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Ruggiero Capone /PERCHE´ LUI NON E´ ADRIANO SOFRI

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

3
AGO
2017

Allievo di Indro Montanelli, buon frequentatore di Pinuccio Tatarella, amico di Araldo di Crollalanza e giornalista vicino a intellettuali e potenti. Tutto cambiò all'uscita della sua inchiesta “Immobiliare Montecitorio”, dove denunciava le distorsioni gestionali degli enti previdenziali e gli intrecci con la politica. Da allora molti gli hanno voltato le spalle. Ma lui ha ancora molte cose da dire e da scrivere

Piccola doverosa premessa: onestà intellettuale impone di spiattellare le carte in tavola ed ammettere che Ruggiero Capone non è una persona qualsiasi per chi scrive.
Ruggiero è un amico, un maestro, una sorta di monumento che per noi ragazzini alle prime armi incarnava il modello di giornalista d’area (si diceva così una volta), di militante coraggioso e di uomo di cultura.
E poi è stato allievo di Indro Montanelli, buon frequentatore di Pinuccio Tatarella, amico di Araldo di Crollalanza  e vicino a gente che per noi era inarrivabile, quasi mitizzata.
Tutto bene fino all’insana idea di scrivere un libro dal titolo “Immobiliare Montecitorio”, una sorta di inchiesta a cavallo tra la speculazione immobiliare, le distorsioni gestionali degli enti previdenziali e gli intrecci con la politica. Piovvero denunce, proteste, quasi bestemmie sull’autore, che sfociarono in un’odissea giudiziaria interminabile i cui strascichi mordono tutt’ora la carne viva senza pietà.
Non ci interessa approfondire le tecnicalità relative all’inchiesta e ci guardiamo bene dall’esprimere giudizi nel merito? rispettosi come siamo delle prerogative della magistratura.
In questa sede ci interessa raccontare ciò che è successo dopo e cioè la completa assenza di solidarietà di un’intera area politica che si è girata dall’altra parte facendo spallucce, fingendo di non conoscere  un professionista al quale in altri tempi ci si rivolgeva con rispetto prodighi di complimenti e pacche sulle spalle.
Perché poi il cosiddetto centrodestra è questo: una serie di individualità incapaci di fare rete, di fare quadrato, di legittimarsi vicendevolmente. Sono tutti compagni di strada pro tempore in questa benedetta area politica, tutti bravi ad interfacciarsi con te fin quando sei utile alla causa (la loro) ma incapaci di comprendere cosa significhino parole come solidarietà e valorizzazione delle energie migliori, anche se ciò dovesse significare soccorrerle nei momenti di difficoltà.
Ma veniamo a noi.

Ruggiero, tu ami definirti mezzo tarantino e mezzo barese, come mai?
"Mio padre nasceva a Taranto nel cuore del quartiere Tamburi. I miei nonni erano giunti nel capoluogo jonico da pochi giorni, provenivano da Messina dove mio nonno comandava la Milmart, una struttura nata nel 1934 dopo la smobilitazione dei “Reggimenti artiglieria da costa”: mio nonno si chiamava come me Ruggiero, aveva studiato ingegneria navale, aveva esperienza diretta sui maiali come sulle motosiluranti. Aveva partecipato alla battaglia per tentare di liberare i prigionieri italiani in mano inglese a Malta. Lasciata la famiglia a Taranto, moglie e tre figli, faceva ritorno in Sicilia per contrastare lo sbarco degli alleati. Quindi tornava a Taranto dove veniva arrestato, e nel ’47 beneficiava dell’amnistia Togliatti per i fascisti. Qualche anno dopo, una grande compagnia petrolifera lo chiamava come esperto, perché a causa della chiusura di Suez dovettero inventare le “grandi petroliere”, quindi fare il periplo dell’Africa, e serviva uno che sapesse coordinare la logistica di quei bestioni dei mari. Quindi si trasferiva a Bari dove mio padre poté studiare e poi sposare mia madre. La mia infanzia è Bari, ma dall’adolescenza sono andato un po’ ovunque, spinto da un misto di curiosità e senso vagabondo alla Kerouac. A Bari mi sono laureato e lì ho conosciuto la politica, le lotte ed anche le manette, il primo arresto per motivi schiettamente politici".
 
Una curiosità, com’era lavorare con Indro Montanelli?  Che tipo era?
"Ero un semplice ragazzo di bottega, al pari di come lo era Marco Travaglio che certo era più di destra di me. Montanelli non dava confidenza ai giovani di buone speranze. Ma le sue perle di saggezza ci raggiungevano. Un giorno Montanelli disse ad alta voce a una collega della Roma bene, molto amica di Antonio Tajani, che 'i giornali nascono e muoiono sotto elezioni… e spesso servono per assumere i figli scemi della gente importante'. I topini di redazione raccoglievano le massime tacendo. Devo a quell’ambiente aver conosciuto quattro colleghi tutt’ora miei grandi amici, ovvero Arturo Diaconale, Filippo Pepe, Giancarlo Perna e Claudio Pompei. Con Diaconale tutt’ora condivido l’avventura del quotidiano L’Opinione".
 
