nelle sue componenti.
Secondo alcuni il suddetto enzima verrebbe prodotto sino alla fine dello svezzamento, in seguito, cambiando la dieta, la sua produzione calerebbe e cesserebbe del tutto verso i 10 anni. Le ragioni evolutive di questo processo non si sono ancora ben comprese.
Nei soggetti intolleranti al lattosio, questo zucchero passa, sotto forma di disaccaride, dal duodeno al colon e qui i batteri lo metabolizzano producendo acidi grassi e gas tra i quali, in maggior concentrazione, l'idrogeno.
L'unico test non invasivo e accurato, che permetta una corretta diagnosi di intolleranza al lattosio, è proprio il “breath test”, che misura la quantità di idrogeno prodotto, che dall'intestino passa nel sangue e, da qui, nei polmoni. Anche in questo caso l’autodiagnosi è sconsigliata, perché l’intolleranza al lattosio, quando è accertata clinicamente, potrebbe anche essere “secondaria” in quanto derivata dall’appiattimento dei villi intestinali dovuti alla Celiachia, che limitano l’assorbimento intestinale a livello del duodeno.
Quali sono i sintomi dell’intolleranza al lattosio? Questo zucchero, in quanto tale, ha una struttura molecolare capace di richiamare acqua nell'intestino per effetto osmotico. Diarrea, crampi, flatulenza e altri spiacevoli sintomi si manifestano in seguito all’accumulo di liquidi.
Ci sono però individui che continuano a produrre lattasi nonostante l'età adulta. Come mai? Si è osservato che un consumo giornaliero di lattosio dopo lo svezzamento, può selezionare una flora batterica intestinale in grado di rimuovere i prodotti della fermentazione e di alleviare i sintomi dell'intolleranza.
Anche in questo caso esiste una componente genetica, infatti, la produzione di lattasi è regolata da un gene presente sul Cromosoma 2. Gli individui che possiedono questa mutazione genetica continuano a digerire latte anche da adulti. Non necessariamente sono stati influenzati dalla componente ambientale, rappresentata dall'ingestione di lattosio, piuttosto la mutazione ha conferito un vantaggio evolutivo sia a chi la possedeva, che ai discendenti, diventando dominante con il susseguirsi delle generazioni. Il vantaggio consisteva nel fatto che chi beveva latte aveva maggiori probabilità di sopravvivere e quindi di trasmettere quella mutazione alla progenie.
La persistenza della lattasi è stata definita come il miglior esempio di “coevoluzione gene-cultura”, perché la tradizione di usare il latte come alimento ha generato una “pressione selettiva” che ha preferito delle mutazioni che rendevano possibile il consumo di latte fresco.
Tutto ciò segue la teoria di Charles Darwin della “selezione naturale” e conferma come le nostre origini siano differenti da quelle che si sono determinate nel corso dei secoli, dovute alle mutazioni prodotte dalla pressione selettiva.
L'uomo preistorico era cacciatore, quindi interrompeva la produzione di lattasi al decimo anno di età e non possedeva il gene che predisponeva al metabolismo del glutine. Quando le sue abitudini di vita cambiarono, grazie all'avvento dell'agricoltura, si adattò ad un nuovo tipo di alimentazione e, di conseguenza, una mutazione evolutiva selezionò il gene della tolleranza al glutine e via via il gene della tolleranza al lattosio.
Ovviamente, ceppi così detti “selvatici”, cioè geneticamente analoghi a quelli che esistevano nella preistoria, continuano a permanere e non trasmettono alla progenie il gene della tolleranza al lattosio e al glutine. Le mutazioni, divenute dominanti, hanno reso patologico ciò che prima invece rappresentava la normalità, consentendo un adattamento di tipo alimentare finalizzato ad una maggiore sopravvivenza.
Le allergie e le intolleranze, insomma, sono due aspetti completamente differenti di processi fisiologici che, hanno assunto le connotazioni di una patologia sebbene, paradossalmente, soggetti patologici sono proprio coloro che attualmente sono definiti sani, perché riescono a digerire sia il glutine che il lattosio.
L’aspetto più importante è che sia le une che le altre siano diagnosticate da test riconosciuti dal Sistema Sanitario Nazionale, seguendo i corretti protocolli e le istruzioni mediche che verranno fornite a seguito di accertata intolleranza all’uno o all’altro.
Il “fai da te”, l’autodiagnosi e l’astensione indiscriminata da glutine e lattosio, potrebbe comportare serie conseguenze e, nel caso della Celiachia, impedirebbe di abbassare il livello d’acqua che circonda l’iceberg celiaco.     

Riferimenti bibliografici
- Abbas – Lichtman – Pober, “Immunologia cellulare e molecolare” Ed. Piccin 2012
- Le Scienze “Una nuova spiegazione delle reazioni allergiche” 27 Aprile 2012
- Le Scienze “Vade retro glutine” di Dario Bressanini, 8 maggio 2015
- Le Scienze “Darwin e l’innarturalità di bere latte” di Dario Bressanini, 22 novembre 2012

 



Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor