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Volontariato in ospedale/Da un bicchiere d´acqua negato

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

6
SET
2018

Si scrive Avo, si legge Associazione Volontari Ospedalieri e si avvia a tagliare nei prossimi anni il traguardo del mezzo secolo di attività in Italia. Ecco come è nato questo piccolo grande miracolo associativo e come poter farne parte

Oggi sono in molti e in vari settori a parlare di volontariato, ma ci sono volontari e volontari. Ci sono quelli che lo fanno quasi per una missione captata in momenti di riflessione personale, ci sono quelli che lo fanno, purtroppo, per avere visibilità all’esterno, ma la stragrande maggioranza di loro agisce per libera, spontanea, meditata e accettata volontà di servire chi ha bisogno della presenza di un volontario.
Parlando, quindi, di loro il primo pensiero corre verso gli anziani e verso i malati e verso chi vive da solo la propria esistenza.
Questi operatori “segreti”, veri angeli di chi ne gode della loro benefica presenza e opera stanno scrivendo nel nostro paese una pagina di storia importante nel campo della solidarietà umana e rappresentano una cattedra di facile apprendimento soprattutto per i giovani che si affacciano alla vita nella nostra società che si contraddistingue per le sue non poche contraddizioni e limiti.
L’associazione di cui oggi ci occupiamo, l’Avo, deve il suo successo a un semplice bicchiere d’acqua, prima negato e poi offerto. Un lamento proveniente da un letto di corsia nell’ospedale ‘Niguarda’ di Milano aveva attirato l’attenzione di un giovane medico che stava attraversando un reparto. Era l’8 dicembre 1967. Il medico era il dottor Erminio Longhini, all’epoca ricercatore universitario e facente funzioni di primario nella divisione di Medicina interna. Longhini si avvicinò al letto in cui giaceva una donna che, con un flebile ma insistente gemito, continuava a chiedere un bicchiere d’acqua.
Il giovane ricercatore rimase colpito dal fatto che quella semplice richiesta cadesse nel vuoto. Le altre ricoverate erano indifferenti così come l’inserviente che, intenta a pulire il pavimento, alla domanda del Longhini: “Scusi ma non sente che quella donna ha bisogno di aiuto?”, rispose bruscamente: “Dottore, se ogni volta che qualche malato ha bisogno di un bicchiere d’acqua io interrompessi il mio lavoro, il pavimento rimarrebbe sporco. Non tocca a me questo compito!”.
La secca e inattesa risposta fece riflettere Longhini che, tornando a casa in auto, rimuginava fra sé: “Forse è vero che non toccava a quell’inserviente soddisfare quella elementare esigenza di una persona anziana e sola”.
Quell’anno fu il primo di una serie durante i quali Longhini meditò a lungo su cosa fare per portare solidarietà, aiuto materiale e sostegno morale a chi si trovasse nel bisogno. Nel 1968 divenne primario della divisione di Medicina d’urgenza all’Ospedale di Sesto San Giovanni e, dopo qualche anno, la fatidica domanda “A chi tocca?” trovò finalmente risposta: creare un’associazione di persone che si sarebbero occupate di degenti negli ospedali, seguiti certamente con professionalità e responsabilità dal personale sanitario, ma spesso in ambienti spersonalizzanti in cui i malati erano assimilati a “corpi e organi da curare” e a “numeri di posti letto”.
Così nel 1975, l’Avo prese forma e fu costituita a Milano. Oggi è una associazione indipendente, aperta a tutti gli uomini di buona volontà, ovvero a tutte le persone che si riconoscono nei valori della reciprocità, sussidiarietà e solidarietà civile, culturale e sociale.
I punti qualificanti dell’associazione sono: la gratuità assoluta (i volontari non percepiscono alcuna remunerazione, neppure sotto forma di rimborsi spese, e le associazioni non beneficiano di specifici contributi da parte delle istituzioni a fronte del servizio offerto); l’applicazione del principio di sussidiarietà e di non sostituzione; la fiducia di cui l’Avo gode nelle strutture in cui opera; l’esperienza di oltre quaranta anni di attività, che hanno generato una profonda conoscenza dei bisogni e delle istanze dei cittadini ammalati, ma anche dei loro parenti; la discrezione che, a partire dal modus operandi dei volontari, si estende all’associazione nel suo complesso all’insegna dell’agire in punta di piedi.
A Taranto da 13 anni l’Avo, presieduta da Anna Pulpito, è presente al “SS. Annunziata” di Taranto e al “Moscati” di Statte con risultati molto positivi che confermano che “è dando che si riceve”.
Tra i risultati maggiormente visibili e documentabili troviamo l’integrazione sociale delle persone malate attraverso l’ascolto, la compagnia e l’amicizia.
L’Avo tarantina si preoccupa di organizzare in maniera gratuita momenti formativi a coloro che hanno l’intenzione di intraprendere questo percorso di volontariato, momenti formativi necessari per preparare il volontario alla migliore forma di collaborazione nei confronti del malato, dei famigliari e di se stesso.
Anna Pulpito così ci ha dichiarato: “L'esperienza nella nostra Associazione in questi 13 anni di operosa presenza in ospedale ci fa affermare che è dando che si riceve! Momenti formativi, assolutamente gratuiti, saranno rivolti a tutte le persone che hanno l'intenzione di intraprendere questo percorso di volontariato necessari per prepararli alla migliore forma di collaborazione nei confronti del malato, dell'entourage familiare e di se stesso, nell'ambito di un'assistenza globale integrata. Non è richiesta alcuna professionalità tecnica. A tutti i volontari è richiesto un impegno di qualche ora a settimana e la partecipazione alla vita associativa. Il servizio dei volontari è organizzato in modo che la presenza nei reparti sia più regolare possibile. Essi non possono e non devono sostituire nessuno, ma i medici, gli infermieri, i malati, gli ospiti e il personale degli ospedali sanno di potervi fare sempre affidamento”.
Vorremmo che il nostro appello venisse raccolto dai giovani perché dedicare qualche ora alla settimana per non far mancare il ‘bicchiere d’acqua’ a chi lo chiede disseta chi lo riceve ma porta gioia nel cuore a chi compie tale gesto.
L’appello è rivolto anche ai ‘diversamente giovani’ che in tal modo potrebbero rappresentare un sostegno di grande importanza per i loro coetanei degenti negli ospedali.



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