Ce lo racconti un aneddoto su Giuseppe Tatarella?
"Un bel giorno pensai bene di farmi largo in politica, quindi il mio caro e compianto amico Angelo Nitti mi condusse da Pinuccio Tatarella. Quest’ultimo dovette malvolentieri interrompere una partita a carte, a tresette, con dei notabili baresi. La cosa lo irritò non poco, quindi mi disse che se fossi stato in grado di batterlo a carte m’avrebbe candidato in buona posizione. Evitai figure barbine, ben sapendo di non essere mai stato un mago del tresette. Poi lui non ebbe mai a perdonarmi le simpatie extraparlamentari. Il Msi era per me una gabbia. Pinuccio era persona intelligente, ma i gregari erano non poco velleitari, tutta gente che stava nel Movimento sociale perché non abbastanza capace da poter svettare nella Diccì".
 
Com’era la tua vita professionale prima di questo “incidente editoriale”?
"Sempre stata balorda. A Milano non arrivavo mai a fine mese. Quindi m’arrangiavo vendendo moto, auto d’epoca, pezzi d’antiquariato vari. Oppure scrivevo gialli di cui mi vergognavo, usando uno pseudonimo francese. Ho anche scritto sceneggiature di film prodotti per far spiccare il volo nel mondo della celluloide ad amanti di politici ed imprenditori. Per dirla con le parole di Sonego e Vitaliano Brancati “Una vita a mezzo tra l’arte d’arrangiarsi ed una vita difficile”. Certo, girava il lavoro, poi è calata la damnatio memoriae".
 
E dopo i guai giudiziari chi nel mondo politico ti ha mostrato solidarietà?
"Solo l’ex ministro repubblicano Aristide Gunnella, un vero gentiluomo".
 
E i colleghi ti sono stati vicini?
"Mi auguro tu stia scherzando. Appena si diffuse la notizia che ero stato denunciato da Antonio Di Pietro, un collega con velleità sindacali diffuse un dispaccio in cui chiedeva la cacciata degli indagati dall’ordine dei giornalisti. Dispaccio perché sapeva tanto di brogliaccio di questura. Infatti io risposi 'fuori i questurini dall’ordine dei giornalisti'".
 
Qual è il voltafaccia che ti ha fatto più male?
"Quello d’una donna che amavo".
 
Rispetto ai tuoi maestri, i giornalisti di oggi si sono trasformati da ideologi in vanitose soubrette da salotto televisivo?
"Gli ideologi erano i cattivi maestri, ma stavano ai giovani come Pangloss al Candido nell’opera di Voltaire, dispensavano lezioni di vita vera e vissuta, anche se tanto cinica. La televisione sottrae ogni anno circa cinquanta vocaboli dall’italiano parlato, con i programmi generalisti desertifica la nostra lingua, annacqua la nostra cultura, propalava il pensiero debole ieri ed oggi quello leggero. L’estetica televisiva del momento è quella di “trucco e parrucco” dei programmi d’intrattenimento, non è certo un coniugare nel bello morale ed etica… ma non voglio fare il bacchettone. Semplicemente significare che in Italia, secondo l’Istat insistono ormai 15milioni di poveri, di cui ben due a “povertà irreversibile”, ovvero cittadini con tali e tanti contenziosi bancari e fiscali da non poter più tornare ad una vita normale. Per questi ultimi si sta staccando la spina, anche se ogni giorno vengono accolti nuovi cittadini che certamente non potranno che ingrossare le fila della povertà. L’Italia vende illusioni… parola di cattivo maestro".
 
Una domanda volutamente decontestualizzata: come ti è venuto in mente di insegnarmi il mestiere introducendomi in questa gabbia di matti? Lo provi un minimo di senso di colpa?
"Tu chiedi a uno degli ultimi avventurieri d’aver un senso di colpa. Rifletti sul fatto che io t’ho semplicemente narrato un mondo, e nella narrazione tutto viene sempre edulcorato. Il giornalismo non esiste, esistono narratori che fanno bene il loro mestiere prescindendo dal compenso. Il giornalismo negli ultimi anni è stato proletarizzato, svenduto e involgarito da chi ha applicato alla categoria le stesse metodiche utili a gestire il popolo dei metalmeccanici. Il giornalismo ha come padre nobile Giulio Cesare, la nostra prima opera giornalistica è il De Bello Civile, nonché i commentari del De Bello Gallico. Non da meno il De Bello Giugurtino di Sallustio Crispo. La nostra letteratura europea nasce con l’opera omerica… ma questo chi fa informazione non è tenuto a saperlo".
 
Cosa fai adesso?
"Vivo e, per dirla con Baudelaire, penso all’arte come promessa di rivoluzione ai posteri. Osservo anche come in questo momento il grottesco venga ideologicamente posto a fondamento della vita così come della poesia: quindi rido".
 
E, con i dovuti distinguo, il pensiero non può non correre verso vicende come quella di Adriano Sofri, il quale ha potuto usufruire della massima assistenza da parte di un mondo, il suo, che non ha esitato a riconoscerne il valore reinserendolo, a prescindere dalle colpe giudiziarie, a pieno titolo  nel circuito che conta e non lasciando che vivesse ai margini.
Ma Ruggiero Capone non è Adriano Sofri ed ha per giunta la grave colpa di provenire “dall’altra parte”, quella dell’indifferenza e del rampantismo che non fa sconti, quell’area politica che ti relega in soffitta per molto meno.  

 



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